Intervento al Convegno ad Assisi “Energie rinnovabili, ambiente e agricoltura
Durante il boom economico degli anni ‘50, crescevano di pari passo sia i consumi di energia che il benessere delle popolazioni provate dalla drammatica esperienza della guerra; l’economia mondiale era impegnata nella ricostruzione di città, nella realizzazione di nuove infrastrutture e nello sviluppo di nuove tecnologie e nuove attività industriali. La reazione alle privazioni del lungo periodo bellico spinse a costruire un benessere attraverso la realizzazione di una società opulenta. Tutto sembrava possibile sotto la spinta di una risorsa, il petrolio, che sembrava versatile ed infinita, da cui poter estrarre energia o trasformarla in nuovi materiali di sintesi. Tutto ciò avveniva in un mondo popolato da 3 miliardi di persone ma che avevano destini diversi nel sistema economico mondiale. In Europa, negli Stati Uniti e in Giappone – basandosi sempre su risorse importate a basso costo dalle colonie Africane ed Asiatiche, che progressivamente conquistavano l’indipendenza politica ma non certo quella economica, e dal Sud America in cui gli stati, dietro una indipendenza storicamente acquisita, vivevano ugualmente una situazione di forte dipendenza economica da parte dei paesi ricchi, che ne influenzavano nel bene e nel male anche le sorti politiche – si affermava sempre più una società opulenta. I crescenti consumi energetici di risorse non rinnovabili e quindi esauribili, che divenivano di conseguenza sempre più strategiche e da controllare, sono diventati causa di molti tra i conflitti di questi ultimi sessanta anni.
Il papa Benedetto XVI nell’enciclica “Caritas in veritate” ricorda a tutti:
Le questioni legate alla cura e alla salvaguardia dell’ambiente devono oggi tenere in debita considerazione le problematiche energetiche. L’accaparramento delle risorse energetiche non rinnovabili da parte di alcuni Stati, gruppi di potere e imprese costituisce, infatti, un grave impedimento per lo sviluppo dei Paesi poveri. Questi non hanno i mezzi economici né per accedere alle esistenti fonti energetiche non rinnovabili né per finanziare la ricerca di fonti nuove e alternative. L’incetta delle risorse naturali, che in molti casi si trovano proprio nei Paesi poveri, genera sfruttamento e frequenti conflitti tra le Nazioni e al loro interno. Tali conflitti si combattono spesso proprio sul suolo di quei Paesi, con pesanti bilanci in termini di morte, distruzione e ulteriore degrado. La comunità internazionale ha il compito imprescindibile di trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, con la partecipazione anche dei Paesi poveri, in modo da pianificare insieme il futuro. [Benedetto XVI, Caritas in veritate – 49].
Il flusso unidirezionale di risorse naturali dal Sud al Nord del mondo, se da una parte realizza la sognata società dell’opulenza, dall’altra genera una povertà diffusa che in alcuni paesi addirittura peggiora e in altri comunque migliora con estrema lentezza. Oggi, che l’umanità si avvia rapidamente verso i 7 miliardi di persone, con un sistema economico ancora ossessionato dalla crescita dei consumi ed ormai sempre più dipendente da risorse energetiche limitate ed esauribili come il carbone, il petrolio, il metano e l’uranio, la vita è a rischio proprio per quelle popolazioni che vivono in aree del pianeta da cui provengono gran parte delle risorse che alimentano le economie opulente. L’ultimo rapporto della FAO ci parla di una popolazione sotto-nutrita che oscilla intorno al miliardo, e l’oscillazione segue il prezzo del petrolio. Ciò avviene perché l’agricoltura di questi paesi è orientata, a causa del pesante debito economico, all’esportazione e non al consumo interno. E per la loro alimentazione questi paesi dipendono fortemente dall’importazione di cereali coltivati nel Nord del mondo con metodi intensivi e fortemente dipendenti dal petrolio, il cui prezzo ovviamente incide anche sul costo del trasporto. Bastano pochi centesimi di aumento del prezzo dei cereali che centinaia di milioni di persone si aggiungono all’enorme popolo degli affamati. La vita di gran parte dell’umanità dipende così dal prezzo di risorse energetiche destinato inevitabilmente ad aumentare via via che andranno verso l’esaurimento.
Il picco di estrazione del petrolio secondo molti analisti è stato ormai superato, dando inizio al declino quantitativo di questa risorsa che porterà nei prossimi decenni ad una crescita irreversibile dei costi di estrazione. Già oggi vediamo come la necessità di estrarlo da giacimenti sempre più remoti, nei fondali marini, porta ad un aumento dei rischi ambientali con le conseguenti catastrofi come quella vissuta in questi ultimi tempi negli Stati Uniti. Inoltre le energie fossili come il carbone il metano e il petrolio sono la causa dei cambiamenti climatici che minacciano anch’essi la produzione agricola, la disponibilità idrica, la sicurezza del territorio. Basti pensare alle drammatiche alluvioni che hanno devastato l’Asia facendo centinaia di vittime, lasciando senza casa e senza cibo milioni di persone.
Sono tanti gli interrogativi che mi vengono alla mente. Come si può pensare che per uscire dalla crisi economica basti rilanciare i consumi, quando è un eccesso di consumi di risorse esauribili nei paesi ricchi alla base delle crisi globali, sia economiche che ambientali? Come si può pensare di approfittare di una tecnologia come quella nucleare per godere di una energia ritenuta a basso costo solo perché il conto salato lo pagherà la generazione futura che dopo 40-50 anni si dovrà accollare l’elevatissimo costo dello smantellamento dei vecchi impianti e della gestione delle scorie ? Questa tecnologia che in cinquanta anni di applicazione industriale non ha ancora risolto il problema fondamentale della gestione finale delle scorie e della proliferazione di materiali a scopi militari, come nel caso dell’Iran, e che dopo tanti anni fornisce, secondo i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, appena il 6% dell’energia primaria utilizzata nel mondo e secondo le previsioni di questa agenzia non è destinata ad aumentare negli anni il suo contributo, può essere davvero una soluzione per l’Italia? Possono essere invece le energie rinnovabili una soluzione?
