Messa Giovedì Santo – Pasqua 2002

Messa Giovedì Santo - Pasqua 2002

“Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi”, disse Gesù ai suoi discepoli all’inizio della sua ultima cena, prima di morire. Quest’anno la coincidenza della Pasqua ebraica con quella cattolica ci fa sentire ancor più profondamente questo desiderio di Gesù di stare con i suoi. In verità, per Gesù, è un desiderio di sempre; vorrei dire un bisogno di sempre: egli vuole stare con i suoi. Lo desiderava allora e lo desidera anche questa sera. Forse è bene chiederci se noi desideriamo stargli vicino, almeno un poco; se sappiamo offrirgli quel poco di compagnia e di affetto di cui è ancora capace il nostro cuore. Se ci guardiamo indietro vediamo sempre lui fare di tutto per starci vicino, per legarci al Vangelo.


Quante volte – come canta un antico inno – “quaerens me, sedisti lassus?” (“Quante volte, Signore, ti sei seduto stanco, a forza di rincorrermi?”). Questa sera – è l’ultima della sua vita – Gesù continua, in un supremo slancio di amore, a legarsi definitivamente ai discepoli. Abbiamo ascoltato dalla prima Lettera di san Paolo ai Corinzi che, mentre stava a tavola con i Dodici, prese il pane e lo distribuì dicendo: “Questo è il mio corpo spezzato per voi”. La stessa cosa fece con il calice: “Questo è il mio sangue, sparso per voi”. Sono le parole che ripeteremo tra poco sull’altare, e sarà lo stesso Signore ad invitare ciascuno di noi a nutrirsi del pane e del vino consacrati. Gesù ha “inventato” l’impossibile (del resto l’amore vero non sa creare cose impossibili?) per restarci accanto, per essere vicino ai discepoli di ogni tempo. Non solo vicino, addirittura dentro di loro: si fa cibo per diventare carne della nostra carne. Quel pane e quel vino sono il nutrimento disceso dal cielo per noi, uomini e donne pellegrini per le vie di questo mondo. Quel pane e quel vino sono medicina e sostegno per la nostra povera vita: curano le malattie, liberano dai peccati, sollevano dall’angoscia, liberano dalla tristezza. Non solo. Rendono simili a Gesù, aiutano a vivere come lui viveva, a desiderare le cose che lui desiderava. Quel pane e quel vino fanno sorgere in chi li riceve sentimenti di bontà, di servizio, di affetto, di tenerezza, di amore, di perdono.


Appunto, i sentimenti di Gesù. La scena evangelica della lavanda dei piedi che questa sera ci è stata annunciata, continua a mostrare che cosa significa per Gesù essere pane spezzato e vino versato per noi e per tutti. A cena inoltrata – abbiamo ascoltato dal Vangelo – Gesù si alza da tavola, depone le vesti e si cinge i fianchi con un asciugatoio, poi prende un bacile con dell’acqua, si dirige verso uno dei dodici, si inginocchia davanti a loro e gli lava i piedi. E fa così con ogni discepolo, anche con Giuda che sta per tradirlo; Gesù lo sa, ma si inginocchia ugualmente e gli lava i piedi. Pietro, forse è l’ultimo, appena vede avvicinarsi Gesù, reagisce: “Signore, tu lavi i piedi a me?”. Povero Pietro, non ha ancora capito nulla! Non ha compreso che a Gesù non interessa quel tipo di dignità che il mondo desidera e spasmodicamente cerca. Gesù, ancora una volta, spiega: “Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come uno che serve”. Gesù ama i suoi discepoli e ognuno di noi con un amore sconfinato, nel senso letterale del termine, davvero senza fine. La dignità di Gesù non risiede nel restare in piedi, diritto, davanti ai suoi; la sua dignità è tutta nell’amare i discepoli sino alla fine, nell’inginocchiarsi sino ai loro piedi. E’ la sua ultima grande lezione da vivo: “Sapete ciò che vi ho fatto? – dice alla fine della lavanda – Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io, facciate anche voi”. Il mondo educa a stare in piedi ed esorta tutti a restarci. E se manca lo spazio, giustifica spinte ed esclusioni.


Il Vangelo del Giovedì Santo esorta i discepoli a chinarsi e a lavarsi i piedi gli uni gli altri. E’ un comando nuovo. Non lo troviamo tra gli uomini. Non nasce dalle nostre tradizioni, tutte ben solidamente contrarie. Tale comando viene da Dio; ed è un grande dono che questa sera riceviamo. Gesù l’ha applicato per primo. Beati noi se lo comprendiamo! Nella santa Liturgia di questa sera la lavanda dei piedi è solo un segno, una indicazione della via da seguire: lavarci i piedi gli uni gli altri, a partire dai più deboli, dai malati, dagli anziani, dai carcerati, dai più poveri, dai più indifesi. Il Giovedì Santo ci insegna come vivere e da dove iniziare a vivere: la vita vera non è quella di stare diritti nel proprio orgoglio; la vita secondo il Vangelo è piegarsi verso i fratelli e le sorelle, iniziando dai più deboli. E’ una via che viene dal cielo, eppure è la via più umana che possiamo desiderare. Tutti, infatti, abbiamo bisogno di amicizia, di affetto, di comprensione, di accoglienza, di aiuto. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si chini verso di noi, come anche noi di chinarci verso i fratelli e le sorelle. Il Giovedì Santo, è davvero un giorno umano: il giorno dell’amore di Gesù che scende in basso, sino ai piedi dei suoi amici. E tutti sono suoi amici, anche chi lo sta per tradire. Da parte di Gesù nessuno è nemico, tutto per lui è amore. Lavare i piedi non è un gesto è un modo di vivere.


Terminata la cena, Gesù si incammina verso l’orto degli ulivi. Da questo momento non solo si inginocchia sino ai piedi dei discepoli, scende ancora più in basso, se è possibile, per dimostrare il suo amore. Nell’orto degli ulivi si inginocchia ancora, anzi si stende a terra e suda sangue, per il dolore e l’angoscia. Lasciamoci coinvolgere almeno un poco da quest’uomo che ci ama di un amore mai visto sulla terra. E mentre ci fermiamo davanti al sepolcro, diciamogli il nostro affetto e la nostra amicizia. Quanto sono amare quelle parole che disse ai tre che stavano con lui nell’orto: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?” Oggi, più che noi, è il Signore ad aver bisogno di compagnia e di affetto. Ascoltiamo la sua implorazione: “L’anima mia è triste sino alla morte; restate qui e vegliate con me”. Chiniamoci su di lui e non facciamogli mancare la consolazione della nostra vicinanza.


Signore, in quest’ora, non ti daremo il bacio di Giuda, ma come poveri peccatori ci chiniamo ai tuoi piedi e, imitando la Maddalena, continuiamo a baciarli con affetto.