Natale 2004
Care sorelle e cari fratelli,
questa notte siamo venuti in tanti e volentieri. E abbiamo fatto bene. Il Natale, anche se rischia di essere come soffocato nel suo senso più vero, ci ha posto dentro come un istinto, quello di venire anche di notte qui in cattedrale per ascoltare una parola che sa di amore, di bontà, di misericordia. E in effetti l’angelo anche in questa notte ci ha detto: “Non temete! Non abbiate paura! Non lasciatevi prendere dalla rassegnazione e dallo sconforto!” Qualcuno potrebbe ribattere: “ma come non temere? come non rassegnarsi di fronte alla forza del male? Ci sono ancora nel mondo circa trenta guerre aperte e una decina congelate e pronte a riesplodere. E poi la minaccia terroristica che non è affatto cessata. Come non aver paura? E comunque come essere lieti? Ma l’angelo del Natale torna a dirci di non aver paura, e aggiunge anche il motivo: “Vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo. Oggi è nato nella città di Davide un salvatore che è Cristo Signore. Questo è per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace su una mangiatoia”.
Care sorelle e cari fratelli,
è tutto qui il Vangelo del Natale: quel Bambino, deposto in una mangiatoia, è il nostro salvatore, è Dio venuto ad abitare in mezzo a noi. E chi può aver paura di un bambino? È debole e piange come piangono tutti i bambini; eppure è il creatore del cielo e della terra; è colui che libera il mondo dal male; è colui che dona agli uomini la felicità e la pace. E quel bambino è “una grande gioia, che sarà di tutto il popolo”, come dice l’angelo. Il Natale è per noi, ma non solo per noi, non solo per qualcuno. Non è neppure solo per i cristiani. Il Natale è per tutti gli uomini, è per il mondo intero. Gesù infatti nasce per amare tutti e particolarmente i più deboli e i più poveri. Gesù è venuto per amarci. È questa la nostra gioia. Per questo tutti debbono gioire: i vicini e i lontani, i buoni e cattivi, i sani e i malati, i piccoli e i grandi, i giusti e i peccatori. Tutti, tutti dobbiamo essere felici questa notte perché Gesù è venuto per amarci, per proteggerci, per non lasciarci mai più. Sì, è nato colui che mai più ci abbandonerà. Quante volte siamo abbandonati! Quante volte ci sentiamo soli, anche in mezzo a tanta gente! E quanto è rara per tanti di noi l’esperienza della felicità, della gioia! Forse abbiamo qualche soddisfazione dalla vita, magari qualche piacere, ma la felicità, e la gioia? Sì, un cuore pieno di gioia è raro trovarlo. Per di più la vita è diventata per tutti più difficile e spesso molto dura. La realtà della vita quotidiana sembra averci disabituati alla gioia. Ma viene il Natale, e il suo angelo ci dice: “Vi annuncio una grande gioia!” E la gioia è che Gesù è venuto per restare con noi per sempre.
E’ vero, è facile non accorgersene. Tanto più che ci stiamo abituando a cercare la gioia là dov’essa non c’è, nell’amore per noi stessi, nel preoccuparci solo per le nostre cose, nel pensare solo ai nostri problemi. Accadde così anche a Betlemme quella notte. Tutti erano così presi da se stessi che nessuno accolse Giuseppe e Maria incinta di nove mesi. E Gesù dovette nascere in una stalla. Quanta tristezza in quella frase di Luca: “Non c’era posto per lui nell’albergo”! E quante volte, ancora oggi, si deve ripetere per milioni di persone: “non c’è posto per loro!” Gesù, tuttavia, nonostante il nostro diniego non se ne va, non torna nel cielo, nel suo cielo. E pur di restarci accanto, accetta di nascere anche in una mangiatoia. Sembra che non possa fare a meno di noi, anche se, in verità, siamo noi a non poter fare a meno di lui. Come non commuoverci di fronte ad un amore così grande?