L’energia proveniente dal sole è il motore della vita sulla Terra, ne riceviamo una quantità pari a oltre 10.000 volte tutta l’energia utilizzata dall’umanità, genera inoltre venti e solleva l’acqua, produce legno ed altre biomasse, tutte energie che in parte già utilizziamo. E’ sicuramente la più abbondante fonte energetica in quanto ci sarà sempre, mentre le fonti non rinnovabili sono destinate ad esaurirsi. Inoltre, mentre il costo del petrolio del carbone e dell’uranio è in continua crescita e non può che continuare a crescere man mano che si esauriranno i giacimenti più facilmente raggiungibili, il costo delle fonti rinnovabili, donandoci il sole ovunque e comunque gratuitamente la sua energia, dipende solo dalle tecnologie di conversione e quindi non può che diminuire con il miglioramento e l’innovazione delle tecniche.
La soluzione alla grande questione energetica sembrerebbe già scritta in queste piccole banali considerazioni. Ma ci scontriamo con un paradosso: si dice che il sistema economico oggi non possa essere alimentato se non molto parzialmente dalle energie rinnovabili, mentre per quanto detto, in futuro non potrà che essere alimentato da queste fonti. E’ un paradosso tipico dei punti di svolta, quando il presente non può essere più una semplice replica del passato e siamo chiamati a costruire un futuro diverso, quando le cose vecchie devono uscire di scena e lasciare il posto al nuovo. Il paradosso nasce infatti dal fatto che tutto il sistema produttivo è stato costruito sulle caratteristiche del petrolio e delle altre fonti non rinnovabili; si tratta di energie concentrate nei giacimenti da estrarre e trasportare nelle centrali dove vengono trasformate e distribuite. L’energia solare è invece disponibile ovunque e per tutti in grande abbondanza ma in forma dispersa e poco concentrata. Se questo è un difetto per l’attuale sistema produttivo, impegnandoci a fondo a sviluppare le tecnologie adatte per costruire un futuro in cui tutte le produzioni possano essere alimentate da questo tipo di energia, la presenza ovunque e diffusa del sole diventerà una grande opportunità di equa diffusione del benessere e di superamento dei conflitti per l’accaparramento delle risorse.
Nel futuro post-petrolio, gli agro-sistemi diventeranno le principali “centrali di trasformazione” dell’energia solare. Accanto alla produzione prioritaria di alimenti, quelli che oggi sono scarti dovranno divenire materie prime per la produzione di bioenergie e nuovi materiali. Ciò presuppone la ricostruzione con moderne tecnologie di quei cicli naturali imprudentemente interrotti dall’agricoltura intensiva dipendente dal petrolio. L’utilizzo e il riciclo degli scarti servirà anche a ripristinare la salute e la fertilità dei terreni rendendoli meno vulnerabili ai cambiamenti climatici.
L’Italia in questo gode di un grande vantaggio, che dovrebbe spingerla ad assumere un ruolo di avanguardia in questa rivoluzione energetica e tecnologica: noi non possediamo significativi giacimenti di petrolio, carbone e metano, né di uranio, mentre abbiamo le aree più soleggiate d’Europa, a cui si aggiunge una disponibilità di calore geotermico come poche altre aree al mondo. Inoltre oggi, per quanto riguarda l’elettricità, secondo i dati dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, abbiamo una potenza installata superiore dell’80% al picco massimo di richiesta mai raggiunto, e questo ci dovrebbe garantire un po’ di tranquillità per dedicarci al futuro. Eppure, anche nel nostro paese gli investimenti sembrano più orientati a perpetuare il vecchio sistema e le tecnologie convenzionali finché sarà possibile, piuttosto che intraprendere con decisione e coraggio la strada nuova.
Per costruire un futuro migliore per noi, per i nostri figli e per il resto dell’umanità dobbiamo superare l’avidità e l’ossessiva ricerca di un profitto da realizzare subito, di un benessere fondato solo sul possesso di cose e sull’accaparramento di risorse limitate perseguito ad ogni costo e a scapito degli altri. L’ossessiva ricerca della crescita dei consumi, genera una umanità da una parte sofferente e dall’altra sempre insoddisfatta, sempre alla ricerca di nuove cose, protesa ad inseguire promesse di felicità mai mantenute, volutamente non mantenute, perché possono nascere nuovi desideri di nuove cose, in un vortice che avvolge uomini e natura. Occorre superare quell’attitudine che porta ad un consumo infinito che irrobustisce gli egoismi e genera invidie e conflitti. E’ indispensabile una nuova scelta di vita improntata alla sobrietà, forse meno ricca di cose e più ricca di valori. Quanto mai provvidenziali per capire una situazione così delicata sono le parole del Papa da quella straordinaria enciclica, già citata, “Caritas in veritate”:
Il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo. L’esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà. [Benedetto XVI, Caritas in veritate – 21].
Non dobbiamo avere paura del futuro solo perché non potrà essere uguale al passato. Dobbiamo invece guardare avanti con lungimiranza e coraggio. Il Signore ci ha affidato un mondo dove non manca nulla. Se il futuro sarà migliore o peggiore del passato dipende solo da noi e dalle scelte che facciamo nel presente:
La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l’autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr Rm 12,21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà. [Benedetto XVI, Caritas in veritate – 9]