L’Europa ascolti Mattarella e la sua vocazione: apriamo le porte agli afghani
Bene, benissimo ha fatto il presidente Mattarella a ricordare, a Ventotene, alcuni giorni fa, il ruolo storico dell’Europa nel dovere della solidarietà, che fonda l’essenza stessa del “Vecchio” Continente. Rileggiamo queste frasi. A Ventotene, celebrando gli 80 anni dal “Manifesto” che è alla base dell’Unione Europea di oggi, a proposito dei migranti e in particolare dell’Afghanistan, il presidente Mattarella ha osservato «di essere sorpreso dalla posizione di alcuni movimenti politici e di alcuni esponenti nei vari Paesi d’Europa, dell’Unione rigorosi nel chiedere il rispetto dei diritti umani a Paesi lontani, ma distratti di fronte alle condizioni e alle sofferenze dei migranti.
E non di qualunque tipo di migranti, ma migranti per persecuzioni, per fame, perché i mutamenti climatici hanno sconvolto il loro territorio. In questi giorni c’è una cosa che sinceramente appare sconcertante: si registra, qua e là nell’Unione Europea, grande solidarietà nei confronti degli afghani che perdono libertà e diritti ma che rimangano lì, non vengano qui perché se venissero non li accoglieremmo. Questo non è all’altezza del ruolo storico, dei valori dell’Europa verso l’Unione». Poco prima aveva ricordato due princìpi di fondo del “Manifesto”. Il primo: «Il Manifesto di Ventotene, nelle prime righe, si apre con un’affermazione di grande significato che dice: ‘L’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un centro autonomo di vita’. Questa affermazione sul valore delle persone è quella che è stata al centro di questo capovolgimento di prospettiva degli europei subito dopo la guerra».
E il secondo aspetto: «Nel Manifesto di Ventotene (…) si dice che l’evoluzione dei rapporti economici mondiali fa sì che lo spazio vitale di un popolo sia ormai soltanto il globo, non quello interno. Questo ottant’anni fa, nel ’41. Oggi con i mutamenti che conosciamo, così intensi, profondi, veloci, questa considerazione appare profetica ma la possiamo moltiplicare, naturalmente. Va trovata una formula che adegui la sovranità […].Una sovranità condivisa che consente di affrontare i tanti problemi globali, le sfide che vi sono». Dietro queste frasi, dietro quel “Manifesto” di fondazione, si affacciano i valori cristiani che hanno dato un contributo importante alla costruzione dell’identità europea. Ci si è accapigliati, alla fine del secolo scorso, sulla definizione di un’Europa “cristiana”. Ma è innegabile che sia così.
La religione fonda l’identità dei popoli e il cristianesimo è alla base della visione europea. Gli stessi cardini dell’illuminismo si raccordano alla tradizione ebraico-cristiana. Certo, furono scritti in contrasto con le vicende storiche di un potere temporale della Chiesa – anch’esso un “accidente” storico di cui ci siamo liberati. Ma coglievano pur sempre le radici dell’umanesimo civile che doveva aprire una nuova storia d’Europa nella dignità che è propria di ogni singolo per il solo fatto che essa partecipa dell’umano che ci è comune. Non il tema di un astratto ideale, non l’argomento di un potere contrattuale: l’umano che ospita ogni essere umano fin dalla generazione e lungo le generazioni; l’umano che viene ferito per tutti i figli della terra quando è colpito in un solo bambino. Il cristianesimo ha radicato questo seme di responsabilità e di dedizione per l’umano che è comune, alla singola persona come all’intera comunità umana, nel grembo della civiltà europea. Non siamo esonerati dal riconoscimento delle molte contraddizioni religiose e laiche nelle quali abbiamo oscurato e compromesso questo spirito.