San Valentino 2010
Signor Sindaco, Signor Prefetto, gentili autorità provinciali, regionali, militari,
care sorelle e fratelli,
la festa del Patrono è una occasione opportuna per raccordare il cuore della Chiesa a quello della città nella quale vive. E’ il vangelo stesso che abbiamo ascoltato a suggerirlo: il buon pastore – dice Gesù ai discepoli di ieri e di oggi – dà la propria vita per le pecore. E’ quel che ha fatto Valentino. Egli non è stato certo un mercenario che ha speso la sua vita per se stesso e per i propri affari. La sua vita l’ha spesa per aiutare i deboli, guarire i malati, radunare la comunità cristiana di Terni, aiutare i giovani a sposarsi, confortare i piccoli. E’ stato un buon pastore. E non si è fermato a pensare solo ai cristiani di Terni; è andato oltre quel recinto, come del resto Gesù stesso: “E ho altre pecore che non provengono da questo recinto, anche quelle io devo guidare”. Valentino andò anche a Roma ove convertì l’intera famiglia dell’allora sindaco. E fu la causa della morte: fu martirizzato sulla via Flaminia, appunto, il 14 febbraio. Oggi noi ricordiamo quel giorno, il giorno del suo martirio: Valentino diede la sua vita, fino all’effusione del sangue, per Gesù e per comunicare il Vangelo agli uomini del suo tempo. E’ questo il Valentino che veneriamo. E per noi resta un esempio.
La sua tensione di amore ci spinge prendere coscienza dell’impegno della Chiesa verso la nostra città. Nell’ultima Lettera Pastorale, Eucarestia e Città, ho riflettuto sul singolarissimo rapporto che lega la comunità cristiana alla città nella quale vive. E’ un rapporto assai stretto che sgorga dalla Eucarestia, matrice di una socialità nuova. Per noi cristiani, l’amore per la città nasce e cresce con l’Eucarestia. Da essa sgorga un modo nuovo di stare assieme, non più basato sugli interessi individuali ma sull’amore per tutti, un amore che non conosce limiti e confini. Questo amore viene immesso dai cristiani nella vita della città come il lievito nella pasta. Per questo la Chiesa e la Città, pur essendo distinte, hanno però bisogno l’una dell’altra. Se la Chiesa è chiamata ad amare la Città e a ricordarle il primato di Dio, la Città da parte sua ricorda alla Chiesa che la salvezza è comunione tra tutti e non sopravvivenza di singoli.
Questo mutuo servizio, che unisce da secoli la storia di Terni, diviene un legame importante nei momenti di difficile passaggio storico, come quello che stiamo vivendo. Conosciamo tutti le difficoltà della crisi che si abbattono sul mondo intero, sulla nostra Regione e su Terni. Come non pensare ai problemi dello sviluppo, alle difficoltà delle imprese e alla questione del lavoro? Siamo non poco preoccupati per i problemi relativi all’occupazione che si presentano di una gravità senza pari, e penso in particolare alla vicenda della Merloni che riguarda migliaia di operai e quindi di famiglie che tremano per il loro futuro. I tempi sono difficili e richiedono un’attenzione vigile da parte di tutti. E, tornando alla nostra città, non possiamo ragionare su come uscire dalla crisi senza riflettere con franchezza e lucidità sugli elementi di debolezza di Terni e sui mezzi con i quali possiamo operare per colmare le nostre lacune e ridurre i nostri ritardi. Molti sono i nodi problematici e la crisi non contribuisce certo a scioglierli. Anzi, ce li ripresenta in tutta la loro complessità richiamandoci ad un robusto e coraggioso impegno di rinnovamento. Per parte nostra abbiamo evidenziato questi nodi in quella “agenda per il futuro della città” nel convegno del 14 giugno 2008 e in maniera analoga li abbiamo affrontati a livello della Regione nel convegno sul bene comune dell’Umbria promosso dalla CEU ad Assisi nel dicembre del 2009. Un incontro che ha fornito alla realtà regionale indicazioni significative per il dibattito di questi mesi.
