Ordinazione sacerdotale Don Stefano Mazzotti
“Care sorelle, cari fratelli,
la cattedrale, questa sera, è particolarmente festosa. Se attorno è buio, noi siamo nella luce e pieni di gioia. Questa domenica che chiude l’anno liturgico facendoci contemplare Gesù, re dell’universo, è segnata dalla ordinazione presbiterale di un nostro fratello, don Stefano. Ed è tra i momenti più belli e significativi della vita di una chiesa. Siamo venuti in tanti ad accogliere don Stefano, che entra nel presbiterio della diocesi. E permettetemi di dire grazie anzitutto a Mons. Gualdrini che ha accolto e accompagnato don Stefano fin dalla sua terra. Così pure saluto di cuore i genitori e i familiari di don Stefano, che sono giunti assieme ad una rappresentanza della parrocchia nativa guidata dal parroco. E poi il Collegio Caprinica con il rettore che è stato il luogo della sua formazione: siate i benvenuti. Assieme a voi cari sacerdoti e diaconi, e a voi, carissimi giovani che siete venuti così numerosi, tutti ci stringiamo attorno a don Stefano scelto da Dio per essere suo ministro. Egli, dopo aver ascoltato la chiamata del Signore, ha risposto “si”. Ha lasciato non solo la sua terra nativa per servire il Signore in questa chiesa, ma soprattutto ha offerto la sua vita perché stesse tutt’intera nelle mani di Dio. Ho desiderato che foste voi giovani anzitutto ad accoglierlo, che foste voi per primi a toccare con mano la gioia di rispondere al Signore che chiama. Facciamo bene a fare festa oggi attorno a don Stefano. Questa ordinazione sacerdotale, infatti, ci ridona il sogno sul mondo, ci fa capire che è possibile vivere una vita bella e piena senza essere condannati ad una esistenza un po’ triste, con una felicità scialba e un amore sbiadito. E’ vero, oggi è difficile sognare un mondo nuovo. Tutti siamo stati come schiacciati nell’angolo della rassegnazione. Non è possibile una vita migliore, un mondo diverso dall’attuale. Questo realismo rassegnato ci ha man mano spinti dentro la spirale di una guerra che non sembra avere confini né di luogo né di tempo. Tutti siamo più paurosi, più incerti, più chiusi, più rassegnati. E ci interroghiamo su come sarà il domani, il domani nostro e quello del mondo. E intanto tutti corriamo a rinchiuderci in noi stessi, diffidenti verso gli altri, specialmente se diversi da noi o dal nostro ambiente. E’ diventato facile pensare, e anche parlare di superiorità di una civiltà sull’altra e, peggio ancora, di scontro e di guerra tra religioni. Prevale, insomma, l’antica e sempre attuale logica del salvare se stessi a qualsiasi costo, anche con lo scontro e la guerra. Questa santa liturgia dell’ordinazione sacerdotale è una luce in questa notte. Essa ci fa sognare un mondo diverso da quello guidato dall’egocentrismo e dall’amore per se stessi. Questa sera siamo partecipi di un altro mondo, quello in cui è il Signore a regnare. L’apostolo Paolo ce lo dice: voi siete stati “liberati dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno del suo Figlio diletto”. Siamo davvero dei “trasferiti”, o se volete degli “emigrati”, emigrati da un mondo violento verso il mondo dell’amore e della pace. Questa sera viene consacrato un operaio per questo mondo, per questo regno. Don Stefano è stato chiamato a quest’opera. E in questa celebrazione gli viene chiesto davanti a tutti se è disposto a compiere l’impegno che gli viene affidato. E lo vedremo disteso a terra, mentre invochiamo i santi del cielo, come ad esprimere anche fisicamente la sua totale disponibilità. E’ un momento commovente che, tuttavia, interroga anche ciascuno di noi. Il Signore infatti cerca tali operatori. Egli continua a percorrerete le nostre piazze, nelle diverse ore del giorno, per chiamare operai. Ce n’è bisogno. Abbiamo l’orecchio attento? Abbiamo un cuore pronto, generoso? Gesù chiede operai che attuino il sogno di un nuovo mondo. Lui sta davanti a noi. Potremmo dire che lui stesso è il primo operaio, il primo realizzatore di un mondo di pace. Gesù non è rimasto chiuso in se stesso, o fermo nelle sue abitudini. Ed erano abitudini da paradiso! Egli ha lasciato persino il paradiso pur di starci accanto. Ha amato noi più di se stesso. Eccolo davanti a noi. E’ il crocifisso che Francesco d’Assisi ha contemplato. E’ la croce che ci accompagnerà verso la prossima GMG. Oggi, sta davanti a noi, sta davanti a te, caro don Stefano. Quel venerdì santo, come abbiamo ascoltato dal Vangelo di Luca, tutti gli gridavano: “salva te stesso!” Glielo dicevano i capi dei sacerdoti, glielo gridavano i soldati, e