“Ama i poveri come te stesso”. Il Vangelo di don Vincenzo

Chiesa degli ultimi e quella del potere, il lavoro e il denaro, le sfide del Sinodo. Incontro tra Scalfari e monsignor Paglia

di EUGENIO SCALFARI

LA STORIA della povertà è un ponderoso libro (625 pagine, edito da Rizzoli) scritto da Vincenzo Paglia. Siamo vecchi amici, Don Vincenzo ed io e ci raccontiamo idee e lavori intrapresi, ma lui di questa sua opera non mi aveva detto nulla; quando le bozze erano pronte me le ha mandate. Don Vincenzo è un prete, cura anime e cultura, spesso m’ha detto che le due cose vanno insieme e probabilmente ha ragione. E lui  –  sembra paradossale  –  considera anche la povertà come un elemento che unisce i poveri con la cultura e promuove l’umanesimo cristiano. Ma per chi ha quella visione della storia l’umanesimo cristiano subentrò alla cultura greco – romana, fondò l’Europa e i suoi valori e di lì si propagò in almeno metà del mondo.

“Naturalmente non è stato un percorso facile né continuo. Ci furono frequenti interruzioni e persecuzioni e ci furono anche mutamenti di interessi e di valori nella stessa Chiesa. Ti farò un esempio: nella Chiesa dei primi secoli i poveri erano considerati i vicari di Cristo in terra, cioè i veri successori degli apostoli”.

Ma loro lo capivano? Erano consapevoli di avere un rango così elevato?

“Non credo che ne fossero consapevoli, non tutti perlomeno, quindi non tutti avevano abbracciato la nuova religione e non tutti praticavano una vita appropriata. Ma una gran parte sì. Nei primi tre secoli la nostra religione si espanse con un ritmo incredibile. Non solo nel Mediterraneo orientale dove era nata sul tronco di un ebraismo profondamente trasformato, ma in tutte le genti dell’Impero. Fu questa espansione che provocò le persecuzioni di massa che toccarono il culmine con Diocleziano. Poi, con Costantino, la situazione cambiò e la croce di Cristo diventò il vessillo imperiale”.

Secondo la vostra storia fu Paolo di Tarso a provocare questo mutamento esortando Pietro e Giacomo che guidavano la comunità ebraico-cristiana di Gerusalemme ad uscire da quella città e propagarsi in tutto l’Impero a cominciare da Roma. Non capisco però quale sia stata in quel momento cruciale la funzione dei poveri.

“I cristiani poveri conoscevano il Vangelo e la frase famosa di Gesù quando dice che gli ultimi saranno i primi, i poveri, gli ammalati, gli esclusi saranno i primi, mentre i ricchi per entrare nelle grazie del Signore dovranno passare per la cruna d’un ago. Ma ciò che in quei mesi mise a duro contrasto Pietro con Paolo fu molto più specifico. La comunità ebraico-cristiana di Gerusalemme aiutava con i soldi raccolti con le elemosine e i lasciti dei cristiani ricchi, le vedove povere della città. Non aiutava invece le vedove di altre città della Giudea che si trasferivano a Gerusalemme. Paolo insorse contro questa discriminazione che reputava assolutamente impropria rispetto ai canoni del cristianesimo: l’assistenza ai poveri doveva esser totale, quale che fosse la loro provenienza e la loro etnia. Questo contrasto durò alcuni mesi ma poi Pietro si convinse e dette ragione a Paolo. Da allora non è più esistita discriminazione alcuna. Lo so per diretta esperienza con la carità praticata dalla nostra comunità di Sant’Egidio: noi aiutiamo nell’ambito delle risorse disponibili i poveri di Roma ed ogni luogo dove siamo presenti senza neppure domandare se sono credenti”.

Lo fanno anche le altre comunità?

“Lo fa la Chiesa. L’ha fatto sempre ma spesso ha unito all’amore per i poveri anche altri interessi ed altri valori”.

Quali?

“Quello per esempio del potere temporale, della Chiesa istituzionale che dal IV secolo in poi sempre più ha guidato l’Istituzione. L’aiuto ai poveri c’è sempre stato ma è diventato per lunghi periodi un valore di seconda fila, nei fatti non nelle parole. La Chiesa ha fatto guerre, ha portato in battaglia il nome di Dio, ha negoziato con i poteri temporali degli Stati e delle Signorie, ha negato perfino gli abusi dei vescovi e dei cardinali ma anche degli stessi Pontefici”.

