XXI Domenica del Tempo Ordinario
Dal vangelo di Luca (13,22-30)
Passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Disse loro: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi,rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi”.
La Liturgia di questa domenica si apre con la visione della salvezza come viene intesa da Dio: “Io – dice il Signore – verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria” (Is 66,18). Dio, potremmo dire, non nasconde il suo progetto di salvezza, ossia fare una sola famiglia di tutti i popoli della terra; anzi, lo mostra sin dai tempi della prima alleanza con Israele. Isaia, infatti, sebbene parlasse solo al popolo d’Israele, prefigurava il giorno in cui tutti i popoli della terra si sarebbero raccolti sul monte santo per lodare l’unico Signore. In verità, già nella prima pagina della Scrittura appare con evidenza questo respiro universale di salvezza: in Adamo ed Eva sono raccolti tutti gli uomini e tutte le donne, di ogni terra e di ogni tempo. E Noè, salvato dal diluvio, riceve da Dio un patto di alleanza a nome dell’intera umanità. Il Signore da sempre è amico dei popoli e sin dalle origini vuole la salvezza di ogni uomo e di ogni donna. La salvezza è un dono del cielo per tutti; e a tutti il Signore vuole darla. Nessuno, tuttavia, può reclamarla per diritto, o appropriarsene per nascita o per mera appartenenza esteriore. La salvezza non è proprietà di una etnia, di un gruppo, di una comunità, di un popolo, di una nazione, di una civiltà.
Il Vangelo di Luca, annunciato in questa domenica, fa domandare a Gesù: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” (13,23). L’opinione corrente, in verità, si basava sulla convinzione che bastasse appartenere al popolo eletto per partecipare al regno futuro. Questa domanda, invece, sembra suggerire che non basta appartenere al popolo eletto per ottenere la salvezza. Gesù è d’accordo, ma va oltre. Non risponde direttamente all’interlocutore e si rivolge a tutti dicendo: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno” (v. 24). Gesù sottolinea che la porta è stretta, ma è ancora aperta; tuttavia il tempo si è fatto breve e sta per essere chiusa. Bisogna perciò entrare, perché il padrone di casa “si alzerà e chiuderà la porta”. E se si resta fuori, magari perché si indugia troppo nelle proprie cose, non è più sufficiente mettersi a bussare ripetutamente, vantando appartenenze, consuetudini, e persino benemerenze. Il padrone non aprirà.
Ecco perciò la questione centrale posta da Gesù attraverso l’immagine della porta: è urgente aderire al Vangelo. Quindi la salvezza non consiste nell’essere membro di un popolo e neppure nella semplice appartenenza a una comunità. Non è questione di partecipare a dei riti (fosse anche quello domenicale!), ma aderire al Signore con tutto il cuore e con tutta la vita. Anche nelle comunità cristiane può annidarsi la stessa consuetudine rimproverata al fariseismo: vivere con la superbia e la sicurezza di non dover correggere nulla dei propri comportamenti; vivere osservando pratiche esteriori, ma avendo il cuore indurito, lontano da Dio e dagli uomini. Mentre l’indifferenza sembra prendere il sopravvento e l’abitudine a rinchiudersi in se stessi pare rafforzarsi, è davvero urgente che ognuno ritrovi la sua profondità spirituale nell’ ascolto fedele del Vangelo, nel servizio ai più poveri e nella vita fraterna tra tutti. Non di rado, invece, i singoli credenti, come anche le stesse comunità cristiane, si lasciano sorprendere dalla mentalità gretta ed egoista di questo mondo e si rinchiudono nel proprio particolare e nei propri problemi.
Lo sappiamo per esperienza: la porta dell’egoismo è larga, sempre spalancata e attraversata da moltissimi. Ha ragione perciò la Lettera agli Ebrei a ricordarci la correzione. Sì, la correzione del nostro cuore, dei nostri comportamenti. E la porta è il Vangelo. È vero che è stretta, ma non in se stessa. È stretta rispetto ai numerosi e lunghi rami spuntati dal nostro egoismo. Per entrare attraverso questa porta è necessario tagliare i rami dell’orgoglio, dell’odio, dell’avarizia, della maldicenza, dell’indifferenza, dell’invidia, e tanti altri ancora. Questi rami si sono sviluppati e infoltiti a tal punto da renderci quasi impossibile l’ingresso per quella porta. Chi accoglie il Vangelo con il cuore, viene come potato. Ed è vero, come scrive la Lettera agli Ebrei, che “sul momento non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia” (v. 11). E il frutto è entrare nella grande sala preparata dal Signore, dove “verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel Regno di Dio” (Lc 13,29). Noi già da ora, in questa santa Liturgia, possiamo gustare questa festa e gioirne con uomini e donne che prima ci erano estranei e ora sono divenuti fratelli e sorelle partecipi dell’unica famiglia di Dio. Perciò Gesù può ripetere a noi quello che già disse a coloro che lo ascoltavano: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l’udirono” (Lc 10,23-24).