Coronavirus e fraternità umana
Il Covid-19 si può sconfiggere con i mezzi tecnici e clinici ma solo se uniti agli anticorpi della solidarietà. Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, fa sentire la sua La Pontificia Accademia per la vita sta lavorando ad un documento intitolato Coronavirus e fraternità umana per aiutare a trovare un senso a questo tempo sospeso tra preoccupazioni e quarantene.
Un’emergenza come quella del Covid-19 si sconfigge anzitutto con gli anticorpi della solidarietà. I mezzi tecnici e clinici del contenimento devono essere integrati da una vasta e profonda complicità con il bene comune, evitando la tendenza alla selezione dei loro vantaggi per i privilegiati a scapito dei vulnerabili in base a cittadinanza, reddito, politica, età. La scienza non deve cedere al sovranismo o alla pressione politica; è chiamata ad allearsi con la solidarietà e l’umanità. Viviamo in tempi in cui nessun governo, nessuna società, nessun tipo di comunità scientifica, devono considerarsi autoreferenziali.
Mentre, da una parte, si vedono segnali di collaborazione, dall’altra purtroppo ne emergono altri di segno opposto. Quanto sarebbe importante che le decisioni dei governi – penso all’Europa, ma non solo – si prendessero in maniera coordinata. È urgente, direi indispensabile, un tavolo comune. Lo abbiamo intuito per il clima. Ma qui c’è in ballo ben più che il clima.
Un atteggiamento più di tutti va considerato: l’altro è il mio alleato, oppure la comunità evapora e io stesso sono perso. L’altro è la persona che cammina e mi saluta a un metro di distanza perché tutela me e se stesso; e anche io stando in casa e rispettando le indicazioni delle autorità sanitarie, agisco in favore del bene comune, per fare in modo che tutti insieme e il prima possibile usciamo dall’emergenza. Facciamo in modo di non dimenticare l’esperienza di queste settimane difficili e il significato profondo delle limitazioni al muoversi: ci sacrifichiamo per noi stessi e per gli altri.
Una concezione comunitaria e fraterna dell’umanità è un obiettivo non solo effetto di un algoritmo degli interessi e di un calcolo dei vantaggi. Comporta il potenziamento di una logica sociale dell’aiuto reciproco. Il cristianesimo, fin dalle sue origini, la concepisce come fraternità universale e la interpreta come vicinanza responsabile fra tutti gli esseri umani.
Oggi serve un passo in più: il prossimo non è più solo quello vicino fisicamente, perché siamo interconnessi; il mondo è interconnesso e prima riusciamo a comprenderlo, prima saremo una vera comunità globale riunita sotto il segno della fraternità. Il sacrificio che stiamo compiendo ci indirizza sulla strada della solidarietà e della fraternità tra tutti gli esseri umani, senza distinzione.
La sfida che viviamo è di portata cruciale: siamo ad un passaggio della storia dell’umanità e dobbiamo essere capaci di attrezzarci, anche culturalmente, per trasformare la nostra resilienza in un’opportunità epocale, che ci persuada, una volta per tutte, della necessità di prendere congedo da uno stile individualistico, inospitale e anaffettivo, dei nostri legami: affettivi, economici, politici, istituzionali.
Il moderno potenziamento dell’esclusivo interesse individuale, è ora di riconoscerlo apertamente, ci è sfuggito di mano. Nato come sacrosanta affermazione del valore inviolabile della persona e dell’integrità dei suoi diritti, ha finito per aggredire ed erodere la qualità dei rapporti che rendono buona la vita comune, arricchendo l’umanità dei singoli e scongiurando l’abbandono dei più deboli. Questa erosione ha finito per rendere liquidi ed evanescenti i doveri corrispondenti alla responsabilità delle relazioni. La qualità della convivenza è un bene indivisibile: per essere goduto da tutti deve essere responsabilmente condiviso.
In questi giorni drammatici è delirante pensare che gli anziani – perché di questo si parla – siano selezionati per essere scartati. La dignità non ha età. Non dimentico che il primo miracolo di guarigione di Gesù fu quello alla suocera di Pietro: la prese per mano, la guarì ed ella si mise a servirli.
E per la Chiesa: sono secoli che la Chiesa parla della Eucarestia come medicina (e non solo dell’anima). E sette anni che Papa Francesco parla della Chiesa come ospedale da campo. Sarebbe come chiudere le farmacie e gli ospedali! Certo, vanno rispettate con rigore tutte le norme stabilite, magari anche con orari. Chiudere le chiese sarebbe drammatico, a mio avviso, anche per chi non crede. Sono il segno che l’oltre è aperto, non chiuso! E il grido a Dio, come fosse una ingiunzione: liberaci dal male! è più forte.