Edificazione a santuario di San Francesco

Edificazione a santuario di San Francesco

Autorità, carissimi frati, cari salesiani, care sorelle e fratelli tutti,


è un giorno di festa per questa parrocchia di san Francesco, che vede la sua chiesa proclamata santuario. I padri salesiani l’hanno voluto con determinazione ed io volentieri ho accolto la loro richiesta e li ringrazio per il lavoro pastorale che da decenni svolgono a Terni. Ringrazio di cuore, inoltre, i frati del Sacro Convento per aver portato in questa occasione alcune preziose reliquie di San Francesco: esse ci aiutano a rivivere i giorni lontani della presenza del giovane assisiate a Terni. Quanto avrei desiderato essere presente anch’io a Terni nei giorni in cui veniva san Francesco! Come alcuni di voi ricordano, volli, al termine della mia consacrazione episcopale, ricordare l’incontro tra il nuovo vescovo di Terni, Rainero, e Francesco. Scrivono le Fonti: “Avendo Francesco predicato al popolo di Terni in una piazza della città, finito il discorso, il vescovo, uomo prudente e di viva spiritualità, si alzò e disse alla gente: ‘Il Signore, fin da quando piantò e costruì la sua Chiesa, sempre la illuminò con santi uomini, che l’hanno onorata con le parole e con l’esempio. E ai nostri tempi, la rende luminosa per mezzo di questo poverello, Francesco. Per questo siete obbligati ad amare il Signore, a onorarlo, a sfuggire i peccati: invero, Dio non ha fatto una cosa simile per nessun altra nazione”(Fonti, n.1731). Il vescovo volle entrare con lui in cattedrale. La scena è stata ripresa nel ciclo pittorico di Di Stasio nella chiesa di Valenza. Non era solo una vicinanza fisica. Rainero voleva significare che il suo ministero pastorale era segnato dalla testimonianza di Francesco. Sì, voleva che la sua chiesa diocesana, che riprendeva vita dopo una lunga parentesi, fosse segnata dallo stile di vita di Francesco.


Ebbene, care sorelle e cari fratelli, vorrei che la dichiarazione della Chiesa di San Francesco come santuario, in certo modo, significasse per l’intera Chiesa diocesana il segno di una sua rinascita secondo lo spirito di Francesco. Vorrei far mie le parole di Rainero e dire ancora a me stesso e a voi tutti: “Siamo obbligati ad amare Dio e a onorarlo, perché Egli non ha fatto una cosa simile per nessuna nazione”. Sì, il fatto che questo terra, che questo luogo ha ricevuto la predicazione di Francesco di Assisi, è certamente una gloria, ma è anche un impegno. Quante Chiese desidererebbero tale privilegio! Sapete che il vescovo Rainero, dopo questo incontro – era il 1218 – espresse a Francesco il desiderio che stabilisse una sua dimora nella città. E Francesco si ritirò “fra i campi e orti che si estendevano a ovest della città in una delle plaghe allora più tranquille e deserte, presso la cinta delle mura urbane, il palazzo dei papi e la contrada che poi assunse il nome dei Camporeali”. E qui Francesco fece costruire alcune capanne per i suoi frati. Fu subito considerato come un santuario sino alla costruzione dell’attuale chiesa edificata sull’esempio della Basilica Superiore di Assisi, come a voler imitare anche architettonicamente la testimonianza di San Francesco. E non è senza significato che la proclamazione di questa chiesa a santuario coincida con il 750° anniversario della fondazione della Basilica Superiore. Sono tutte circostanze che stanno ad indicare la singolarità di questo evento che vorrei segnasse l’intera città di Terni.


