“In Italia la giustizia non è universale”
LIANA MILELLA
Le migrazioni? «Antistorico bloccarle». I migranti ributtati in Libia? «Una brutta pagina per l’Italia». La giustizia? «Non ha una tensione universale, ma è segnata da un ritorno sovranista». La legittima difesa? «Norma pericolosissima».
Monsignor Vincenzo Paglia parla di La coscienza e la legge (Laterza), scritto con il presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone.
I migranti. Dobbiamo partire dalla cronaca cruda di questi mesi, dalla voglia di cacciarli e addirittura cancellarli.
«Da che mondo è mondo le migrazioni sono parte della storia, di tutti i paesi, nessuno escluso. E lo sviluppo civile dei paesi è avvenuto sempre in corrispondenza della capacità di accogliere, di integrare, e quindi di intraprendere una nuova tappa di crescita del paese. È chiaro che il fenomeno non va né subito né sottovalutato. Va governato, c’è bisogno di grandi visioni e non di pensieri corti».
Oggi la nave Mare Jonio, ieri Diciotti e Acquarius. La politica è impastata di odio?
«Dobbiamo stare attenti a seminare odio. “Chi semina vento raccoglierà tempesta” diceva il profeta. I dati ci dicono che in Italia c’è un grosso divario tra la percezione del fenomeno migratorio e la sua realtà, almeno di quattro volte tanto. Senza la conoscenza non può esserci un giudizio adeguato».
Come giudica i respingimenti?
«Non è una pagina bella del nostro Paese. Contentarsi perché non approdano in Italia è davvero miserevole sapendo che i respinti sono riportati in campi di concentramento. Non possiamo voltare la faccia da un’altra parte. La storia ha già visto queste tragedie».
Lei racconta di Alì, migrante con due figli italiani, integrato, che però vuole trasferirsi a Londra. Quel “è finita la pacchia” detto da Salvini fa paura?
«I numerosi Alì che fuggono dall’Italia si uniscono alle migliaia di italiani che vanno all’estero. In questi mesi nella nostra ambasciata a Londra ci sono più 700 mila richieste. Non sarebbe importante avere amore patrio e adoperarsi per frenare
questo esodo?».
La legittima difesa. Non sarebbe meglio farne a meno?
«Non c’è dubbio. Garantire la sicurezza dei cittadini è un dovere dello Stato, e lo Stato non può derogarlo a nessuno, neppure ai cittadini singoli. La giustizia fai da te è pericolosa e aggrava il pericolo».
La pena e il perdono. Non stiamo forzando sulla prima a scapito del secondo?
«Di fronte alla globalizzazione e allo spaesamento delle persone il rischio è ripiegarsi su se stessi. L’altro è istintivamente pensato come nemico piuttosto che come fratello. Di qui l’attitudine a lasciare spazio alla pena. Il perdono non è cedimento al male. Tutt’altro. Richiede il riconoscimento della colpa, il sentimento e la decisione di cambiare vita. Per questo sradica il male alla radice».
Il populismo, anziché essere il governo del popolo, si fa stato autoritario dove dominano violenza e repressione?
«Nel mio libro Il crollo del noi esamino l’indebolirsi del senso della società e l’affermarsi dell’individualismo. In questo cambio culturale cresce il populismo, ossia il prevalere degli interessi di parte su quelli di tutti. Più che un impegno comune si afferma un mondo fatto di tribù, le une contro le altre».
La corruzione prosegue il suo cammino, come dimostra la cronaca.
«Quell’istinto radicale a pensare innanzitutto a se stessi, la Bibbia dice che sta all’uscio della nostra porta. Basta poco per farlo entrare. Se non viene contrastato diventa sistema, come una rete che coinvolge persino le istituzioni. C’è bisogno di un sussulto legislativo, culturale e spirituale».
L’espressione “marcire in galera” non fa a pugni con la sua concezione del carcere?
«Mi viene solo da dire torniamo a Beccaria. Tutti possono cambiare».
Il libro si chiude con le parole di un vecchio cardinale romano: “Per fortuna Dio è più misericordioso che giusto”.
«Giustizia e misericordia vanno tenute insieme. Non può esserci una giustizia anaffettiva e un amore tollerante con il male. La giustizia ha bisogno dell’amore e viceversa. Sapere che l’amore è più grande della giustizia è una grande consolazione ora e un’assicurazione per il dopo».
LA REPUBBLICA