Natale 2011 – Celebrazione del Te Deum
Care sorelle e cari fratelli, gentili autorità,
la liturgia eucaristica, mentre ci introduce alla Domenica 1 gennaio, memoria della Madre di Dio, accoglie anche il tradizionale Te Deum di ringraziamento per l’anno trascorso. Le scadenze dell’anno solare non riguardano direttamente il tempo liturgico, ma nello stesso tempo ci legano al Natale di Gesù. Nella Lettera che vi ho inviato ho manifestato, assieme alla preoccupazione per la crisi incombente, anche alla opportunità per una rinascita. Il Natale, infatti, non è semplicemente una memoria ininfluente se non sul piano sentimentale, è ben di più: richiede a tutti noi una vera e propria rinascita. Scrivo: “non possiamo più rimandare il tempo della responsabilità e del coinvolgimento personale. Questo mondo travolto dalla crisi è il nostro mondo, non quello degli altri. E dobbiamo stare attenti a non cadere nel circolo vizioso di pensare che si possa uscire dalla crisi ripiegandosi ancor più su se stessi”.
Questa mattina mi sono recato alla Basell per parlare con gli operai che da domani non hanno più il lavoro. Mi diceva uno di loro: “Voi festeggerete la fine dell’anno. E noi? Noi festeggiamo – si fa per dire – la fine del lavoro!” Permettete che mi soffermi un momento su quanto è successo in questi giorni per sottolineare i pericoli che possono farci cadere e bruciare la speranza che pure si era accesa. E mi riferisco non solo alle questioni relative al caso Basell, ma a quello dell’intero tessuto industriale e all’urgenza di riavviare lo sviluppo anche nel nostro territorio. Ho riflettuto se fosse stato il caso di fermarmi su questi temi. Ma credo che se non si cambia profondamente l’atteggiamento verso gli altri e verso il bene di tutti, non solo non possiamo cantare il Te Deum, ma rischiamo di bruciare irresponsabilmente anche la speranza. Ho visto purtroppo una eccessiva frammentazione delle diverse parti coinvolte, ho visto il rischio di subalternità che sono deleterie, ho visto egoismi che rallentano l’attuazione di prospettive innovative, ho visto una inerzia che immobilizza i diversi apparati amministrativi. E la pur possibile crescita viene bloccata. Certo, c’è paura, eccome! Ma attenti a non trasformarla in una occasione di cecità e di soffocamento di ogni audacia.
Se non c’è una rinascita interiore, se non c’è uno spirito di altruismo più forte, se non c’è una giusta rivendicazione anche per lo sviluppo di questa nostra terra, se non c’è una visione, un sogno che spinga tutti a cambiare i ritmi del nostro pensare e del nostro operare per una Terni rinnovata, davvero è difficile cantare il Te Deum. Come posso questa sera cantare il Te Deum dopo quel che ho visto accadere in questi giorni e dopo aver parlato con quei lavoratori che da domani resteranno a casa?
Care sorelle e cari fratelli, l’unico modo che abbiamo per cantarlo e anche a voce alta, ed anche in un momento di crisi come l’attuale, è se quanto è accaduto, crisi compresa, tutto diviene un’occasione per il cambiamento dei nostri cuori e dei nostri comportamenti. Ho accennato alla insidia pericolosissima della paura: siamo impauriti dalla crisi e abbiamo la paura del cambiamento. Se non vinciamo queste due paure, esse si assommano, e il danno sarà tragico per tutti. Non dobbiamo aver paura di guardare avanti, e quindi di cambiare anche il passo, a tutti i livelli: politico e quindi avere una maggiore potenza nelle visioni e nelle decisioni; amministrativo e quindi meno spazio ad una burocrazia che insabbia e più sollecitudine; industriale e quindi meno frazionamenti e personalismi; intellettuale e quindi maggiore audacia nelle analisi e maggior rigore nelle riflessioni; religioso e quindi un impegno più attento per salvare la città dal ripiegamento su se stessa e dalla subalternità.
La paura può spingerci ad un deleterio conservatorismo. E’ più facile rivolgerci indietro pensando che il passato ci preservi dalla crisi incombente. La sorpresa sarà amarissima e per tutti. Benedetto XVI, ultimamente, esortando ad una Natale di speranza, come io stesso ho voluto fare e i vescovi umbri hanno voluto fare propria la lettera inviata alla Diocesi, ha messo sull’avviso tutti a non avere l’atteggiamento della moglie di Lot, la quale, mentre la città bruciava, si è voltata indietro: divenne una statua di sale.
