San Giovenale 2005

San Giovenale 2005


Signor Sindaco, gentili autorità, cari sacerdoti e diaconi, care sorelle e cari fratelli,


 


è sempre un momento importante per questa nostra città la festa di San Giovenale. È senza dubbio una occasione di grazia. La memoria del nostro santo patrono Giovenale infatti ci fa ritrovare assieme tutti, la città e il contado, i rappresentanti delle “arti” e le parrocchie, per momenti che sono assieme di festa, di preghiera e di riflessione. Anche chi abitualmente non frequenta la chiesa è spinto a venire qui alla tomba di San Giovenale, quasi in un segreto e timido pellegrinaggio. Tutti, in effetti, sentiamo che il patrono non è relegato nel passato,  che non è semplicemente un oggetto da museo. No, chi più chi meno, tutti sentiamo che la sua testimonianza è viva, che ancora oggi è una fonte che zampilla e che può dissetare. E noi, come spinti da un felice istinto, torniamo qui ogni anno per attingere da San Giovenale le ragioni per vivere e la forza per costruire un futuro nuovo per la nostra città. In questi anni, e lo dico anche personalmente, la memoria di San Giovenale ci ha aiutato a guardare con maggiore attenzione ai problemi, alle difficoltà e alle speranze di questa nostra città; e ci ha anche sostenuto perché con maggiore generosità e con più audacia potessimo impegnarci a costruire un futuro più sereno per tutti.


La festa di questo anno è stata preceduta da due eventi particolarmente significativi per la Chiesa: la morte di Giovanni Paolo II e l’elezione del nuovo Papa, Benedetto XVI. Tutti siamo stati testimoni del miracolo di fede, del tutto inaspettato, accaduto nei giorni della morte di Giovanni Paolo II. Come non ricordare l’interminabile fila di fedeli che si sono dati appuntamento a Roma per un ultimo saluto a Giovanni Paolo II? E quale stupore ha suscitato la Messa funebre in Piazza San Pietro! In quella piazza si realizzava il “sogno di Woitjla”: vedere i popoli del mondo riuniti assieme in pace. Attorno a quel Papa buono, nulla-tenente, come lui stesso ha scritto nel testamento, si erano radunati i cristiani di tutte le Chiesa, i rappresentanti di tutte le grandi religioni del mondo, 200 capi di Stato e milioni di persone di tutti i ceti e di tutte le condizioni. Ripeto, era il sogno di Giovanni Paolo II: ossia che tutti gli uomini e le donne, di qualsiasi fede e cultura, potessero riunirsi insieme. È stato possibile quel giorno che anche popoli nemici si dessero la mano. Sì, in quel giorno è stato possibile stare assieme senza fare la guerra, senza odiarsi. E tutto ciò è potuto accadere per la figura di Giovanni Paolo II: la sua passione per la pace e il suo amore hanno portato i loro frutti. Questo anelito all’unità e alla pace è l’eredità che ha lasciato a tutti. Anche a noi.


E poi, pochi giorni dopo questa perdita che a tutti è sembrata incolmabile, il Signore ci ha donato un nuovo Papa, Benedetto XVI, a cui ho inviato un saluto a nome dell’intera Chiesa diocesana. Sì, davvero è “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. E noi, assieme a tanti nel mondo, ci siamo stretti attorno a lui, e abbiamo accolto con gioia tutta particolare il nome con cui si è presentato: è un nome che affonda le sue radici proprio qui, nella nostra terra umbra, con San Benedetto da Norcia, e che richiama l’altro Papa, Benedetto XV, il Papa dello slancio missionario della Chiesa all’inizio del Novecento, e il Papa della pace. Fu lui che cercò in ogni modo di evitare che scoppiasse la prima guerra mondiale, definendola “l’inutile strage”. E si trattava della prima guerra tra paesi cristiani; ognuno chiedeva a Dio di benedire le sue truppe che avrebbero dovuto uccidere altri suoi figli, altri loro fratelli. Davvero è Benedetto questo Papa. È una benedizione per la Chiesa, per i credenti, per l’Europa e per i popoli.


La fonte da cui Giovanni Paolo II ha attinto la sua forza sino a renderlo padre di milioni e milioni di persone, la fonte da cui Papa Benedetto trae la sua ispirazione per il ministero di vescovo di Roma e di pastore della Chiesa universale è la stessa da cui ha attinto San Giovenale: il Vangelo dell’amore. Lo abbiamo ascoltato anche noi oggi: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Queste parole descrivono l’amore di Gesù. Egli infatti è venuto sulla terra per dare la vita per gli amici e per gli uomini di ogni tempo, anche per noi. E l’amore di Gesù è un amore nuovo, un amore diverso da quello che normalmente si trova tra noi. Sì, care sorelle e cari fratelli, l’amore di Gesù non si trova nel mondo. Infatti, non è normale amare gli altri, non è spontaneo dare la propria vita per gli altri. È invece normale, normalissimo, amare se stessi, amare le proprie cose, la propria famiglia, i propri parenti. Ma non è di questo amore che ha bisogno Narni, non è di questo amore che abbiamo bisogno noi. E tutti siamo testimoni che se non c’è l’amore come quello di Gesù anche l’amore naturale si affievolisce sino a scomparire. Ecco perché emergono odii e violenza anche nelle case, anche tra familiari. Figuriamoci tra estranei! Abbiamo bisogno dell’amore di Gesù, che è diventato anche di San Giovenale, di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI.


