Convegno “Condizioni di lavoro giuste ed eque, modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo”
1. Il ripetersi angoscioso dell’intollerabile fenomeno degli incidenti mortali nei luoghi di lavoro, non solo nel nostro territorio regionale, rende urgente l’esigenza di una riflessione comune e di un impegno per la formazione delle coscienze, unito ad uno sforzo straordinario di iniziativa e di azione da parte di tutti, lavoratori e datori di lavoro, diretti e indiretti, al fine di porre fine a questa catena tragica di morti (Laborem Exercens, n.17). Riflettere sul diritto ad un ambiente di lavoro sano, sicuro e dignitoso, e sulle forme concrete attraverso le quali, con il concorso di tutti, questo diritto diventi effettivo, richiede anche da parte dei credenti una rinnovata attenzione alla riflessione che la Chiesa ha fatto negli ultimi secoli sulla questione del lavoro.
2. Non è questa la sede per ripercorrerne le linee. Ma almeno qualche cenno è opportuno farlo. Richiamo solo il principio fondante: il lavoro afferisce all’essere stesso dell’uomo e alla sua vocazione sulla terra. Il lavoro è al servizio dell’uomo e della sua crescita armonica nella creazione. Non parlo dei cambiamenti avvenuti sulla concezione del lavoro e sulla sua realizzazione storica. L’esperienza degli ultimi decenni ha comunque sconfessato le profezie più estreme sul futuro del lavoro nella nostra sociale globale: da quelle che, sulla base della natura costrittiva ed alienante dell’organizzazione del lavoro nelle società capitalistiche, auspicavano processi di liberazione dal lavoro e di una sua vera e propria abolizione; a quelle che, per effetto della diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, vedevano nel declino e persino nella fine del lavoro il tratto distintivo del futuro delle nostre società. In realtà il lavoro appartiene, prima ancora che alle diverse e mutevoli forme oggettive di organizzazione sociale, alla dimensione soggettiva dell’uomo e delle persona (Gen, 1,28). Allo stesso tempo contiene un’insopprimibile dimensione sociale: attraverso il lavoro la persona entra infatti in relazione con l’altro in modo tale per cui la negazione del lavoro conduce ad una negazione della persona stessa.
3. Non mi dilungo comunque sul complesso fenomeno del cambiamento del lavoro e delle sue forme. “Benché si possa dire che il lavoro, a motivo del suo soggetto, è uno, tuttavia, considerando le sue oggettive direzioni, bisogna constatare che esistono molti lavori: tanti diversi lavori” (LE, n.8). E’ ovvio che questo mutamento costringe a ripensare le questioni relative alla dignità del lavoro, alla sua tutela, alla garanzia dei diritti della persona legati al lavoro, al ruolo dello stato e di tutte le altre organizzazioni politiche. Nel recente Convegno ecclesiale di Verona si è posta la questione della crescita di “forme di lavoro più rispettose delle persone, che ne sviluppano creatività e coinvolgimento” (IV Convegno ecclesiale nazionale, Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo, Traccia di riflessione, n.15, aprile 2005). L’attenzione alle nuove forme del lavoro sollecita ancor più, non solo nella nostra regione, l’attenzione per un forte ed urgente impegno collettivo per la giustizia nei luoghi di lavoro. Tale impegno peraltro ci viene continuamente riproposto dalla drammatica sequenza degli incidenti, spesso mortali, che colpiscono i lavoratori.
4. E’ opportuno ricordare che non c’è opposizione tra una visione del lavoro come espressione della vocazione della persona ed un’organizzazione sociale del lavoro secondo le regole dell’economia di mercato. L’esperienza storica ci ha infatti mostrato come “il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni” (Centesimus Annus, n.34). Naturalmente non sempre l’economia di mercato è in grado, per limiti strutturali, di raggiungere questi obiettivi: in questi casi la regolamentazione esterna, l’azione dei soggetti collettivi (in primo luogo i sindacati) e delle altre organizzazioni sociali e politiche, fanno si che i limiti del mercato siano corretti a beneficio della dignità della persona e dei suoi diritti e, non ultimo, a beneficio della stessa efficienza della produzione e dello scambio dei beni e dei servizi. La regolamentazione esterna può essere opportunamente perseguita con strumenti anche legislativi e in un’ottica di cooperazione tra organismi di rappresentanza dei lavoratori e organismi di rappresentanza dei datori di lavoro.
