Messa con il Centro Volontari della Sofferenza
Care sorelle e cari fratelli,
sono particolarmente lieto di potervi accogliervi oggi in questa cattedrale. Vorrei salutarvi tutti, uno per uno, a partire dal vostro Moderatore Generale, don Giovan Giuseppe Torre, sino ai rappresentanti provenienti dalla Polonia e dall’Ungheria. Avete scelto di chiudere il vostro convegno con una celebrazione per rinnovare il Battesimo in questa cattedrale, ricordando un vostro membro, il Venerabile Giunio Tinarelli, che proprio qui ricevette il battesimo. Il Battesimo di Tinarelli fu “segretissimo”: Scrisse così a margine del libro il parroco don Adolfo Galeazzi. E il motivo era l’anticlericalismo del padre, operaio alle acciaierie. Era il 2 giugno del 1913 quando la mamma di Giunio portò il suo bambino in questa cattedrale perché ricevesse il battesimo all’insaputa del padre. Fu ovviamente un Battesimo senza alcuna festa. Oggi possiamo dire che quel battesimo fu segreto agli occhi degli uomini, ma lo fu agli occhi di Dio che aveva posato su quel bambino il Suo sguardo per una missione straordinaria. E la festa sarebbe avvenuta in seguito, anche se segnata dalla croce. E’ stata una festa continuata per i lunghi anni della sua sofferenza, una festa che continua ancora oggi attorno a lui. Sì, oggi ricordiamo anche il suo battesimo. Le parole di Paolo ai Romani hanno trovato in Tinarelli una concretizzazione singolare. Scrive l’apostolo: “Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato”. Ebbene, Tinarelli sperimentò sul corpo la verità della morte dell’uomo vecchio. E proprio mentre egli fu costretto all’immobilità cresceva nel suo cuore l’amore per il Signore; potremmo anzi dire che “poté camminare in una vita nuova”, come scrive Paolo. Tinarelli “camminò in una vita nuova”. Sebbene immobile corse nella fede, crebbe nell’amore e si irrobustì nella speranza. Noi speriamo che quanto prima la sua testimonianza possa essere riconosciuta solennemente dalla Chiesa. Ma già da ora egli mostra a noi tutti cosa significa vivere fino in fondo il Battesimo, ossia cosa significa immergersi fino in fondo nell’amore di Cristo e quindi anche nella sua morte. Resta un esempio singolarissimo di quella “profezia della debolezza” su cui avete riflettuto in questi giorni.
La forza del cristiano non sta nelle sue energie umane o nel possesso delle ricchezze di questo mondo. La nostra forza è solo in Dio. Potremmo aggiungere, solo nel Battesimo. Scrive Paolo ai Filippesi: “Tutto posso in colui che mi dà forza”. Sì, tutto è possibile a chi vive il suo battesimo. Un sapiente del secolo scorso amava dire che il Vangelo rende il cristiano non solo buono ma anche forte. La nostra forza, care sorelle e cari fratelli, non è nella salute, non è nel possedere i beni di questo mondo, non è nell’avere il potere degli uomini. La nostra forza è solo in Dio. Egli è la difesa del debole ed è la sua forza. “Egli dà forza a chi è stanco”, si legge in Isaia. Dio è la sorgente di ogni forza, della nostra forza. Ecco perché Paolo può dire: “quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10). Perché? Lo spiega nella Lettera ai Corinzi quando afferma che “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti” (1 Cor 1,27).
C’è pertanto una profezia nella debolezza, se questa viene immersa nell’amore di Dio. C’è una profezia nella debolezza, se viene battezzato nell’amore di Cristo. E la profezia è questa: che non siamo condannati ad essere sempre forti e sani, perché la vera salute sta solo nell’amore, la vera gioia sta solo nel dare la propria vita per il Signore e per gli altri. La felicità è nell’essere uniti a Gesù. Quanta fatica, quanto tempo, quante energie si spendono per stare bene nel corpo! E facciamo bene! Ma la felicità non sta solo nella salute. Quanto impegno mettiamo nel possedere beni su beni! Ma la felicità non sta nel possesso. La nostra felicità e la nostra forza stanno solo il Signore. La nostra felicità e il nostro amore stanno nel volerci bene. Ecco perché la debolezza e la malattia possono essere una profezia ai nostri giorni. I malati, i deboli ci ricordano la nostra vera condizione, la nostra fragilità. Sì, siamo tutti malati e deboli. Anzi Paolo disse: “Mi son fatto debole con i deboli” (1 Cor 1, 22). E lo disse con orgoglio e con gioia.