Wojtyla e Bergoglio figli del Concilio, pastori del popolo
Il 2 aprile di 12 anni fa, tornava alla Casa del Padre San Giovanni Paolo II. Si concludeva così uno dei Pontificati più lunghi e straordinari nella storia della Chiesa. La memoria di Karol Wojtyla è oggi quanto mai viva tra i fedeli che, in tanti aspetti, trovano una consonanza tra il Papa “venuto da un Paese lontano” e quello “venuto quasi dalla fine del mondo”. Alessandro Gisotti ha chiesto una riflessione a mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, che proprio da Papa Wojtyla fu nominato vescovo nel 2000:
“Siamo di fronte ad un testimone della fede cristiana che ha saputo darle quella dimensione di universalità che oggi vediamo riflessa anche nel Pontificato di Papa Francesco. E se potessi trovare una fonte comune, a parte il Vangelo, ovviamente, direi che il Concilio Vaticano II resta per ambedue una sorta di stella polare. Mi ha fatto impressione il fatto che Papa Giovanni Paolo II fece il suo primo Sinodo sulla famiglia; la stessa cosa è accaduta con Papa Francesco: anche per lui il primo Sinodo fu sulla famiglia. E allora è importante vedere un filo rosso che lega, anche questo tema, come in uno sviluppo non in una ripetizione pedissequa, ma in una crescita. E c’è allora un passo di crescita partendo dalla Familiaris consortio e giungendo sino all’Amoris Laetitia; c’è una continuità che io credo vada riscoperta per cogliere la ricchezza del magistero papale in questi ultimi decenni”.
Di tanto in tanto alcuni esperti di vario genere si concentrano sulle presunte discontinuità tra Wojtyla e Bergoglio. Poi vediamo per esempio, invece, che nella gente, nel popolo di Dio, queste due figure si sono sentite molto vicine …
“Io inviterei tutti noi a guardare questo sensus fidei fidelium: il popolo di Dio ha colto il rapporto tra questi due Papi, ovviamente diversi tra loro. Dico questo anche perché ci troviamo nell’anniversario dell’Amoris Laetitia. Il senso dei fedeli – e l’ho potuto constatare girando in tante parti del modo – ha accolto questo documento con entusiasmo, così come aveva accolto con entusiasmo l’insegnamento sulla famiglia di San Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto. Ma c’è una crescita che il popolo ha capito, così come c’è, anche qui, una crescita dei due grandi territorio del dialogo ecumenico e del dialogo interreligioso: c’è l’attenzione verso i più poveri. Ricordo personalmente, dopo il primo viaggio in Brasile di San Giovanni Paolo II, l’impressione che lui confidò alla Comunità di Sant’Egidio, l’impressione nel vedere le grandi periferie delle città brasiliane piene di poveri. E lui in quell’occasione disse: “É questo quello che il Concilio chiedeva: la Chiesa che sceglie tutti, ma particolarmente i più poveri”.
Tra i tanti ricordi personali, ce n’è qualcuno su cui è tornato con la memoria che magari vuole condividere con noi?
“Ricordo, proprio perché ultimamente sono stato nei Balcani, la passione con cui Giovanni Paolo II voleva bloccare quella guerra drammatica che ha insanguinato tutti i Balcani. Con decisione voleva recarsi a vistare contemporaneamente le tre capitali: Zagabria, Sarajevo e Belgrado. Non fu possibile, ma la determinazione che lui aveva per portare la sua testimonianza di pace, la ricordo davvero straordinaria; mi impressionò la sua decisione, fino a battere i pugni sul tavolo, quando il segretario voleva impedirglielo. La sua decisione era quella di andare a Sarajevo anche a costo di andarci con un carrarmato, a costo di parlare da solo ad una città provata dalla tragedia della guerra. Questa determinazione per la pace credo sia stata uno dei doni più grandi che San Giovanni Paolo II ha mostrato. E Papa Francesco lo ha ripreso con passione”.