Omelia al funerale di Mario Agnes
Siamo stati accolti in questa santa liturgia per accompagnare Mario Agnes nel suo ultimo tratto del pellegrinaggio verso il cielo. Lo inizia da qui, da questa piccola chiesa di Sant’Anna, la sua chiesa degli ultimi anni, da quando nel 1984 è stato chiamato a dirigere «L’Osservatore Romano». Ogni giorno, Mario, vi sostava prima di iniziare il suo lavoro. Oggi, vi inizia il suo ultimo viaggio, verso la città santa ove, accolto dal Signore, vi abiterà per sempre, nella comunione con tutti i giusti. E camminerà «in una vita nuova», come abbiamo ascoltato dalla lettera dell’apostolo Paolo ai Romani (6, 4).
In questi ultimi anni della malattia è stato costretto a restare casa. E dopo la morte dell’amata sorella Lisa, alla malattia che lo indeboliva sempre più nel corpo si è aggiunta anche la solitudine. Si può essere soli, purtroppo, anche dentro queste mura. C’è stata la consolazione della presenza premurosa di due collaboratrici ucraine, dei nipoti, i figli degli amatissimi fratelli, e di pochissimi amici.
E la sua amicizia, anche nei momenti della debolezza, forse soprattutto in questi momenti, è stata sempre preziosa e tenera. Domenica scorsa gli ho portato la comunione — come regolarmente da tempo accadeva — e la sua pietà nel ricevere l’Eucaristia è stata esemplare. E a un amico aveva confidato di immaginare il momento della sua morte e del suo ingresso nel cielo pieno di gioia come il giorno in cui aveva fatto la prima comunione.
Abbiamo sperato di averlo ancora tra noi. La sua morte ci ha sorpresi e ci addolora. Certo, può consolarci il fatto che per lui è avvenuta come in un addormentarsi sereno. Nella tradizione d’Oriente si dice così della morte di Maria: la dormitio virginis, raffigurata nell’icona distesa sul letto, circondata dagli apostoli con Gesù nel mezzo che prende con le sue mani la piccola anima di Maria per portarla nel cielo accanto a sé.
Mario si è addormentato il giorno dopo la supplica alla Madonna di Pompei — un santuario a lui caro sin dall’infanzia — e alla vigilia della festa dell’Ascensione di Gesù, come a suggerire lo stesso abbraccio di Gesù che lo prende per portarlo nel cielo. L’apostolo Paolo scrive ai Romani: «Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione (…) Se siamo morti con Cristo, crediamo che vivremo anche con lui» (6, 5.8).
E questa santa liturgia, memoria della morte e risurrezione di Gesù, ci rende partecipi di questo ingresso nel cielo. Noi siamo accanto a Mario con la nostra preghiera e la parola evangelica ci suggerisce qualcosa del dialogo che si svolge tra il Signore e questo suo servo, come in un’eco lontana ma profonda: «Bene servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Matteo 25, 21), gli dice il Signore.
Mario è stato un credente buono e fedele nel suo servizio al Vangelo e alla Chiesa. Molti sono stati i talenti che gli sono stati affidati e lui ha cercato di trafficarli nel corso della vita. A partire da quello di studioso. In tanti abbiamo continuato a chiamarlo «professore» per la sua esperienza di storico e di docente, con gli studi iniziati all’università di Napoli con Paolo Brezzi e continuati con l’insegnamento di storia del cristianesimo a Cassino e poi a Roma.
E se l’università è stata avara con lui, generosa è stata la fiducia di Paolo VI, prima e Giovanni Paolo II dopo. Mario è segnato dall’Azione cattolica che lo ha visto partecipe militante fin da ragazzo, quando dirigeva, nella sua amata Avellino, a sezione dei ragazzi e poi la presidenza dell’Azione cattolica diocesana.
Paolo VI, che Mario ricordava con passione anche in queste ultime settimane e con ansia aspettava la sua canonizzazione — ne abbiamo parlato varie volte — lo nominò presidente nazionale nel 1973 succedendo a Vittorio Bachelet. Era un momento delicato per l’Azione cattolica che stava ridefinendo la propria identità e la propria missione all’interno della Chiesa italiana impegnata a tradurre il messaggio conciliare in un paese che stava cambiando profondamente. Mario volle segnare la sua Azione cattolica con un cristianesimo di popolo, militante.
«L’Azione cattolica — diceva in un’intervista — ritiene così di manifestare la sua identità che è quella di essere un segno e uno strumento per la partecipazione del popolo di Dio alla missione pastorale della Chiesa di concorrere alla edificazione della comunità cristiana rendendosi presente a tutti i problemi della vita, anche a quelli sociali e alle loro implicazioni politiche, con la singolarità e la originalità di un contributo squisitamente evangelico».
Nel 1984 Giovanni Paolo II lo chiamò a dirigere «L’Osservatore Romano», non era ancora cinquantatreenne. Lo diresse per tutto il pontificato e seguì ancora sino al 2007 con Papa Benedetto.
In questi lunghi anni Mario Agnes ha dato sempre voce al Papa anche nei momenti più delicati quando il Papa veniva isolato o mediato, come accadde, ad esempio, nel 2003 quando fece risuonare chiarissima l’opposizione di Giovanni Paolo II alla guerra in Iraq. Ricordiamo tutti quel titolo a caratteri cubitali sulla prima pagina: «Mai più la guerra!».
Guidò il giornale negli orizzonti planetari di Giovanni Paolo II senza abbandonare lo sguardo su Roma e l’Italia. Scrive di lui quel fine storico che era Giorgio Rumi: «Non c’è vicenda di questo decennio che non abbia lasciato traccia negli “Acta Diurna”. Grandi fatti di politica internazionale e appuntamenti controversi della vicenda domestica italiana, episodi di cronaca ed esperienze ecclesiali: Mario Agnes non ha voluto essere né giudice né cronista. Ha scelto, invece, il percorso della testimonianza, nella fedeltà della mente e del cuore al Pontefice. E attraverso la naturalezza della sintonia ha dato ai giorni nostri un contributo di amicizia, particolarmente fruttuoso perché indirizzato alla verità di sempre».
Quanto altro si potrebbe dire di Mario. Oggi, prima che torni nella sua Avellino, vogliamo dargli il nostro ultimo saluto. Salutiamo un uomo di fede profonda e riservata; un credente che ha servito la Chiesa e il suo Paese senza pretendere nulla per sé e spendendosi con generosità per il bene di tutti.
Il suo carattere asciutto — come il suo stesso fisico — era pieno di tenerezza e in questi ultimi tempi della malattia mentre il suo corpo si impiccioliva la sua tenerezza per l’amicizia cresceva anche nella fatica di esprimersi. Ora lo consegniamo al Signore nella preghiera. E possiamo immaginarlo mentre sta giungendo alle porte del cielo e venirgli incontro la Madonna, i suoi santi, i genitori e farsi largo Lisa, Biagio, Angelo e i tanti amici che gli fanno festa. La nostra preghiera lo accompagni in questo ultimo tratto del pellegrinaggio verso il cielo.