5. In questo possiamo dire che la sicurezza e la salute del lavoratori costituiscono beni non direttamente producibili dal mercato. Sebbene la cultura dell’economia di mercato sia una cultura della legalità e non dell’ingiustizia e dello sfruttamento, dobbiamo dolorosamente constatare come legalità e rigoroso rispetto della dignità della persona non trovino integrale accoglienza nella realtà quotidiana dei nostri luoghi di lavoro. Non possiamo tollerare il diffondersi di una cultura, alternativa a quella della legalità dell’economia di mercato, nella quale – con un ritorno a forme quasi manchesteriane di capitalismo – la sicurezza e la salute sono beni a carico di chi lavora. Una cultura nella quale, in sostanza, l’ambiente e le condizioni di lavoro vanno accettate così come sono.
6. Anche se in linea di principio cultura dei diritti nei luoghi di lavoro e cultura del mercato hanno la stessa matrice ideale, cioè la centralità della persona, riteniamo che occorra un impegno forte ed indiscutibile per riconciliare ciò che nella realtà dei fatti è stato ingiustamente separato. Il rispetto della sicurezza e della salute dei lavoratori è un campo nel quale assistiamo a questa sciagurata scissione. Il diritto “ad ambienti di lavoro e a processi produttivi che non rechino pregiudizio alla sanità fisica dei lavoratori e non ledano la loro dignità morale” (LE n.19) trova riscontro nei valori fondamentali della costituzione italiana, nei principi del nostro diritto del lavoro e nei principi dello stesso diritto comunitario. E’ da quest’ultimo che viene, in particolare negli ultimi anni, la spinta a considerare l’azione nel campo della salute e della sicurezza non come uno strumento per limitare la libertà di azione delle imprese ma come un modo per “modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo” (Libro verde della Commissione della comunità europea, 2006).
7. Vorrei richiamare alcuni principi da attuare in questo campo. Innanzi tutto, il principio di formazione e informazione dei lavoratori, come indice del valore del lavoro come espressione della persona. In secondo luogo, il principio di partecipazione, in base al quale è valorizzato il protagonismo dei singoli lavoratori e degli organismi che li rappresentano (in primo luogo i sindacati) come strumento indispensabile per una sana gestione del conflitto tra le diverse componenti dell’impresa (LE, n.20). In terzo luogo, il principio di responsabilità del lavoratore, nei confronti di se stesso degli altri colleghi, in relazione al rispetto degli obblighi e delle raccomandazioni in materia di sicurezza, di uso appropriato degli strumenti tecnologici, di esecuzione delle misure di prevenzione. In quarto luogo, il principio di integralità, nel rispetto di tutte le dimensioni della persona umana coinvolte nell’attività lavorativa (equilibrio tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro, divieto di azioni discriminatorie condotte sulla base dell’identità religiosa, culturale o geografica, divieto di azioni discriminatorie nei confronti delle donne, radicale emarginazione delle pratiche che hanno a che fare con le molestie sessuali, condanna di tutte quelle condotte che danneggiano la “personalità morale” di chi lavora). Infine, il principio di cooperazione, in base al quale la produzione dei beni della sicurezza e della salute è il frutto di un’azione comune di tutte le componenti dell’impresa, lavoratori e datori di lavoro.
8. E’ utile ricordare, infine, che non spetta direttamente alla comunità cristiana creare un giusto ordinamento nei rapporti di lavoro, in ordine ai tanti problemi della condizione del lavoro nella società italiana, non ultimi quelli spesso drammatici relativi alla condizioni di salute e di sicurezza. Si tratta di un compito che spetta alle istituzioni sociali – in primo luogo al diritto e, quindi, alla ragione pratica. La Chiesa ha tuttavia il “dovere di offrire attraverso la purificazione della ragione e attraverso la formazione etica il suo contributo specifico, affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili” (Deus Caritas Est, n.28). In questa ottica è quanto mai opportuno sostenere lo sforzo degli organi di governo regionali e dell’intera società civile umbra per mantenere un altissimo livello di attenzione, di analisi e di intervento sulle questioni legate alla sicurezza nei luoghi di lavoro, anche in relazione al permanere di un’area di lavoro sommerso che, sfuggendo ad ogni rilevazione, rende ancora più preoccupanti i dati regionali sull’andamento degli incidenti sul lavoro nel nostro territorio regionale. L’impegno delle istituzioni politiche regionali risulta, tra l’altro, ancor più rilevante in rapporto alla competenza regionale legislativa concorrente riconosciuta in questo campo dalla Costituzione italiana. Riteniamo che in questo campo l’applicazione del principio di cooperazione, attraverso gli strumenti della concertazione e del dialogo sociale, rappresenti un’equilibrata e indispensabile risposta al fallimento dei puri meccanismi del mercato.