Pasqua 2006 – Domenica delle palme
Care sorelle e cari fratelli,
questa santa celebrazione, che ci fa entrare nella settimana santa, si è aperta con la memoria dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme. Il viaggio che Gesù aveva iniziato dalla Galilea stava per concludersi. Giunto a Betfage di Betania, presso il monte degli Ulivi, Gesù sale su un asinello ed entra in Gerusalemme come mai aveva fatto prima. Il Messia, che fino a quel momento si era tenuto come nascosto, rivela la sua missione di vero e nuovo pastore d’Israele, anche se questo – e Gesù lo sa bene – lo condurrà alla morte. Infatti le minacce di morte si erano fatte sempre più chiare e più frequenti. Ma Gesù non poteva rinunciare ad annunciare il Vangelo dell’amore. La gente è contenta e gli fa festa: tutti si mettono a stendere i mantelli lungo la strada e ad agitare fronde prese dai campi cantando: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. È il canto di gioia che abbiamo espresso anche noi all’inizio di questa celebrazione. Ci siamo uniti ai fanciulli degli ebrei che hanno accolto con gioia il Signore.
Ed oggi in tanti luoghi della terra, dove si annuncia questo Vangelo, si fa festa. Si fa festa perché Gesù entra nella vita della gente, entra nelle nostre città. E vi entra come il solo che può liberare gli uomini dalla violenza e dalla schiavitù dell’amore per se stessi; entra come il solo che può renderci operatori di una vita più umana e solidale. E non entra con il volto di un potente o di un forte, ma come un uomo mite ed umile di cuore. Lo diceva fin dalla Galilea: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”. In effetti, c’è tanta violenza e tanta arroganza vicino e lontano da noi. Ed anche dentro il cuore di ciascuno di noi. Ma chi ha il cuore duro non riesce a fare festa al Signore. Chi lo acclama, infatti? I bambini, i deboli, i poveri, coloro che hanno bisogno di aiuto. Sono questi che da sempre si accalcano attorno a lui. Non sono certo i farisei, ossia quelli pieni di sé, sicuri delle loro tradizioni. Costoro anzi si indispettiscono di tanta festa. E, pensate, giungono a chiedere a Gesù di far tacere i bambini festanti. Ma Gesù: “se questi tacessero, griderebbero le pietre”.
L’ostilità al Vangelo, care sorelle cari fratelli, nasce da cuori pieni di orgoglio e di invidia, da cuori che pensano solo al proprio interesse. Costoro non possono non opporsi al Signore. Passano infatti pochi giorni da questo ingresso trionfale e Gesù viene condannato con il consenso della maggioranza. Gesù diviene il crocifisso, il vinto. E’ il paradosso di questa domenica delle Palme che ci fa vivere assieme il trionfo e la passione di Gesù. La liturgia, infatti, dopo il Vangelo dell’ingresso in Gerusalemme ci annuncia subito dopo il Vangelo della Passione, quasi a sottolineare la brevità dello spazio che separa l’Osanna dal Crucifige. Il volto buono e misericordioso diviene subito un volto crocifisso. Certo, l’ingresso in Gerusalemme è l’ingresso di un re, ma l’unica corona che gli viene posta sul capo è quella di spine, lo scettro è una canna e la divisa è un manto scarlatto da burla. E quei rami di ulivo che oggi sono il segno della festa, fra qualche giorno, nell’orto degli Ulivi, lo vedranno sudare sangue per l’angoscia della morte.
Ma Gesù non fugge, non rifiuta la croce. Anzi la prende su di sé e con essa giunge sul Golgota, ove viene crocifisso. In quella croce ci sono tutte le croci di questo mondo: Gesù se le carica tutte sulle spalle perché noi ne siamo alleggeriti. Oggi entra acclamato. Venerdì lo vediamo crocifisso come un malfattore. Su quella croce sembra che tutto sia finito per lui: non può più né parlare né guarire. Quella morte sembrava una sconfitta. Da sotto la croce, prendendosi beffe di lui gli gridavano: “Ha salvato gli altri non può salvare se stesso!” In verità su quella croce la morte è stata sconfitta e ha vinto l’amore. È stata la vittoria dell’amore, la vittoria di una vita spesa solo per il Signore, solo per il Vangelo, solo per i discepoli, solo per i poveri. Gesù non è vissuto per pensare a se stesso, come in genere facciamo noi, ma per aiutare tutti noi. Per questo Dio lo ha risuscitato. Scrive l’apostolo Paolo: “Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni nome”.
Care sorelle cari fratelli, noi siamo qui per accogliere almeno una goccia di questo amore di Gesù. E se lo accogliamo continueremo ad amare come lui amava. Assieme a lui sapremo raccoglierci sotto le tante croci del mondo di oggi, quelle nei nostri paesi ricchi e quelle, innumerevoli, nei paesi più poveri. Sì, continueremo ad amare i poveri, a stare accanto ai vinti, a curare i malati, a consolare i sofferenti, ad accompagnare gli anziani, a stare accanto a chiunque soffre. Con questi gesti di amore, che possono anche sembrarci piccoli, aiuteremo il Signore a liberare il mondo da quelle pietre pesanti che schiacciano la vita di tanti in ogni parte del mondo.
Care sorelle e cari fratelli, questa santa liturgia, ci porta accanto a Gesù che va verso la sua morte e la sua risurrezione. In questa settimana, e soprattutto giovedì venerdì e sabato santo, questa cattedrale diviene la nostra Gerusalemme. Continuiamo a raccoglierci assieme. Non lasciamo solo il Signore. Non lasciamoci prendere solo dai nostri pensieri abituali, dalle nostre preoccupazioni, dalle nostre abitudini di sempre. Questa è una settimana particolare: è la settimana santa. Sono giorni in cui leggere il Vangelo, in cui tornare qui. Se accompagneremo Gesù, ci accorgeremo di più del suo amore, e impareremo ad amare come lui amava. Il ramo di ulivo che porteremo nelle nostre case sia per noi un segno di questo amore. Se ci lasciamo toccare almeno un poco da questo amore, sentiremo la forza e la dolcezza della sua compagnia.