Un punto fondamentale, emerso in questi due appuntamenti, mi pare opportuno richiamare, ossia la centralità del bene comune. E’ a dire che tutte le istituzioni della città, dalla scuola all’università, dall’impresa alle organizzazioni ecclesiali, dalla politica all’amministrazione, dall’industria al sindacato, dalla cultura alle altre realtà civili, tutte sono chiamate a pensare e a operare per il bene comune. Sì, il bene comune è il risultato dell’azione di tutte le realtà sociali della città. Non è un dato acquisito. Al contrario, è urgente che cresca la consapevolezza di questa responsabilità. Il bene comune della città, infatti, deve caratterizzarsi in modo dinamico come l’insieme delle condizioni sociali grazie alle quali gli uomini e le donne possono perseguire il loro perfezionamento con sempre maggiori opportunità. Il bene comune è dunque plurale perché perseguito in prima persona da molti e realizzato attraverso una sana competizione tra tutte le sfere sociali della città. Il bene comune è il frutto, per usare le parole di Benedetto XVI (Caritas in Veritate n.57), di un assetto poliarchico della città, un assetto caratterizzato da una sorta di virtuosa separazione sociale dei poteri politici, economici, religiosi, scientifici. Un assetto nel quale non ci sono primati o supremazie di alcun tipo, né politiche, né economiche, né religiose, né scientifiche. Le esigenze del bene comune così concepito richiedono a noi tutti uno sforzo di discernimento per cogliere, alla luce del Vangelo e dell’esperienza della città in questi ultimi tempi, alcuni problemi più urgenti (Gaudium et Spes n.46).
La città deve tornare a crescere sia culturalmente che moralmente, sia socialmente che economicamente. E questo è possibile unicamente se tutte le sue componenti organizzate riescono a capire e realizzare un’azione comune sulle questioni strategiche della crescita. Si fa fatica a lavorare insieme, a mettere in moto una dinamica collettiva virtuosa che sommi i punti di forza della città e non lasci le zavorre che appesantiscono e i poteri che vietano. L’azione comune è ancor più indispensabile quando si hanno di fronte questioni essenziali per il nostro futuro. Ne va della stessa identità della nostra città. E’ urgente raccogliersi e chiedersi assieme chi siamo e cosa vogliamo diventare. La risposta non è né scontata né immutabile nel tempo. E se non vogliamo lasciarci superare dagli eventi è indispensabile che immaginiamo e orientiamo, tutti insieme, senza supremazie, il nostro futuro. L’identità della città è fatta dalla interazione delle sue componenti più vive. E quindi deve essere una identità plurima e flessibile, non il semplice inventario delle tradizioni e dei comportamenti del nostro passato. Tradizioni e comportamenti del passato debbono essere rivisti alla luce delle sfide dell’oggi. L’identità della città contribuiamo tutti a costruirla. Essa viene tessuta con i nostri comportamenti quotidiani, per questo è nelle mani di tutti noi. Terni oggi ha bisogno di reinventare la sua identità: deve essere a più facce, più aperta, più mobile, più disponibile alle contaminazioni esterne, pronta al dialogo concreto con le realtà urbane che la circondano, dall’area romana alle altre aree dell’Italia centrale, ma anche con le altre città del paese, dell’Europa e del mondo intero. Terni ha bisogno di essere ancor più e ancor meglio “città”, ossia luogo fisico e spazio di relazioni privi di steccati, di chiusure, di pregiudizi.
Cari amici, nella ricerca di questa identità rinnovata è fondamentale il ruolo della cultura. Sì, dobbiamo pensare di più, dibattere di più, studiare di più, osare di più. La cultura non è solo la chiave per la produzione e il riconoscimento di questa identità e dei suoi segni, ma anche un potente fattore di crescita della città. Se questo è vero in via generale, per Terni lo è ancor più visto il difficile processo di uscita da un passato economico ed industriale inesorabilmente tramontato. La cultura diventa in questi casi un fattore di crescita perché riesce a legare insieme la trama delle relazioni sociali della città. Noi cristiani siamo interpellati in maniera particolare proprio per la dimensione sociale che sgorga direttamente dal Vangelo e dalla Eucarestia. La riflessione sulla cultura ci spinge a considerare in maniera rinnovata il nostro impegno pastorale. La Chiesa diocesana, le parrocchie e le diverse istituzioni, debbono essere luoghi ove la fede diviene cultura. Solo così infatti riusciamo a comunicare il Vangelo. Non mancano esempi positivi nei diversi campi perché cresca la comprensione e la comunicazione della fede, perché sia affermi una cultura della solidarietà e dell’accoglienza. Per questo oggi, festa del Patrono, viene organizzato un pranzo con gli anziani di Terni. E’ evidente poi che la famiglia è chiamata ad occupare un posto decisivo nel campo della educazione e della trasmissione della cultura della città nelle diverse generazioni. Sono particolarmente lieto che sia stata approvata nei giorni scorsi una legge regionale sulla famiglia. E’ indubbio però l’urgenza che le famiglie riscoprano la indispensabile fatica educativa perché la città non sia frantumata sin dall’infanzia dei suoi figli. Non possiamo comunque lasciare solo ad alcuni un compito che spetta all’intera società e in particolare ad alcune sue istituzioni.
