Editoriale per La voce
Abbiamo ancora davanti agli occhi le immagini di Benedetto XVI in Turchia. Esse vanno custodite e meditate perché hanno il sapore storico, anche perché la Turchia da sempre è parte integrante della vicenda mediterranea. Le difficoltà delle settimane precedenti hanno arricchito il viaggio di un significato ancor più evidente. Si presentava forse come il più difficile di quelli fatti da un pontefice. Si è rivelato straordinario; anzi, uno dei più fruttuosi e decisivi per l’incontro tra i cristiani e per il dialogo interreligioso. In quei giorni i cristiani si sono ancor più avvicinati tra loro e, assieme, si sono posti con un atteggiamento di simpatia profonda verso i credenti nel Dio unico. Non solo non c’è stata quella che qualcuno magari auspicava, ossia una sorta di nuova alleanza dei cristiani contro l’islam, ma gli uni sono andati verso gli altri chiedendo e offrendo pace, dialogo, riconciliazione. Non che non ci siano problemi, tutt’altro. Ce ne sono, e di gravissimi. Basti pensare ad esempio a quelli relativi alla libertà religiosa. I cristiani che vivono in Turchia lo sanno bene. Ne parlano spesso sia Bartolomeo I che le comunità cattoliche le quali, non a caso, sono state colpite anche con la morte di don Andrea Santoro. Ma l’incontro tra Benedetto XVI e il Patriarca Bartolomeo non è stato uno stanco ripetersi di celebrazioni senza efficacia. L’incontro ha confermato la ripresa di un cammino che appariva indebolirsi. Il Patriarca Bartolomeo I ha anche fatto al Papa una proposta, per ora segreta, per giungere a un gesto che espliciti come “segno” eloquente questa volontà di comunione. Nella dichiarazione comune hanno chiesto la libertà religiosa e affermato il rifiuto di ogni forma di violenza e di discriminazione in nome di Dio, e si sono impegnati in un servizio all’umanizzazione, alla qualità della convivenza sociale nell’affermazione dei valori e dei diritti di ogni uomo e nel rispetto della creazione. Non c’è dubbio che gli effetti di questa visita si allargheranno all’intero mondo dell’Ortodossia. E non mancheranno nell’anno che viene momenti significativi di riavvicinamento tra cattolici e ortodossi. C’è poi stato l’altro aspetto del viaggio, quello relativo all’incontro con l’Islam. Era l’aspetto più delicato. Ma quei due minuti di preghiera del Papa nella Moschea Blu hanno cambiato tutto, o meglio hanno dato una spinta irreversibile all’incontro tra i credenti nell’unico Dio. E’ stato un gesto pieno di simbolicità, anche perché compiuto da un Papa che abbonda più nel linguaggio della ragione che in quello dei simboli La preghiera del Papa è stata silenziosa, non ha assunto la forma esteriore di una preghiera cristiana, non si è trattato quindi di un pregare “insieme”, ma di una preghiera fatta “accanto” al mufti. Ed è stata rivolta ad Oriente, come anche i cristiani per secoli hanno fatto. E’ avvenuto quel che da venti anni Assisi ci aveva abituati a fare e a vedere. Ma con questo gesto – è la prima volta che un Papa prega in una moschea – il dialogo ha fatto un passo in più. E lo ha compiuto in profondità. Il Papa infatti è sceso nel profondo della propria fede e, indirettamente, ha invitato tutti i credenti – particolarmente i credenti nell’unico Dio – a scendere nelle radici della propria fede: non ci scopriremo gli uni contro gli altri, ma gli uni accanto agli altri. La preghiera, mentre ci avvicina a Dio, ci fa scoprire che siamo vicini anche noi gli uni agli altri. E’ nella preghiera la radice della pace e della convivenza anche tra i diversi. Questa è la grande, straordinaria e provvidenziale lezione che viene da Bendetto XVI pellegrino nella Turchia, la terrà che ha visto le origini dal cristianesimo.