Mercoledì delle ceneri
“Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti”, così il profeta Gioele. E anche noi questa sera abbiamo voluto radunarci in cattedrale come a raccogliere la assemblee delle nostre parrocchie che in questo giorno hanno iniziato al Quaresima. Le parole del profeta sono risuonate in tutte le nostre chiese riportando l’invito appassionato di Dio all’intera comunità cristiana: “Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti” (2,12). Sì, ritorniamo al Signore, care sorelle e cari fratelli. Ma non solo noi dobbiamo tornare a Dio. Quanti altri che hanno smarrito la strada debbono tornare! E quanti che non l’hanno mai percorsa debbono iniziare a percorrerla! La quaresima è il tempo opportuno per ritornare a Dio, per ricomprendere il senso della nostra vita e della vita del mondo.
E’ facile stare lontani da Dio, anche per noi che crediamo. L’individualismo che ci fa rinchiudere in noi stessi e che ci separa dagli altri, ci separa anche da Dio. E la poca comunione che spesso non viviamo tra noi significa poca comunione con Dio. Lo scrive bene l’apostolo Giovanni: “Se uno dice: ‘io amo Dio’, e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello”(1Gv 4,19). Per comprendere quanto siamo lontani da Dio esaminiamoci sui rapporti che abbiamo con i nostri fratelli e con i poveri, che sono fratelli di Gesù. L’individualismo, care sorelle e cari fratelli, si veste in molti modi, sa camuffarsi anche con gli abiti della pietà e anche con quelli della religiosità. E questo avviene tutte le volte che conduciamo le nostre giornate preoccupandoci solo di noi stessi e dei nostri guai, oppure intestardendoci sulle nostre convinzioni, o anche essendo impermeabili agli altri, al soffio dello Spirito, a quel che accade attorno a noi.
E qui appare un altro modo di stare lontani da Dio: la rassegnazione sul mondo così come va. Quando si dice: “E’ andato sempre così, non posso farci nulla”, oppure “ma cosa posso fare io per cambiare questa città, per cambiare il mondo…”. Questo significa pensare che siamo soli, o che tutto dipende da me, e quindi dimentichiamo quel che sta scritto: “Nulla è possibile a Dio” e quindi a chi si affida a Lui. Se ci sono cose da cambiare, se ci sono cattiverie da combattere, se ci sono pregiudizi da allontanare, il cristiano sa che il Signore può donargli la forza per aiutare a combattere il male e a trasformare il mondo.
Dobbiamo tornare a Dio. Come? Vincere la solitudine con un amore generoso e portare al mondo la speranza di un mondo più giusto. Care sorelle e cari fratelli, torniamo a Dio e iniziamo con Lui il cammino verso la Pasqua. E’ un cammino di quaranta giorni che si apre questa sera con la celebrazione chiamata delle ceneri. La liturgia ci viene incontro con l’antico segno di un pugno di cenere poste sul capo di ciascuno di noi mentre il sacerdote ci dice: “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”. La cenere sul capo, che in antico era riservata ai peccatori pubblici, significa ancora oggi un senso di penitenza per i nostri peccati e di richiesta di perdono a Dio. Ma ci dice anche una cosa semplice e che tutti, piccoli e grandi, capiamo: la cenere, con le parole che l’accompagnano, ci dicono che siamo tutti davvero polvere, siamo tutti deboli e fragili. Noi che tante volte ci innalziamo e che ci sentiamo potenti, magari anche solo nel nostro piccolo recinto, in verità siamo deboli. Sì, care sorelle e cari fratelli, non contano né il potere, né i soldi, né la carriera e neppure il posto che occupiamo. Siamo tutti polvere! La cenere che ciascuno di noi riceverà sul proprio capo viene a ricordarcelo. Non per metterci paura, ma per avvertirci che siamo poca cosa. E’ una grazia il gesto delle ceneri, perché tutto, a partire dal nostro cuore, parla in maniera contraria: ci sentiamo forti, sicuri, non badiamo a come possono reagire gli altri davanti a certe nostre parole o atteggiamenti, spesso abbiamo un cuore coriaceo e impermeabile ad ogni richiesta, e così oltre. La cenere ci ricorda che siamo tutti fragili e deboli.
Ma questo non deve metterci paura. C’è un senso liberante nel non dover sempre far finta di essere forti e di essere senza macchia e senza contraddizioni. Nessuno di noi ammette facilmente di sbagliare. Siamo sempre pronti a giustificarci. Non c’è bisogno davanti a Dio di questo esercizio di difesa. Il Signore conosce a tal punto la nostra fragilità da mandare il suo Figlio in mezzo a noi. E’ il mistero del Natale che abbiamo celebrato. La salvezza non viene da noi o dalle nostre tradizioni, viene da Dio. E Dio si è chinato su di noi e ci ha scelti. Sì, Dio ha scelto la polvere che noi perché prendessimo parte alla sua famiglia. Certo, proprio perché polvere non abbiamo tanto da vantare e da accampare. Molto però possiamo ricevere se torniamo a Dio con tutto il cuore. Egli lo riempirà.
Ecco il tempo della Quaresima, tempo del ritorno, tempo del riempimento del cuore. Nel Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù ci offre le tracce del cammino quaresimale. Le sue parole sono un invito a vivere la propria fede in maniera interiore, non superficiale, abitudinaria ed esteriore. E offre tre indicazioni che possono scandire questi quaranta giorni. Gesù inizia parlando dell’elemosina. L’elemosina non è più di moda e spesso neppure tra i credenti. E’ invece una consuetudine da riprendere. Vorrei che in questo tempo di quaresima rifiorisse l’elemosina e l’amore per i poveri nella nostra Chiesa. L’elemosina, anche se è piccola, ci aiuta ad alzare gli occhi da noi stessi e ad avere compassione per chi stende la mano in cerca di aiuto. E non stiamo a giudicare se i poveri “ci marciano”. In ogni caso usiamo questo tempo di quaresima come il tempo della misericordia, praticando le opere di carità, come le ho indicate nella Lettera Pastorale La via dell’amore. Aiutando i poveri ci avviciniamo alla compassione che il Signore ha per noi. C’è poi la preghiera. Care sorelle e cari fratelli, non si tratta di moltiplicare le parole e i gesti. Gesù ci dice di “entrare nella tua camera”. Cosa vuol dire? Vuol dire trovare uno spazio di silenzio, aprire la Bibbia e ascoltare il Signore. In questo tempo ancor prima di parlare noi al Signore, ascoltiamo la sua Parola. Abbiamo tra le nostre mani il volume Il Vangelo della Messa di ogni giorno. E’ bello pensare che in tanti ascoltiamo la stessa Parola. Ci aiuta ad avere gli stessi sentimenti di Gesù. E poi c’è il digiuno. Quante cose dovremmo dire su questa antica pratica ascetica. Essa ci aiuta a rinunciare alla concentrazione su noi stessi, al nostro egocentrismo ed anche alla smania del consumo che rende la nostra vita inquieta e triste. Digiunare significa liberarsi dalla schiavitù dei propri istinti. Senza questo esercizio siamo succubi di atteggiamenti tristi e violenti. E’ singolare che in tutte le religioni – anche l’Islam – viene raccomandato. E noi? Ci sono tanti modi per digiunare, da quello del cibo, a quello del consumare ad ogni costo. In questo tempo aiutiamoci a crescere in umanità.
Questa sera segniamo almeno un poco una piccola rottura con il tempo normale della nostra vita. Ma così ritroviamo il cuore, un cuore che sa amare e che sa commuoversi. E’ la via della sequela di Gesù sino ai giorni della sua passione, morte e resurrezione.