San Valentino 2004
Caro mons. Gualdrini, gentili autorità, cari sacerdoti,
fratelli e sorelle tutti,
ci ritroviamo su questo colle attorno al nostro patrono, San Valentino, in un momento particolarmente delicato per la nostra città. Ancora una volta Terni è preoccupata per il suo futuro; ancora una volta è chiamata a fare i conti con la sua identità; ancora una volta deve affrontare la durezza delle leggi dell’economia e del mercato. Facciamo bene a raccoglierci qui perché è già avvenuto un miracolo. E’ stata allontanata una decisione ingiusta e crudele che ci era stata freddamente sbattuta in faccia. E soprattutto abbiamo vissuto il miracolo di una straordinaria solidarietà cittadina, di una calda e appassionata vicinanza della Regione Umbria, dell’intero paese e della stessa Europa. Tanti sono stati i messaggi giunti alle autorità civili a me personalmente: da quello dei vescovi umbri ad altri vescovi italiani, come quello di Livorno, dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, e da altre personalità nazionali e internazionali. Ma permettetemi di rivolgere un filiale e grato ringraziamento a Giovanni Paolo II che ha fatto suo il problema delle acciaierie di Terni e dei suoi lavoratori. Si è fatto nostra voce, nostra difesa, davanti al mondo. Quelle parole dette da Piazza San Pietro, mentre scendevano pesanti come l’acciaio sui responsabili di una decisione iniqua, facevano piangere di commozione tutti noi, a partire dai lavoratori recatisi in pellegrinaggio a piedi a Roma, un viaggio che Valentino varie volte ha fatto, e nello stesso tempo ci hanno ridato una forza che ci ha permesso di riaprire il cielo che ci era stato chiuso.
Oggi siamo qui, attorno a San Valentino, come per ripartire da lui. Sì, ripartire dall’amore. Se abbiamo piegato ciò che era rigido è stato per la forza dell’amore, per l’ampiezza della solidarietà. E’ una grande lezione di vita che dobbiamo apprendere anche per il futuro. Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci parla della vite e dei tralci e dell’amore che il Signore si dona. Voi sapete che nel linguaggio biblico la vigna è Israele, il popolo che Dio si è scelto e che ha curato con incredibile amore perché portasse frutti buoni. Gesù applica a sé questa immagine: è lui la vite e noi siamo i tralci. Sì, chi resta unito alla vite porta frutto, chi si stacca si secca. Valentino è un esempio di come si resta uniti a Gesù, di come si porta frutto se si lascia scorrere nelle vene l’amore evangelico. Valentino resta un esempio da conoscere e da imitare: se noi ascoltiamo il Vangelo ci apriremo all’amore, appunto come San Valentino. Se questa città lascia scorrere nelle sue vene la linfa della solidarietà, anch’essa porterà frutti. Ma se questo non avviene, noi saremo come i rami secchi e la città come Babele. La lettura del libro della Genesi ci mostra la tragedia che nasce dall’orgoglio, che mai è all’origine di progresso e di solidarietà. L’orgoglio sempre divide gli uomini, sempre li mette gli uni contro gli altri e porta le città alla deriva e alla sconfitta.
Potremmo dire che in questi giorni è stata diversa l’esperienza che abbiamo vissuto qui tra noi. Dobbiamo tuttavia leggerla con attenzione perché il futuro non ci sfugga dalle mani, perché le leggi dell’economia non sovvertano la dignità dell’uomo e del suo lavoro, come il Papa aveva già detto in quel lontano 19 marzo 1981 quando visitò la nostra acciaieria. Nella sua lettera enciclica “Centesimus annus”, Giovanni Paolo II scrive ancora che “il profitto è un regolatore della vita dell’azienda, ma non è l’unico: a esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che, nel lungo periodo, sono almeno egualmente essenziali per la vita dell’impresa”(n.35). Questo sta a dire che tutti i soggetti coinvolti nell’impresa debbono avere voce nelle decisioni che ne determinano il destino, così come la comunità locale che fornisce risorse umane e beneficia della ricchezza prodotta è chiamata ad esprimere il proprio punto di vista, specie quando – come nel nostro caso – sembrano sfuggire le ragioni produttive che sostengono le radicali decisioni annunciate.