Stai facendo un quadro terribile della storia della Chiesa….

“Non lo faccio io, lo fa la storia. Ma contemporaneamente l’amore per i poveri, l'”agape”, non si è mai spento e più volte ha ripreso l’antico vigore ed ha trasformato la Chiesa con una nuova ondata di amore per il prossimo. Debbo dire che papa Francesco è l’esempio più lampante di questa nuova ondata dell'”agape”. E una ragione c’è, a parte l’eccezionale carattere del Papa attuale. L’insegnamento di Gesù raccolto dai Vangeli riguarda il modo di amare Dio. Il popolo non conosce e non può amare Dio se non attraverso il suo Figlio che si è incarnato ed è diventato uomo a tutti gli effetti, allegria e dolori, desideri e tentazioni. Ma ci ha insegnato anche che siamo fatti di carne, di istinti, di sentimenti e di immaginazione. Dunque Dio ama la specie da lui creata ma le sue creature non hanno altro modo per restituirgli l’amore che è un suo dono se non amando tutti gli altri da lui creati. L'”agape” non è altro che questo e i poveri sono, dovrebbero essere, l’oggetto principale del nostro modo di amare Dio”.

Il tuo ragionamento, caro Vincenzo, è molto persuasivo dal punto di vista cristiano. In un mio recente colloquio con papa Francesco anche lui sostenne che il vero ed anzi l’unico modo di amare Dio Padre è l’amore per Cristo uomo e per i poveri. Quest’amore per gli altri che privilegia i poveri non contiene una scintilla di socialismo? Molti l’hanno sostenuto, tu che ne dici?

“Dico di no. Noi non siamo contro i ricchi che possono amare Cristo e praticare il bene. Anche molti socialisti hanno senza dubbio analoghi sentimenti, ma sono un movimento politico che ha come finalità quella di conquistare il potere “.

Anche la Chiesa l’ha avuto e per molti secoli. Tu l’hai poco fa ricordato.

“È vero, ma quelle fasi, purtroppo anche lunghe, sono state fasi di corrompimento della Chiesa. Hanno quasi sempre sostenuto svariate idee che hanno riportato l’istituzione ai suoi compiti, importanti ma secondari”.

Il tuo libro racconta proprio questi sommovimenti da te quasi sempre identificati col monachesimo. Se non ricordo male il primo monaco della vostra storia che fondò il monachesimo in Egitto e nei territori circostanti si chiamava Antonio.

“È cosi”.

Niente a che vedere con Antonio di Padova?

“No, niente a che vedere. Antonio di Padova venne molti secoli dopo e fu discepolo di Francesco”.

E bene puoi descrivermi la peculiare forza del monachesimo nella vita della Chiesa? Gran parte del tuo libro è dedicato a questo tema. Ne deduco che tu metti il monachesimo in rapporto assai stretto con il ruolo dei poveri.

“È vero, ma il monachesimo ha avuto anche altre funzioni”.

Vediamo anzitutto quali sono le figure principali di questo movimento che non fu sempre lo stesso ma ebbe sempre la stessa concezione della vita.

“È vero, gli uomini si adeguano ai tempi in cui vivono ma al tempo stesso li cambiano. Questa è la nostra funzione”.

Non sempre cambiano bene.

“Questo è naturale, ma è un altro discorso e ci porterebbe lontano. Dunque Antonio l’egiziano. E poi in Italia molte figure importanti ma di minor peso, finché si arriva a Benedetto. Fondò un Ordine e una regola basata sul motto “Ora et labora”. Fu una grande svolta che entrò nel monachesimo successivo. Benedetto fondò molti monasteri ma il più grande, quello che fu il punto di incontro di tutti i benedettini, fu il monastero di Montecassino. Il lavoro era l’agricoltura: coltivavano i campi, bonificavano le paludi, piantavano alberi da frutto e provvedevano al proprio sostentamento e alla distribuzione di risorse ai poveri. I monasteri a quell’epoca erano aperti ma in una sola direzione: chiunque volesse entrarvi e restarvi lavorando poteva farlo, ma i monaci non potevano uscirne se non andando a coltivare le loro campagne. Benedetto ebbe una grande importanza perché, oltre alla coltivazione dei campi c’era anche il lavoro culturale, le biblioteche, la copiatura dei codici. Poi c’è Domenico e poi, nel XII secolo, Francesco e Valdo”.

