Avvento

Il termine “avvento” è usato dalla liturgia della Chiesa per indicare il tempo di preparazione al Natale, perché la memoria della nascita di Gesù non sia un ricordo puramente esteriore. Angelo Silesio, un credente del Seicento, con grande sapienza scriveva: “Mille volte nascesse Cristo a Betlemme, ma non in te: saresti perduto in eterno”. Per il credente, perciò, il tempo di Avvento è tutt’altro che un tempo banale, è anzi un tempo decisivo, quello della preparazione per accogliere nel proprio cuore il Bambino che nasce. E’ vero però che queste settimane di preparazione si presentano come un tempo “debole” rispetto ai tempi “forti” dei nostri interessi personali che, in genere, sono sempre ben più coinvolgenti. Che rapporto può esserci allora tra il tempo di Avvento e queste settimane della nostra vita che chiudono il 2012? C’è anzitutto da dire che forse ci suona strana l’idea stessa di un tempo liturgico, inteso come qualcosa in più di un fatto puramente rubricistico che riguarda alcuni riti cristiani. Alcuni addirittura vorrebbero persino cancellarlo, pensando di essere rispettosi! In ogni caso molti pensano che si tratta di una questione che riguarda il sacro, una dimensione ben distinta, anzi separata, dalle vicende vere della vita quotidiana. In verità, questa interpretazione “sacrale” del tempo è molto riduttiva. Ben più ricco è il pensiero biblico su cosa sia lo scorrere del tempo. La Scrittura ci insegna a cogliere il tempo del Signore, che è tempo per la conversione, che è tempo dell’edificazione della comunità, che è tempo per la giustizia. Purtroppo si è come attutita questa capacità di leggere lo scorrere delle giornate più in profondità, di cogliere con gli occhi della fede il senso delle nostre giornate. E si perde anche la capacità di cogliere i “segni dei tempi”, un’espressione usata da papa Giovanni per esortare ad essere attenti a quel che accade e coglierne tutte le buone opportunità. Penso che questa incapacità a leggere il senso delle nostre giornate facilita ancor più uno stile di vita disimpegnato, perso nell’irrilevanza e complessivamente sciatto oltre che privo di sapore. L’unico sapore che in genere gustiamo è quello della centralità del proprio “io”. Ma è un sapore acre, che non riempie e comunque non sazia. La proposta che ci viene dal tempo di Avvento è quella di abbandonare il ripiegamento su se stessi per attendere un tempo nuovo, un futuro nuovo. Avvento, ossia attesa di qualcosa di nuovo, di qualcuno che ci dica parole di speranza. Purtroppo – nonostante la serietà della crisi che stiamo attraversando – assistiamo ad una caduta del senso dell’attesa, al disimpegno per la costruzione del futuro con la conseguenza di restare bloccati sui nostri ristretti orizzonti. Ed è proprio in questi ristretti orizzonti che può prosperare la crisi dei valori, delle idealità e della stessa vita politica. Una politica (ma anche un’economia e comunque una qualsiasi esistenza) senza impulsi, senza progetti, senza speranze ha poco senso. Ecco perché questo tempo di Avvento è particolarmente opportuno. Per di più non mancano i segni di un’alba nuova. L’importante è coglierli. Basti pensare all’Anno della Fede che ci viene proposto da Benedetto XVI per ricordare – o meglio, rivivere – la primavera del Concilio. E ce ne sono tanti altri di “segni”, disseminati nel nostro Paese. Dobbiamo leggere più in profondità i nostri giorni. L’Avvento è un richiamo per risvegliare nei nostri cuori l’attesa di un futuro nuovo. E soprattutto è un invito pressante ad alzare – nelle settimane di Dicembre – gli occhi verso il cielo e chiedere a Dio, assieme e con insistenza, di “squarciare i cieli” – come ci insegna Isaia – e mandare in mezzo agli uomini il Salvatore. Egli “farà nuove tutte le cose”.