Conosciamo tutti quanto la vita sia difficile. Nelle nostre case e attorno a noi vediamo crescere i problemi e le difficoltà, da quelli problemi economici a quelli occupazionali, da quelli familiari a quelli più generali. Per fare un solo esempio: come non essere impensieriti per la difficile situazione in cui versano alcune fabbriche del narnese? Come non essere preoccupati per il disagio giovanile e per le difficoltà che molti giovani hanno a trovare lavoro? Anche Benedetto XVI, nel suo primo intervento dalla finestra del Palazzo Apostolico ha richiamato l’attenzione al problema del lavoro particolarmente per i giovani. E noi a Narni – in verità in tutta l’area – abbiamo gravi problemi in questo senso. E assieme alla questione occupazionale vi è quella relativa alla fatica delle aziende per la produzione e per sostenere la concorrenza. Si aggiungono poi le questioni relative allo sviluppo e alla urgenza di trovare nuove vie di lavoro. E non possiamo attendere troppo. C’è bisogno di una nuova creatività, di una nuova fantasia, di un nuovo coraggio. Sarebbe drammatico se continuassimo a ragionare in maniera vecchia, accentuando gli interessi di parte. Sarebbe un danno gravissimo. Ci salviamo solo se sappiamo riunirci in un comune sentire. C’è bisogno pertanto che tutte le parti interessate si incontrino al fine di trovare soluzioni possibili. Potremmo continuare a parlare a lungo su questi temi che peraltro si intersecano con la difficile situazione dell’intero nostro paese. Ma sento l’urgenza di esortare a percorrere un cammino comune per immaginare un futuro nuovo per Narni ove ciascuno offre il suo contributo per la crescita di tutti. Ne sono certo: in questo modo riusciremo a costruire un futuro più sereno per questa nostra città.

Ma questo è possibile, care sorelle e cari fratelli, se accogliamo quel messaggio di amore che nasce dal Vangelo e che San Giovenale ci ricorda: “Amatevi gli uni gli altri”. Sì, abbiamo bisogno dell’amore vero, di quell’amore che sa aprire i cuori e le menti di ciascuno di noi verso gli altri, abbiamo bisogno di quell’amore che fa cadere i muri che separano gli uni dagli altri. È questa la vocazione che il Signore ci ha affidato. Se la seguiremo comprenderemo anche          quest’altra parola evangelica: “Vi ho costituiti perché portiate frutto e il vostro frutto rimanga”. Sì, il Signore sa bene che dall’amore tra noi nascono frutti che restano per noi e per gli altri. Non siamo venuti al mondo perché ciascuno pensi solo a se stesso, ma perché ci edifichiamo assieme gli uni gli altri come una grande famiglia. È questa la nostra vocazione. E l’apostolo Paolo lo ricorda ai cristiani di Efeso: “comportatevi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto”. La nostra vocazione è l’amore. L’ho già detto: non è facile amare. Ma il Signore è venuto per aiutarci ad amare. Accogliamo il suo amore! “Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo!” diceva Giovanni Paolo II. Sì, “Aprite le porte a Cristo e Narni risorgerà”. Come aprire porte? È semplice: siate fedeli alla Messa domenicale, non abbandonatela. Ho visto con piacere che qualcosa sta cambiando: vedo persone che frequentano di più la Messa e questo fa bene a loro, ai ragazzi e all’intera popolazione. Più gente va a Messa e più Narni migliora. Leggete inoltre il Vangelo che vi ho consegnato e ritroverete la forza e l’ambizione per costruire un futuro nuovo per voi e per i più giovani. Siate generosi con i deboli e i poveri e vedrete risorgere la vita. Ieri sera mi sono commosso qui in cattedrale mentre decidevamo di aiutare i 600 carcerati di un carcere lontano, quello di Chimoio in Mozambico, per far avere loro il pranzo della domenica e per far funzionare l’infermeria. Voi direte: “Ma è una piccola cosa!”. No, non è una piccola cosa. Non ha forse detto Gesù: “Avevo fame e mi hai dato da mangiare”? È così che Narni risorge. E sta risorgendo. Coraggio care sorelle e cari fratelli, il futuro è già nelle nostre mani, lo stiamo costruendo. Lasciamoci guidare dall’amore del Signore e Narni risplenderà di luce. Amen.