Ordinazione di don Claudio
Care sorelle e cari fratelli,
è sempre un grande dono per una Chiesa l’ordinazione sacerdotale di un suo figlio. E’ un dono della misericordia di Dio che si prende cura del suo popolo perché possa essere raccolto, custodito e fatto crescere. Per questo oggi tutta la nostra diocesi è in festa per l’ordinazione sacerdotale di don Claudio. Sì, possiamo dire che oggi tocchiamo con mano quanto il Signore ci ama, quanto ama questa nostra diocesi. Egli ha ascoltato la nostra preghiera; quella preghiera che Gesù stesso ci ha esortato a fare rivolgendoci al Padre: “Manda operai nella tua messe!” Per questo sono in festa io e l’intero presbiterio, che si arricchisce di un nuovo fratello.
Cari sacerdoti, venuti attorno a don Claudio per circondarlo con la vostra affettuosa presenza, don Claudio non solo fa crescere di numero il collegio dei presbiteri, egli oggi è anche un invito pressante del Signore per tutti noi perché cresciamo nell’amore, nell’amore per la nostra gente e nell’amore tra noi sacerdoti. Tu, caro don Claudio, vieni accolto da me e dai sacerdoti come un fratello carissimo con il quale condividere la sollecitudine pastorale per l’intera diocesi. L’imposizione delle mani che fra poco ti faremo è il segno di quella fraternità sacerdotale a cui sei chiamato, di cui ti devi nutrire a cui devi appoggiarti. Il presbiterato, infatti, non ti viene dato per te e neppure perché tu lo viva per tuo proprio conto. Sei sacerdote con noi e assieme a noi. Nessuno di noi può staccarsi dall’altro, e nessuno può operare senza l’altro. Anzi, la nostra prima testimonianza è l’amore vicendevole. Sì, l’amore tra noi sacerdoti è la prima parola da pronunciare con la vita. E’ decisiva per noi sacerdoti quella parola del Signore: “Da come vi amerete riconosceranno che siete miei discepoli”. Sia questo amore una dimensione profonda del tuo essere e del tuo operare. L’amore vicendevole, infatti, prima di essere un compito è una grazia, è un dono da accogliere. La tua felicità passa attraverso questa fraternità. Possa tu cantare sempre con noi, assieme al salmista: “Quanto è bello e quanto è dolce che i fratelli stiano insieme!” E’ un grande dono avere fratelli con cui condividere la passione per il Vangelo e per la salvezza delle anime di questa diocesi di Terni, Narni e Amelia. Oggi, attraverso questa fraternità sacerdotale, tu vieni costituito come servo del Vangelo per questa nostra famiglia diocesana.
E’ vero, tu don Claudio vieni da lontano, dalla Romania; una terra che a me è particolarmente cara, come tu sai; piena di ricordi e di esperienze significative per la Chiesa intera. Voglio salutare con affetto i tuoi genitori, Basilio e Maria, che sono qui tra noi in questo giorno di festa. Anche loro sono stati benedetti da Dio con questo dono. Saluto anche Cristian, l’unico dei tre fratelli presenti; mancano Cipriano e Daniele, ma li sentiamo ugualmente vicini. Certo non potrai dimenticare la tua terra natale, essa fa parte della tua vita, delle tue radici. E noi sentiamo questo legame come un arricchimento. Sì, per la nostra diocesi è una occasione propizia poterci arricchire con fratelli che provengono anche da altre Chiese e da altre terre. Sì, gli uomini possono aver pensato e agito, ma è Dio che guida la nostra vita. Tu stesso mi dicevi che la tua venuta a Terni ha un sapore provvidenziale. Il giorno stesso in cui terminavi il servizio militare e il tuo parroco ti consigliava di continuarlo almeno per un anno, si presentò a casa tua don Antonio Maniero inviato da Mons.Gualdrini per invitarti a Terni. E tu scegliesti di venire. Oggi sono io a scegliere te come presbitero di questa diocesi, e tutti i sacerdoti presenti ti scelgono e ti accolgono come un fratello da amare, da rispettare, da esortare, da aiutare, da accompagnare.
Ed io cosa posso dirti, oggi? Una sola cosa voglio raccomandarti. Caro don Claudio, sii un santo prete! Solo così vale la pena essere prete. Solo conformandosi pienamente a Gesù, buon pastore che da la sua vita per le pecore, ha senso pieno la missione sacerdotale. Vorrei dire che prete e santo sono sinonimi. E, in certo modo, dovrebbe essere sinonimi anche Gesù e sacerdote. Papa Giovanni aveva trascritto nel suo diario questo passaggio che un sacerdote francese aveva inviato ad un suo confratello appena ordinato: “Fai rivivere nostro Signore! Che si dica dietro di te: Oh! È Gesù tornato sulla terra a conversare con gli uomini. Sorridi a tutti, ai ricchi e ai poveri, ai poveri e ai ricchi egualmente: e se ammetti qualche ineguaglianza che essa sia a favore dei piccoli, i quali hanno maggiore bisogno di questa elemosina”. E più oltre aggiungeva che la santità consisteva in questo: “imita la bontà (io adoro questa parola) la bontà e la mansuetudine del Figlio di Dio. Passa facendo del bene: guarendo ogni languore ed ogni infermità; evangelizzando il regno di Dio per i paesi e le città; imponendo le mani ai piccoli fanciulli, e sorridendo santamente alle madri. E visita i malati”. Sono, quasi alla lettera, le parole del Vangelo che aprono la missione stessa di Gesù. Ed io ti ripeto, don Claudio: “Che si dica dietro di te: Oh! È Gesù tornato sulla terra a conversare con gli uomini”.
