Santità

Abbiamo iniziato il mese di maggio con la beatificazione di Giovanni Paolo II. In tanti ce l’auguravamo. Ed è arrivata come un dono straordinario. Per chi lo ha conosciuto personalmente, come a me è capitato, è grande la grazia di averlo incontrato. Ma vi assicuro, cari amici lettori, Giovani Paolo era davvero una persona semplice e diretta nell’incontro. Questa sensazione che ho sempre avuto nei contatti con lui, conferma quanto la Chiesa ripete, ossia che la santità non appartiene solo a persone eroiche ed eccezionali. Certo, ci sono tra i santi anche costoro. E Giovanni Paolo II era anche questo. Ma il Concilio Vaticano II afferma con chiarezza che “tutti nella Chiesa… sono chiamati alla santità, secondo il detto dell’Apostolo: la volontà di Dio è questa, che vi santifichiate”. Tutti, nessuno escluso, sono chiamati alla santità. Persino chi non crede – se è sincero in coscienza – deve interrogarsi sulla santità. Mi torna in mente il grande scrittore Albert Camus, che non credeva in Dio, il quale comunque si chiedeva: “Si può essere santi senza Dio?” E aggiungeva: “E’ il solo problema concreto che oggi io conosca”. Se si interrogava così questo non credente, quanto più noi che crediamo? I santi non sono i valorosi. Santi sono coloro che accolgono il Vangelo e si impegnano a metterlo in pratica. Per questo, non si è santi da dopo la morte, ma da quando si entra a far parte della “famiglia di Dio”, ossia da quando ci si “separa” (“santo” vuol dire “separato”) da un destino di solitudine e di angoscia, da quando ci si “separa” dalla vita triste di questo mondo e si entra a far parte della famiglia del Signore. Si è santi dal Battesimo, dal momento in cui diventiamo membri della Chiesa. Da allora la santità deve diventare l’impegno decisivo del credente. Purtroppo non è così, anche perché abbiamo un’idea sbagliata della santità. Essa è l’orizzonte nel quale iscrivere i nostri pensieri, le nostre azioni, le nostre scelte, i progetti che vogliamo attuare. La santità non è allora un fatto intimistico e avulso dalla vita di ogni giorno. La santità è vivere secondo la figliolanza di Dio, ossia secondo le esigenze del battesimo, secondo le parole del vangelo. Per preservare questa figliolanza, molti, e non solo gli spiriti alti, hanno lottato anche a costo della loro stessa vita. Basti pensare ai martiri di questi tempi: questi cristiani – in Irak, in Pakistan, in Turchia, in India – hanno “resistito fino al sangue” per non abbandonare la fede e la Chiesa. Teniamoli davanti ai nostri occhi! La santità non è quindi una via straordinaria, per tempi difficili e per persone particolari. La santità è il cammino quotidiano di coloro che ascoltano il Vangelo e cercano di metterlo in pratica. Ciascuno deve trovare la sua via per ascoltare e praticare il Vangelo. E, si badi bene, non è santo chi non pecca mai, e neppure chi si crede giusto. È santo il mendicante di amore, il cercatore di misericordia, l’affamato del Vangelo, l’umile operatore della solidarietà e della pace, il peccatore che si inginocchia davanti al Signore e piange per il suo peccato. Il Signore dona l’amore a chi lo cerca. E la santità non è altro che questo: vivere di amore.