Ma le ragioni della preoccupazione ed i motivi di legittimo disagio non bastano. E’ necessario evitare di cadere in un atteggiamenti solo difensivi e miopi, che impantanano nelle secche di antiche dispute e di orientamenti superati di un mondo che non esiste più. Lo stesso Papa ricorda che l’apertura dei mercati, la connessione tra le economie nazionali, l’abbattimento della barriere protezionistiche sono processi positivi e fecondi se fondati su “un equo accesso al mercato internazionale e […] sulla valorizzazione delle risorse umane” (G.P.II, Centesimus annus, n.33).
La nostra città deve dunque guardare a questo difficile momento della sua vita avendo gli occhi rivolti al futuro. E’ ovvio che si deve far tesoro dell’esperienza di questi ultimi anni, dei fallimenti e dei successi di tutte le strategie e delle azioni realizzate dai soggetti politici, economici ed imprenditoriali per arricchire l’identità della città e rendere possibili diversi modelli di crescita e di benessere. In questa prospettiva molte questioni aperte in questi anni dovranno essere oggetto di approfondimento. Penso – ad esempio – ai risultati non sempre soddisfacenti per rendere Terni e il suo territorio accogliente e creativo per dare più slancio a nuove iniziative imprenditoriali; o alle difficoltà del protagonismo imprenditoriale locale; o ancora alla generale lentezza per aumentare le potenzialità di questo territorio; oppure alla timidezza con la quale si guarda all’Università come fattore di crescita; ed anche alle opacità con cui la stessa comunità cristiana talora guarda ai problemi dell’economia locale e del lavoro.
Tutti siamo certamente impegnati per migliorare Terni e per renderla più solidale, più europea, più universale. Ma questo richiede maggiore intelligenza, più sollecitudine nell’anticipare i problemi e più attenzione nell’aprirsi a nuove prospettive. Senza questo sforzo la giusta e legittima difesa dell’identità e della storia di Terni che in questi giorni stiamo affrontando rischia di trasformarsi in una nuova occasione perduta. Non spetta certo a me indicare quelle soluzioni che invece debbono scaturire dal confronto e dalla ricerca comune, che non escludono anche fasi di conflitto sociale, purché civilmente ordinato. Tuttavia – proprio allo scopo di meditare sul passato recente con gli occhi rivolti al futuro – sento la responsabilità, in questo giorno in cui tutti ci raccogliamo attorno al santo patrono, di proporre qualche modesta riflessione.
L’identità della nostra città non è fissata una volta per tutte: essa è in costante mutamento. Mentre affonda le radici nella sua grande tradizione industriale, deve altresì proseguire in un processo di diversificazione e di arricchimento su cui ha già peraltro ha iniziato a camminare. Per far questo si chiede a tutti un nuovo e più robusto impegno di riflessione oltre che di iniziativa. Si tratta infatti di individuare obiettivi strategici per l’intera città e di coinvolgere in essi gli interessi dei diversi soggetti collettivi. Vanno superati presto e con decisione gli egoismi di gruppo, la difesa corporativa dei microinteressi, vigilando che il dialogo ed il confronto non siano occasione per far prevalere i veti e gli interessi di pochi. Questo comporta che Terni ed il suo territorio si inseriscano nei sistemi più vasti e che intreccino rapporti sia sul piano europeo che in quello internazionale. E’ ovvio che le riflessioni in tale contesto sono molteplici e sarà necessario portarle avanti nelle apposite sedi. E non posso tacere che tale dibattito deve far parte anche del prossimo passaggio elettorale che interessa la nostra città: alla qualità politica e morale degli amministratori che siamo chiamati a scegliere si deve aggiungere una loro preparazione culturale. L’onestà, la competenza, la cultura e l’audacia per il bene comune di tutti dovrebbero caratterizzare la classe amministratrice chiamata a guidare la Terni di questo inizio secolo.