Sì, vorrei che tutta Terni si impregnasse dello spirito di san Francesco. Non si tratta di cogliere un devozionismo di maniera, bensì di una fermento evangelico di cui ciascuno di noi e il mondo intero ha bisogno. Il mondo ha bisogno che Francesco torni. E torni presto. Davanti ai nostri occhi c’è un mondo che sprofonda sempre più velocemente verso l’abisso. Si diffondono con incredibile facilità guerre e conflitti, mentre cresce in arrestato un clima di violenza e di odio, di intolleranza e di sopraffazione. L’intera società sta diventando più egoista e più violenta. E i cuori degli uomini sembrano incrudelirsi. C’è bisogno di Francesco. C’è bisogno che questa nostra città viva ancor più con lo spirito di questo singolare discepolo di Gesù. Egli messo in pratica alla lettera il Vangelo e ha indicato a tutti la strada della vita: quella della preghiera, dell’amore, dell’incontro, del dialogo e del confronto.


Lo vedo tornare, oggi, in mezzo a noi. Sì, lo vedo entrare in questo santuario e ascoltare anche lui il Vangelo dell’Ascensione di Gesù al cielo. Francesco comprende che l’ascensione significa che Gesù è salito più in alto e ha raggiunto il cuore stesso Dio. Scrive la Lettera agli Ebrei: “Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, ma nel cielo stesso, allo scopo di presentarsi ora al cospetto di Dio in nostro favore” (Eb 9, 24). E Francesco comprende che l’ascesa di Gesù al cielo non vuol dire allontanamento. Ascendendo al cielo, Gesù raggiunge Dio e nello stesso tempo avvolge con la sua presenza tutta la terra, appunto come il cielo circonda la terra. Non è, quindi, un allontanarsi. Al contrario, è un avvicinarsi a tutti gli uomini per stare accanto ad ognuno. Ecco perché l’evangelista scrive che “dopo averlo adorato, i discepoli tornarono a Gerusalemme con grande gioia”. Com’è possibile gioire mentre il Signore si allontana? Gli apostoli gioiscono perché avevano compreso che quella separazione avrebbe realizzato una nuova presenza di Gesù in tutta la terra. Compresero cioè che il Signore era ormai definitivamente accanto a loro con la sua Parola e con il suo Spirito; una vicinanza certo più misteriosa, ma forse ancor più reale di prima. Senza dubbio tornarono loro in  mente le parole che avevano sentito da Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). In quel giorno dell’ascensione le compresero fino in fondo: in qualunque parte della terra, in qualunque epoca si sarebbero radunati assieme due o più discepoli del Signore, Egli sarebbe stato in mezzo a loro. Di qui il motivo della grande gioia. Nessuno al mondo avrebbe ormai potuto allontanare Gesù dalla loro vita.


Questa gioia dei discepoli, era la gioia di Francesco: è la perfetta letizia. Sì, la gioia di Francesco è l’amore. E’ a dire che Francesco gioisce quando abbraccia il lebbroso mentre tutti li allontanavano; gioisce quando va dal Sultano a Damietta forte solo del suo cuore e della sua parola mentre tutti gli altri andavano con le armi per uccidere; gioisce quando sente amore per tutti gli uomini, anzi per tutte le creature. Con questa gioia nel cuore vorrei che crescesse la nostra comunità diocesana e questa stessa nostra città. Questa chiesa, divenuta santuario, sia per noi e per tutti quelli che qui verranno a pregare come il paradiso, il santuario del cielo. Entrando qui significa entrare un po’ nel cielo, ascendere nella dimora di Dio. E Francesco torna come quegli angeli che ci ripetono: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?” ossia: “Uomini e donne di Terni, perché state a guardare il vostro cielo?” il cielo dei vostri egoismi, dei vostri affari, dei vostri ristretti orizzonti? Alzate lo sguardo e guardate il cielo di Dio: è ampio come il mondo ed è profondo come il cuore degli uomini. Qui Gesù è salito. E’ il cielo che avvolge i deboli, è il cielo che sta nelle terre martoriate dalla guerra, è il cielo che copre il letto ove giace il malato, è il cielo che copre la piazza e la strada ove vivono i senza tetto. Questi, e tanti altri, sono i cieli che Francesco ci invita a contemplare e a percorrere. E’ la nostra ascensione. Sì, abbandoniamo i nostri cieli, quelli ristretti del nostro io, per entrare nel cielo largo e profondo di Dio e degli uomini.