Non deve essere questa la nostra volontà. A Natale l’angelo ha fatto alzare i pastori perché andassero a Betlemme: “Andate fino a Betlemme”. Ed essi andarono senza indugio e videro Maria, Giuseppe e il Bambino. La santa liturgia questa sera ci ha riportato davanti a quella grotta, ed eccoci nuovamente davanti al Bambino. Il primo ringraziamento che dobbiamo comunque elevare a Dio con il Te Deum è per averci donato questo bambino: è sceso dal cielo ed è venuto tra noi per associarci alla sua opera, al suo sogno sul mondo, per renderlo più giusto e più pacifico. Nell’anno trascorso ci sono stati gesti significativi in questo senso: alcuni meno visibili, altri più visibili, ma tutto ciò che ha cercato di rendere più bella la vita degli altri è stato importante per chi l’ha compiuto e per chi l’ha ricevuto.
Penso all’impegno straordinario per ricomprendere il senso della Iniziazione Cristiana nella nostra Diocesi che ha provocato una tensione positiva in tutte le parrocchie. E’ davvero un grande impegno di cui ringraziare il Signore. Vedo che i nostri ragazzi sono più partecipi. E’ un modo per rendere un servizio al futuro della nostra città: i ragazzi crescono così alla scuola del Vangelo e non a quello della violenza. Penso alla straordinaria testimonianza delle vita di carità nella nostra Diocesi. Come sapete è cresciuto il bisogno e, grazie a Dio, è cresciuta anche la tensione di amore. Quest’anno passato la mensa San valentino ha distribuiti circa 30.000 pasti e più di 3.500 persone si sono rivolte alle nostre case di accoglienzA. E’ comunque molto più diffusa la solidarietà quotidiana. E come dimenticare lo slancio – questa volta più generoso rispetto alla raccolta passata – per la raccolta del Fondo di Solidarietà per gli operai che perdono il lavoro senza avere alcun ammortizzatore sociale. Molto altro dovremmo dire, ma per questi sì che dobbiamo ringraziare il Signore.
Ma lo sguardo va all’anno che viene. Ovviamente quanto detto sino ad ora vuole essere uno stimolo ad un nuovo passo che tutti dobbiamo per inizare l’anno che viene. C’è un anniversario che deve farci riflettere in maniera particolarmente attenta. Cinquenta anni fa, Giovanni XXIII, apriva il Concilio Ecumenico Vaticano II. Non è anche qui, un semplice ricordo. Tutt’altro. Deve essere una occasione per riprendere con maggiore entusiamo e consapevolezza le ispirazioni di quello straordinario evento ecclesiale. Per di più Benedetto XVI invita tutte le Chiesa a celebrare l’anno della fede, a ricomprendere l’atto di fede come un impegno dei singoli credenti e dell’intera comunità ecclesiale a trasferire nella vita il fermento del Vangelo. Questa operazione non è semplicemente l’applicazione di norme già scritte una volta per tutte. No, è piuttosto la fatica – che può essere solo comune – di leggere la vicenda di questo mondo, di vedere la vita della nostra città evedere quali sono “i segni dei tempi” da interpretare. Dobbiamo per questo intensificare la lettura delle Sante Scritture. Esse sono la luce che ci aiuta a capire quel che accade e dove dobbiamo andare. E’ un modo di pregare che si deve intensificare. La Lectio divina, che già in alcune realtà lodevolmente si pratica, deve allargarsi, deve coinvolgere sempre più persone. Per questo ho voluto offrire nuovamente alla diocesi un testo che commenta i Vangeli della Messa quotidiana. E’ la maniera di pregare praticata da tanti santi. San Francesco, ad esempio, aveva una venerazione per il Vangelo: lo leggeva ogni giorno cercando di metterlo in pratica alla lettera, “senza aggiunte”, come lui amava dire. Nelle Fonti Francescane si racconta che “fece anche scrivere… un evangelario e quando, a causa di malattia o di altro impedimento manifesto, non poteva ascoltare la Messa, si faceva leggere il brano assegnato per la Messa di quel giorno. E così continuò a fare sino alla morte. Ne dava questa ragione: quando non ascolto la Messa, adoro il corpo di Cristo nella preghiera con gli occhi della mente, allo stesso modo in cui l’adoro quando lo contemplo durante la celebrazione eucaristica. Ascoltato o letto il brano evangelico, il beato Francesco, per la sua profonda riverenza verso il Signore, sempre baciava il libro del Vangelo”. Anche lui si inseriva nella lunga schiera di credenti che hanno compreso alla lettera la frase di Gesù: “non di solo pane vivrà l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”(Mt 4,4). E l’ascolto del Vangelo ogni giorno è la “cosa di cui c’è bisogno”, come Gesù stesso disse a Marta che si lamentava perché la sorella Maria era rimasta ad ascoltarlo.
Abbiamo ascoltato dal Vangelo che Maria, la Madre di Gesù, da parte sua custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Care sorelle e cari fratelli, auguro a me e a tutti voi di essere come Maria. E Lei, madre buona di tutti noi, ci accompagni nell’anno che viene.