E, in tale contesto, permettetemi anche solo di accennare al ruolo della cultura come fattore di crescita di questa nostra città. Investire sulla cultura significa investire sulle persone che sono comunque la risorsa fondamentale di ogni società. E a Terni se c’è un aspetto da arricchire con particolare attenzione è il rapporto della cultura con il mondo del lavoro nella sua ampiezza. Si tratta di sviluppare le condizioni migliori per far emergere una “classe creativa”, ossia persone in grado di confrontarsi con le sfide del futuro. Non va dimenticato che il risultato raggiunto in questi giorni è stato possibile perché in tanti hanno concorso in modo armonico e creativo con le proprie potenzialità. Le diverse istituzioni, lo dico anche per la Chiesa diocesana, sono chiamate ad investire maggiormente sulla cultura, senza esitazioni, senza riserve mentali o calcoli opportunistici di breve periodo.
Care sorelle e cari fratelli, tutto questo non avviene però facendo un semplice proposito di buona volontà. E’ necessaria una nuova linfa spirituale che coinvolga ciascuno di noi e l’intera città. Sì, abbiamo bisogno di un risveglio spirituale se vogliamo un futuro nuovo per Terni. E tale risveglio non è né scontato né facile; richiede disciplina, attenzione, fatica, intelligenza, generosità, audacia. L’immagine della vite e i tralci suggeritaci dal Vangelo ci fa comprendere che la città non può vivere di un solo tralcio e che nessuno può vivere solo per sé; che tanti tralci debbono ancora sorgere. Ma tutti debbono essere percorsi da nuova spiritualità, da una nuova energia. L’apostolo Paolo esorta a spogliarsi dell’uomo vecchio con le sue azioni: ira, passione, malizia, maldicenza e parole oscene, per rivestirsi dell’uomo nuovo. Lo sappiamo bene tutti per esperienza: è facile lasciarsi dominare dalla pigrizia interiore che sfocia in un avaro egocentrismo; è facile lasciarsi sorprendere da quel conservatorismo rassegnato che fa vedere e difendere solo i propri piccoli e gretti privilegi. E questo può accadere nel cuore di ciascuno di noi, e accade sia nella comunità cristiana che nella comunità civile, sia nelle istituzioni pubbliche che in quelle private. Il rinnovamento di Terni deve ripartire anzitutto da uno spirito nuovo, da un cuore nuovo. Solo se ci rinnoviamo nel cuore, solo se lo apriamo al Vangelo, solo tutti, vorrei dire anche chi non crede, ad un sussulto spirituale, solo così sapremo mettere mano ad un nuovo futuro per noi e per la nostra città. Se resteremo prigionieri della nostra pigrizia spirituale saremo poco cristiani e anche poco cittadini. Rinnovamento interiore significa che nessuno di noi può continuare a pensare e a vivere come sempre ha fatto, che non possiamo più essere cristiani come sempre. Ascoltiamo l’apostolo Paolo: “La Parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente”. Vi è stato consegnato il Vangelo: ascoltiamolo ogni giorno. S’, vorrei dire che il Vangelo è come il forno delle acciaierie: deve restare sempre acceso, non si può spegnere. Se leggeremo il vangelo ogni giorno avremo un sogno in più, un’ambizione in più, una forza in più. Noi e Terni cambieremo se cresceremo nell’amore, nella solidarietà, nel dialogo, nell’impegno a trasformare il mondo. Se resteremo legati al Vangelo si realizzano anche per noi le parole di Gesù: “Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto… e la mia gioia sarà in voi e la vostra gioia sarà piena”. San Valentino ci aiuti ad accogliere il Vangelo nel cuore e a vivere con amore.