Celebrazione al seminario “La buona politica per il bene comune” – Todi
E’ bene iniziare questa giornata di riflessione con la celebrazione eucaristica. La ragione ce la ricorda Sant’Ignazio di Antiochia di cui oggi la Chiesa fa memoria. Questo santo vescovo, mentre veniva portato a Roma per ricevere il martirio, definì i cristiani coloro che vivono secondo la logica della “eucarestia” (“juxta dominicum viventes”), ossia dando la propria vita per gli altri come appunto il Signore fa nella Eucarestia. E’ la logica di una vita concepita come dono e non come possesso. Quest’ultima scelta è qualla fatta dall’uomo ricco di cui ha parlato il Vangelo secondo Luca (12, 13-219 che abbiamo appena ascoltato. Costui, con il cuore pieno di cupidigia, scelse di vivere accumulando per sé le sue ricchezze, convinto che la vita dipende da ciò che si possiede. Dopo un fruttuoso raccolto, decise di costruire nuovi magazzini, ancora più grandi di quelli che aveva, per ammassare lì tutte le sue ricchezze. E disse a se stesso: “Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni: riposati, mangia, bevi e divertiti!”. Non aveva calcolato la fragilità umana. E quella stessa notte morì, nota l’evangelista. Gesù, da parte sua, ammonisce: “così è di chiunque accumula tesori per sé e non si arricchisce davanti a Dio”. E’ un avvertimento che risuona grave anche oggi, in un tempo nel quale tutti, anche a motivo della crisi incombente, siamo spinti a ripiegarci in noi stessi, a rinchiuderci nel nostro porizzonte, insomma, ad accumulare nei nostri magazzini.
Noi siamo qui – e abbiamo voluto ritrovarci in una cornice di serena sobrietà, bel lontana dalla cupidigia di cui ha parlato Gesù – per riflettere assieme sulle responsabilità che come cattolici abbiamo verso il nostro paese. E l’Eucarestia – questa mattina anche temporalmente – è davvero come l’aurora che rischiara il lavoro che in questo giorno ci attende. L’Eucarestia, infatti, non solo scardina in radice la tentazione ad accumulare ciascuno per sé, ma soprattutto spinge ad arricchirci davanti a Dio, ossia a spendere la nostre vite per il bene comune di tutti, per rendere questa nostra società più umana. Riprendendo il titolo di una antico libretto di Pierre Teilhard De Chardin, “La Messa sul monso”, potremmo dire che questa è una Messa sull’Italia. Davanti ai nostri occhi infatti appare lo smarrimento di tanti, le paure per l’oggi e per il domani. Per questo risuonano ancor più impellenti le parole che aprono la Gaudium et Spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi (degli italiani), dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo (di tutti noi che siamo qui), e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.
Le comunità cristiane in Italia, per quanto “minoranza”, sentono in profondità e in larghezza le speranze e le angosce delle famiglie, dei giovani e degli anziani. Qui, a Todi, raccolti in questa singolarissima assemblea, sentiamo la responsabilità di spendere le ricchezze che ciascuna nostra realtà possiede per il bene di tutti. E dobbiamo farlo presto e assieme, con creatività e generosità. L’antica Lettera a Diogneto affermava: “ciò che è l’anima nel corpo, questo sono i cristiani nel mondo”. Sappiamo che i paragoni zoppicano. Ma se questo nostro paese rischia di perdere l’anima o di restare senza aria, non dobbiamo chiederci se non sia necessario un impegno più robusto anche da parte nostra? L’autore della lettera avverte: “Dio ha assegnato loro (ai cristiani) un posto tale che non è loro lecito tirarsi indietro”(VI,10). Sì, abbiamo ricevuto da Dio un posto nel nostro paese da cui “non è lecito tirarci indietro”. Ed è in questo orizzonte che si stagliano i ripetuti richiami di Benedetto XVI, come pure dei cardinali Bertone e Bagnasco, sulla necessità di una presenza più robusta dei cattolici nella vita politica.
Noi siamo qui perché pensosi per la crisi nazionale e internazionale. Sentiamo l’urgenza, come credenti, di affrettare i passi della riflessione, del discernimento al fine di elaborare una visione della società che vogliamo costruire, di tracciare le linee che definiscono il Bene comune oggi, confrontandoci lealmente con tutte le realtà vive della società italiana. Volendo riprendere l’immagine evangelica si potrebbe dire che siamo qui per aprire ancor più le porte dei magazzini delle molteplici realtà ecclesiali e associative italiane. Abbiamo un ricco patrimonio di sapienza spirituale, morale, sociale, culturale ed anche politica ed è urgente delineare assieme una prospettiva su cui convergere. C’è bisogno che appaia un nuovo sogno per l’Italia, che si stagli una nuova visione del paese che scaldi il cuori della gente. Sappiamo che è compito di tutte le realtà del Paese concorrere alla realizzazione del bene comune. Ma non c’è dubbio che per i discepoli di Gesù – “esperti in umanità”, come diceva paolo VI – tale compito è ineliminabile e urgente.
E oggi, ancor più di ieri, si presenta l’opportunità di suscitare nuove passioni e nuovi protagonismi anche nella vita politica. Non possiamo indugiare, magari attardandoci nella cura dei rispettivi magazzini o, peggio, nel tenerli aperti solo per sé e chiusi per gli altri. Ancora una volta però è la stessa Eucarestia ad allontanarci dalla tentazione di accumulare per sé e a spingerci ad offrire a tutti il patrimonio di sapienza che è stato messo nelle nostre mani. Abbiamo pane a sufficienza, eppure deve essere ancora moltiplicato, perché in tanti hanno bisogno di essere sfamati di amore e di futuro. Anche noi oggi possiamo vivere il miracolo della moltiplicazione. Abbiamo cinque pani e due pesci – potremmo somigliarli alle varietà della nostra assemblea composta da quelle del Forum a quelle associative e di movimento – che il Signore sa moltiplicare. C’è bisogno di tutti noi. E ricordiamo le parole di Gesù ai suoi discepoli dicendo loro: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”(Mt 18,8).
Cari amici, è dall’altare che noi attingiamo la forza del nostro pensare e del nostro agire, anche di quello politico. Non dobbiamo staccarci da questa fonte, pena l’inaridimento. Il Signore, pastore buono di tutti, continua a donarci il suo amore e a sostenerci perché diventiamo fermento di quella nuova socialità che proprio qui noi stiamo sperimentando.