L’imitazione di Gesù buon pastore sia l’impegno della tua vita, sia l’esempio del tuo essere e del tuo operare. Imita i gesti di Gesù, leggi i suoi pensieri e imparerai il suo amore e la sua passione. Non pensare di aver già compreso tutto, non credere di aver già appreso l’arte pastorale. Non dimenticare che resti sempre un figlio, un discepolo che ogni giorno deve apprendere dal maestro. Sì, tutti possiamo correre il rischio di avere l’atteggiamento dell’apostolo Giovanni che voleva far cadere fulmini e fuoco su quei samaritani che non volevano accogliere Gesù, come oggi abbiamo ascoltato dal Vangelo. E’ insito in noi tutti quell’atteggiamento che rende pronti, anzi prontissimi a difendere i nostri privilegi, disinteressandosi della sostanza delle cose e della delicatezza delle persone. Il libro dei Numeri ci fa capire quanto sia antico questo atteggiamento gretto. Giosuè è informato che due uomini qualunque, non facenti parte del gruppo dei settanta responsabili d’Israele e senza avere un apposito mandato, si sono messi a profetizzare. La sua reazione è immediata; corre da Mosé e gli chiede che impedisca loro di parlare. Mosé risponde al giovane e zelante capo: “Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!” (Num 11,29).
Quel che preoccupa Giosuè, quel che preoccupa Giovanni, quel che preoccupa noi, Tanto spesso non è la guarigione dei malati e la liberazione dei posseduti dagli spiriti, ma il proprio gruppo e la propria istituzione, o meglio il proprio interesse, la propria sicurezza, il proprio piccolo potere che essi vedono garantito nel gruppo e nell’istituzione. Non è questo il pensiero di Gesù. Ben più largo del cuore dei discepoli è quello di Gesù, e senza confini è la sua misericordia per i deboli e i poveri. Con decisione perciò risponde a Giovanni e agli altri: “Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi, è per noi”.
Il bene, dovunque esso sia e da chiunque sia compiuto, viene sempre da Dio. Chi aiuta i bisognosi, chi serve i poveri, chi sostiene i deboli, chi conforta i disperati, chi esercita l’accoglienza, chi promuove l’amicizia, chi si adopera per la pace, chi è pronto al perdono, viene da Dio. Noi, tu caro don Claudio, apparteniamo al Signore quando l’amore ci supera; quando l’amore per gli altri è più forte dell’amore per noi stessi, quando il nostro orecchio interiore riesce a cogliere i palpiti di Dio ovunque essi battano. Dio è oltre il nostro gruppo, oltre la nostra parrocchia, oltre le nostre Chiese cristiane, oltre le religioni. Dio rompe ogni schematismo per essere dovunque c’è un poco d’amore, un poco di bontà, un poco di pace, un poco di misericordia. Dio sta in quel bicchiere d’acqua dato ad un assetato, in quel pezzo di pane consegnato ad un affamato, in quella parola d’amore detta a un disperato. Lo spirito di Dio è davvero grande e senza confini. Beati noi se sappiamo riconoscerlo ed accoglierlo! Giovanni si rattristò nel vedere che altre persone non del suo gruppo scacciavano i demoni. Gesù, al contrario, gioì vedendo che tanti guarivano e tornavano sani. La gioia del Signore è l’uomo vivente. Questa deve essere anche la gioia del sacerdote e di ogni discepolo.
Le parole durissime che Gesù pronuncia nella seconda parte del brano evangelico sottolineano, con un linguaggio iperbolico questa gioia del discepolo. “Se la tua mano, o il tuo piede, o il tuo occhio ti scandalizzano tagliali…è meglio entrare monchi nel regno di Dio, che essere gettati sani nella Geenna”. Essere di “scandalo” vuol dire far inciampare e cadere; o comunque non sostenere chi è debole e bisognoso di conforto. Noi pensiamo che la felicità stia nel conservare se stessi, nel camminare indenni in mezzo a questo nostro mondo, nel non perdere mai nulla. Al contrario, la felicità sta nello spendersi per il Vangelo, nel dare la propria vita per gli altri. Ricordiamo la frase di Gesù riportata da Paolo: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35). Noi, abituati a ricevere, abbiamo perso la gioia del dare, la gioia della gratuità, la gioia dell’amore. Potremmo dire, con Gesù, togliamoci almeno un occhio di dosso e saremo certamente più felici. Usiamo almeno una mano per aiutare chi soffre e gusteremo la stessa gioia di Gesù. Muoviamo i nostri passi sulla via del Vangelo e saremo testimoni dell’amore di Dio. Così daremo un senso alla vita e comprenderemo quanto dice Gesù: “Chi vuol salvare la propria vita la perde; chi perde la sua vita per il Vangelo la ritrova”.
Caro don Claudio, perdi la tua vita per il Vangelo e per la gente e qui troverai intera la tua gioia.