Dal quale nascono i valdesi?

“Esattamente. Valdo era molto colto e acuto ma non volle mai trattare con la Chiesa. Francesco no, era un mistico ma anche sagace nei comportamenti e infatti riuscì dopo molti tentativi andati a male ad ottenere da papa Onorio l’approvazione delle regole e la fondazione dell’Ordine dei francescani. Papa Onorio mise come condizione che la vita itinerante fosse interrotta nelle stagioni più dure dell’anno e i frati potessero alloggiare in alcuni monasteri. Francesco accettò ma lui non si fermò quasi mai e tutti ricordano quale impulso dette all’amore verso i poveri e in generale verso la natura in tutte le sue forme, dagli animali, ai fiori alle piante. Il misticismo di Francesco è stato tra i più intensi ed è riuscito fisicamente ad identificarsi con Cristo e le sue stimmate”.

Se tu dovessi dare una definizione con parole del monachesimo che cosa diresti?

“Direi anzitutto che il monachesimo è un movimento laico. Solo in tempi più vicini a noi i francescani e gli ordini che ne sono derivati sono diventati  sacerdoti. Ma non tutti e ai tempi di Francesco quasi nessuno. Questa fu la natura del monachesimo che ebbe del resto la sua nascita e il suo sviluppo ancora ai tempi dell’Impero “.

Tu pensi che bisognerà aumentare il numero dei diaconi non tanto per supplire ad una scarsità di nuove ordinazioni di sacerdoti quanto per affrontare la gestione di un culto la cui liturgia è sempre più a portata dei fedeli che ascoltano e sempre meno secretata dal sacerdote che ormai parla e dice messa in lingue locali e non più in latino.

“Sì, penso così, il diaconato aumenterà ed anche la funzione delle comunità religiose purché si attengano alle direttive del Papa”.

Il Papa ha definito la Chiesa soprattutto con due aggettivi: cattolica e apostolica. Ha anche aggiunto che cattolica significa ecumenica e che parla le lingue di tutto il mondo per diffondere il Vangelo. È un fatto di vocabolario? Di conoscere i linguaggi locali per parlare direttamente con gli interlocutori?

“Non soltanto. La Chiesa cattolica parla tutte le lingue anche nel senso che comprende il modo di pensare dei vari popoli e territori nei quali i missionari si trovano. La Chiesa missionaria deve capire gli altri per poter agire in sintonia con loro, risvegliando la loro vocazione al bene. Questo è il senso secondo me di quella frase”.

Mi fa molto piacere questo che dici perché l’ho scritto anch’io in un recente incontro con papa Francesco. E invece che cosa significa Chiesa apostolica?

“Gli Atti degli apostoli e i Vangeli sono il fedele racconto della predicazione cristiana tramandata dalla memoria dei seguaci del Signore. Questo significa Chiesa apostolica, che si potrebbe anche definire Chiesa evangelica”.

E il Sinodo che state preparando?

“È il primo e l’argomento è esattamente la famiglia. Il Sinodo preparatorio ci sarà a Roma il prossimo 5 ottobre. Il Papa ha invitato tutti, anche le voci dissenzienti su alcuni punti: i trecento vescovi riuniti formuleranno un documento sulla famiglia e i suoi vari e molteplici problemi, i rapporti tra uomo e donna, l’istruzione dei figli ed anche il tema dei divorziati e del loro rapporto con i sacramenti. Il documento si voterà e poi sarà rimesso nelle mani del Pontefice che lo renderà ufficiale con qualche eventuale correzione. Ma poiché Francesco parteciperà al Sinodo credo che correzioni non ce ne saranno e sarà interamente approvato. Vedremo a lavoro la Chiesa cosiddetta orizzontale, cioè i vescovi che vengono da tutte le parti del mondo e le rappresentano. Ricordo che il cardinale Martini, molto amico di papa Bergoglio, puntava molto sulla frequenza dei Sinodi, dedicati ad argomenti specifici o all’intera situazione della Chiesa. La Chiesa orizzontale non modifica la verticalità che vede il Papa come primate, tuttavia inserisce una novità molto importante per vedere la Chiesa in uscita e il ponte levatoio del suo castello abbassato. Una Chiesa isolata in un castello chiuso, ha detto più volte papa Francesco, sarebbe destinata a morire. Lui sta prendendo la strada opposta e tutti noi dovremo collaborare perché quello che lui vuole avvenga”.

(da Repubblica)