glielo urlava anche uno dei ladri appeso accanto a lui. Le persone erano diverse, ma il ritornello era sempre lo stesso: “Salva te stesso!” Ma come poteva Gesù salvare se stesso, lui che era venuto per amare e salvare gli altri? Con questo amore Gesù ha sconfitto il realismo gretto di questo mondo che ha la sua radice proprio in questa spasmodica ricerca dell’amore per se stessi. Gesù è venuto per amare e per salvare gli altri. Caro don Stefano, l’essenza del sacerdote è racchiusa tutta in questo amore, un amore che non conosce limiti, esigente, audace, largo quanto è largo il mondo. Di questo amore abbiamo tutti bisogno, e particolarmente oggi. Essere sacerdote in questo tempo, all’inizio del nuovo secolo e dopo l’11 settembre, richiede un’audacia e una generosità ancor più grande di quelle di ieri. Non si è sacerdoti sempre allo stesso modo. Oggi o si è santi, ossia immagine vera di Gesù, o si rischia di essere complici della tristezza di questo mondo. Tu, don Stefano, dovrai testimoniare quel Gesù così come appare nei Santi Vangeli, così come sta davanti a noi questa sera. Non vieni ordinato sacerdote per servire te stesso, e neppure per realizzare te stesso o per seguire le tue aspirazioni. No, il sacerdozio non è una tua voglia. E’ essere partecipi di un sogno più grande del tuo. E’ essere parte di un disegno molto più ampio di quello che tu stesso puoi desiderare o immaginare. Tu sei chiamato per partecipare alla costruzione di un mondo ove l’amore per gli altri è più forte dell’amore per se stessi, ove la misericordia e il perdono sconfiggono la tristezza e l’egocentrismo. Per questo, se fino ad ora tu potevi vivere per te, pensare per te, preoccuparti per te, da oggi tu vivi per il Signore e per il suo popolo, per la sua Chiesa e per il mondo. Ti viene dato un cuore largo che batte all’unisono con quello del Signore. Sii perciò sollecito nel comunicare il Vangelo a tutti. Ricordati che il Vangelo non è una parola fiacca, vuota, che ha bisogno di mezzi umani per essere più attraente e proponibile. Il Vangelo è forte, è una parola autorevole che salva, che perdona, che tocca il cuore, che cambia la vita. Certo, per esserne testimone è necessario che tu ne sia prima ascoltatore attento. Sì, don Stefano, non dimenticare di ascoltare il Vangelo. Lascia che il Signore plasmi il tuo cuore e illumini la tua mente con questa parola che penetra sin nelle midolla. E’ questa parola che ti dona “gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù”, come dice Paolo. E sarai, allora, discepolo e pastore, figlio e padre. Ricordati, non si può essere l’uno cosa senza l’altro. Solo chi ha imparato ad essere figlio e a restare per sempre tale, può comprendere cosa vuol dire essere pastore. Per questo Gesù dice: “Voi non fatevi chiamare rabbì, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli” (Mt 23,22). A te viene, inoltre, dato il ministero di presiedere la celebrazione dell’eucarestia. E, “in persona Christi”, tu dirai: “Questo è il mio corpo spezzato per voi, questo è il mio sangue versato per voi”. La liturgia eucaristica sia il cuore delle tue giornate, il momento nel quale tu prepari il tuo corpo, la tua vita, per essere “spezzato” per la gente e il tuo sangue, il cuore, per essere “versato” per il Vangelo. E la liturgia eucaristica della domenica sia il momento della festa dell’amore, il momento in cui i figli si radunano attorno al Padre comune e si scoprono fratelli e sorelle, non solo di nome, ma realmente. La domenica torni ad essere il giorno della festa dei figli con il Padre. Amministrerai anche gli altri sacramenti, perché coloro che li riceveranno sia tutti edificati sino a formare l’unico corpo di Cristo. Tutta la tua azione pastorale è diretta alla creazione di quest’unico corpo del Signore; tutto devi fare e operare perché tutti formino un’unica famiglia, quella di Dio. Caro don Stefano sii buono con tutti, fatti tutto a tutti per attrarli al Signore. E soprattutto tieni in considerazione i più poveri e i deboli, i malati e gli esclusi. In essi è presente il Signore. Abbi per loro la stessa cura che hai per la Parola del Signore, la stessa attenzione che hai per l’Eucarestia. In tutti e tre i casi si tratta dello stesso corpo del Signore. Non dimenticare che sei un discepolo che volentieri e con gioia si pone al servizio del Signore e del suo Vangelo. Ti troverai accanto Maria, la serva, la prima serva del Signore. Assieme a lei, ancora una volta, dì al tuo Signore: “Eccomi, sono il tuo servo, avvenga a me secondo la tua Parola”.
Amen”.