Impariamo da san Francesco di Assisi a vivere il Natale. Egli, nel 1223, a poche miglia di qui, a Greccio, volle rivivere il Natale. Al suo amico Giovanni Velita disse: “Quest’anno voglio vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato Gesù nel nascere”. Francesco non voleva fare una sacra rappresentazione, come in genere si pensa. Voleva “vedere”, toccare con mano, potremmo dire, l’amore di Dio che pur di starci accanto accettò di nascere nel freddo di questo mondo. Era il freddo dell’egoismo e della fame, il freddo delle ingiustizie e delle guerre. Gesù è venuto per ridare agli uomini il calore dell’amore. Questo mistero di amore si realizza ogni volta che si celebra la Messa. Ogni Messa è Natale. San Francesco lo diceva spesso ai suoi frati: “Vedete, ogni giorno il Figlio di Dio si umilia, come quando dalla sede regale scese nel grembo della vergine, ogni giorno viene a noi in umile apparenza; ogni giorno discende dal seno del Padre sopra l’altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi Apostoli apparve in vera carne, così ora si mostra a noi nel pane consacrato”. E quella notte, il presepe di Greccio non fu una sacra rappresentazione, come quelle che facciamo anche noi; no, fu la celebrazione della Messa su una mangiatoia, nel freddo e nella povertà di una stalla. Questo fece san Francesco. E, al momento del Vangelo Francesco che era diacono lo cantò, come gli angeli cantarono nella notte ai pastori. E san Francesco ebbe in visione il Bambino e lo accolse nell’Eucarestia. Fu questo il presepe di Francesco: una Messa in una stalla. Possiamo allora dire che la Messa è il presepe di ogni domenica. Betlemme è questa cattedrale e l’altare è la mangiatoia dove viene adagiato Gesù sotto le specie del pane e del vino.
Questo anno, in Diocesi, stiamo riflettendo in particolare sulla centralità della Parola di Dio nella nostra vita. Anche la Bibbia, in certo modo, è come la mangiatoia, perché in essa è contenuta appunto la Parola di Dio. L’evangelista Giovanni apre il suo Vangelo con quelle straordinarie parole: “Il Verbo si è fatto carne”. Sì, nelle parole della Scrittura è Dio stesso che ci parla. Se nel pane e nel vino Gesù si fa carne; nella Bibbia si fa parola. Ogni domenica perciò è Natale, ogni domenica il Verbo si fa carne e viene ad abitare in mezzo a noi. Non dimentichiamo questo mistero che ogni domenica ci viene donato. E’ facile essere distratti; ed è facile che anche per noi si dica con tristezza: “non c’è posto per lui” nel nostro cuore. Pensiamo, invece, allo stupore di Maria mentre guardava il bambino, e alla cura che aveva quando lo prendeva tra le mani! Non dobbiamo avere anche noi lo stupore guardando il pane santo e il calice della salvezza? E non dobbiamo avere lo stesso cuore nell’accogliere il Vangelo? Vorrei che in questo anno sorgesse tra noi l’amore per la Bibbia. Aprire la Bibbia e leggerla ogni giorno è la via per amare Gesù e per gustare la sua sapienza.
Il Vangelo di cui questa notte abbiamo ascoltato la prima pagina ci indica come vivere e come amare. E fin dall’inizio ci dice che l’amore inizia non da se stessi ma dai poveri. Così fece Gesù a Natale. Furono i pastori ad accorrere per primi. Noi vorremmo in certo modo rivivere questa scena evangelica. Non con una rappresentazione, bella, ma che muove solo qualche sentimento. Noi vogliamo offrire un momento di festa a chi domani sarebbe solo. Vedete qui davanti preparata una tavola per il pranzo. Domani l’intera cattedrale, dopo la messa di mezzogiorno, sarà allestita con tanti tavoli come questo per accogliere più di 200 poveri, i quali altrimenti sarebbero stati soli. Voi sapete che per loro è aperta tutti giorni la mensa, ma domani il pranzo è qui, in duomo. Sarà una grande festa. Potremmo dire che è il presepe preparato da Gesù; un presepe alla rovescia: quando viene il Signore, infatti, noi gli diamo una stalla, quando arrivano i poveri il Signore apre le porte della cattedrale e prepara per loro un banchetto. E’ un piccolo segno per aiutarci a comprendere quanto è grande l’amore del Signore.
Care sorelle e cari fratelli, beati noi che siamo venuti qui questa notte e beati quelli che verranno domani per il pranzo. Il Natale in questo modo è vero e pieno di gioia. E auguro a me e a voi la stessa felicità che domani gusteranno i poveri che saranno accolti in questa cattedrale.