Penso anzitutto all’università che in queste settimane è al centro di un ampio dibattito cittadino. Non c’è dubbio che sia cruciale per il futuro di Terni. L’università – come anche i centri di ricerca sui quali tanto stiamo investendo in questi anni – sono fabbrica di conoscenza, di capitale umano, di innovazione tecnologica, di nuovo sviluppo del territorio. Di qui la domanda sull’investimento delle risorse per l’università e sulla sua qualità. Non basta gloriarsi del nome, è indispensabile la qualità. Solo così l’università può esprimere la sua potenzialità ed essere strumento per far crescere una più robusta capacità di guida nei confronti della città. L’università, chiamata alla ricerca e all’insegnamento, deve puntare con decisione alla qualità in un contesto che richiede uno stretto legame con il territorio e con la sua realtà economica.
La riflessione sul ruolo della cultura per la crescita della città sarebbe tuttavia incompleta se non prendesse in considerazione anche il mondo della scuola. E’ una questione che ci sta particolarmente a cuore. La scuola infatti incontra tutti i nostri ragazzi e i nostri giovani. Terni ha una bella tradizione nel campo dell’istruzione e della scuola. Non possiamo tuttavia nasconderci che spesso la città tutta intera, dal mondo della politica a quello dell’economia, dalla realtà delle famiglie alla stessa comunità ecclesiale, dimentica il valore della scuola per la crescita della città stessa. E la scuola, a sua volta, non riflette sul ruolo che ha nei confronti del bene comune della città. Non dobbiamo comunque correre il rischio di abdicare alla sfida educativa. Sarebbe una tragedia. Spesso purtroppo sono le famiglie ad essere poco esigenti nei confronti della qualità della scuola e del suo rigore educativo. Non di rado, infatti, finiscono con il rinunciare del tutto a valorizzare la funzione educativa della scuola, magari perché hanno perso di vista la loro primaria funzione educativa. La scuola è al centro della questione educativa che riguarda la società nel suo insieme e che si fonda sulla continua ricerca di un equilibro fecondo tra libertà e disciplina, tra dialogo e autorità. Dobbiamo interrogarci se la scuola a Terni percepisce questo suo ruolo cruciale nei confronti della città. Solo così riuscirà ad evitare l’appiattimento, a premiare ed incoraggiare il merito, a valorizzare le singole persone scoprendo i talenti di ognuno. E’ importante sottolineare come buona parte di quanto la scuola riesce a fare in questo campo dipenda da scelte delle istituzioni locali, la scuola stessa in primo luogo ma anche la politica, l’impresa, la comunità religiosa, le fondazioni bancarie. Possiamo dunque parlare di un futuro della scuola a Terni che dipende da Terni e di un futuro di Terni che dipende dalla scuola.
Cari amici, cultura, università e scuola sono luoghi decisivi, se così posso dire, per la nostra città. Come dicevo, da essi dipende in gran parte la qualità stessa della vita della città La città infatti ben prima di essere composta dalle case, dalle strade e dalle fabbriche è fatta di uomini e di donne. La città siamo noi e i nostri comportamenti. Per questo siamo chiamati a stringerci in una sorta di nuovo patto per Terni, ad alzare lo sguardo dai nostri orizzonti individuali o di gruppo e osare immaginare la Terni di domani. Essa non è frutto di cammini individuali ma di una passione comune da riscoprire e da far crescere. Per questo credo sia importante un cambiamento profondo nel cuore. Non dobbiamo sottovalutare quel “mercenario” che è in ciascuno di noi, ossia quell’istinto a pensare anzitutto al proprio interesse e al proprio guadagno, non importa se individuale o di gruppo civile o religiosa. Sant’Agostino avvertiva: “Due amori danno origine a due città: la città terrena il cui amore di sé giunge sino al disprezzo di Dio; e la città celeste il cui amore di Dio giunge sino al disprezzo di sé”(libri 11-14). Il santo vescovo non intendeva affermare l’esistenza di due città distinte, quella di Dio e quella degli uomini, egli voleva piuttosto sottolineare due modi di vivere dentro la stessa città, due atteggiamenti, due amori, due modi di intendere la propria vita. Questi due amori – avverte Sant’Agostino – portano a due esiti opposti: “l’uno è sociale e l’altro egoista; l’uno tiene conto dell’utilità comune in vista della società del cielo, l’altro riduce lo stesso bene comune al suo potere spinto dal sentimento dell’arroganza nel comandare”(De genesi ad litteram, 11, 15). Care sorelle e care fratelli, l’amore che dobbiamo vivere è quello che ci porta a servire il bene comune della città, il bene comune di questa nostra regione, il bene comune del nostro paese e quello del mondo. Questo è l’amore che sgorga dal Vangelo. Questo è l’amore che edifica sin da questa terra la città del cielo. San Valentino aiuti ciascuno di noi e l’intera città a incamminarsi sulla via di questo amore.