Omelia al Dies Academicus
Carissimo Preside, carissimi professori, alunne, alunni, sorelle e fratelli,
iniziamo questo nuovo anno accademico nel giorno in cui tutta la Chiesa fa memoria di San Giovanni Paolo II che volle questo nostro Istituto appena due anni dopo la sua elezione a Vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale. Come sappiamo non poté annunciarlo in quella udienza del 13 maggio del 1981 a motivo dell’attentato. Volevano farlo tacere per sempre. Ci riuscirono per quel giorno. Sentiamo belle e significative per noi le parole del profeta al popolo di Israele: “Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce”(Is 52,8). Quel giorno, la voce della “sentinella” che comunicava alla Chiesa l’erezione del nostro Istituto assieme alla creazione del Pontificio Consiglio per la Famiglia, non era quella della parola ma quella del sangue. Sì, possiamo dire che l’Istituto nasceva segnato da una testimonianza martiriale. Oggi, nel mistero della comunione dei santi, lo sentiamo particolarmente vicino a noi: dal cielo ci guarda con affetto e ci sostiene con la sua intercessione. Possiamo dire, in verità, che in questi primi quarant’anni di vita, il suo nome è stato di benedizione. L’Istituto, in effetti, è cresciuto di anno in anno, sviluppandosi qui, nella sede centrale, e allargandosi in diverse altre parti del mondo. E siamo particolarmente lieti di vedere oggi qui con noi i vicepresidi delle sedi “extra urbe”: nei loro volti vediamo il volto di tutti i membri della numerosa famiglia del Giovanni Paolo II. Li sentiamo tutti vicini a noi, attorno a questo altare, mentre iniziamo il quarantunesimo anno di vita dell’Istituto. Papa Francesco, raccogliendo la preziosa eredità del Predecessore, ha voluto rendere ancor più incisivo il nostro impegno perché il mistero del Matrimonio e della Famiglia potesse fermentare la storia degli uomini e delle donne di questo inizio di Millennio.
Il Vangelo che abbiamo ascoltatoci porta sulle rive del mare di Galilea, quando il Risorto si manifestò di nuovo ai discepoli e propose a Pietro la triplice domanda sull’amore, come a contrasto con il triplice rinnegamento della Passione. E’ una pagina che conosciamo tutti. E sappiamo quanto sia legata al ministero dell’apostolo Pietro. Letta in questo giorno e in questa occasione ci trova coinvolti anche come membra di un Istituto legato in maniera particolare al mistero di Pietro e dei suoi successori. Papa Francesco, ce lo ricordò il 27 ottobre del 1917, nel suo discorso inaugurativo dell’anno accademico. Il Papa volle sottolineare il legame “tutto speciale” – sono sue parole – che lega il nostro Istituto “al servizio della sollecitudine pastorale del Successore di Pietro”. E accennò alla responsabilità che ci veniva affidata – e questo è il motivo dello titolo di “Pontificio” che ha il nostro Istituto – “di approfondimento e di studio, in favore di tutta la Chiesa”. Una responsabilità – aggiungeva il Papa – che “è affidata allo slancio della vostra mente e del vostro cuore”.
Potremmo dire che in quelle parole c’era una domanda d’amore che deve segnare la missione del nostro Istituto e di ciascuno di noi. La triplice domanda che Gesù rivolge a Pietro è rivolta a noi e all’intera famiglia del Giovanni Paolo II: “mi amate più di costoro?”, “mi amate?”, “mi amate?”. E’ un’insistenza che esprime la fiducia che il Signore pone anche su di noi, come in quel giorno la ripose a Pietro. Una fiducia che chiede una risposta o, se volgiamo, una responsabilità che Gesù stesso specifica: “Pasci i miei agnelli”, “pasci le mie pecore”. Sì, la domanda sull’amore va ben oltre una dimensione narcisistica. E’ tutta diretta alla dimensione pastorale della Chiesa, al compito primario, sia personale di ciascuno di noi che di corpo accademico, di mettersi al servizio della salvezza di tutti, di comunicare il mistero di Cristo sino ai confini della terra. Nessuno di noi è qui per servire se stesso. Tutti siamo chiamati a fare di noi stessi e dell’Istituto un ministero di servizio alla “salus animarum” di tutti.
Papa Francesco, sempre in quella occasione, ci ricordava “che «anche i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e, con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite degli uomini» (3 marzo 2015)” E aggiungeva: “Teologia e pastorale vanno insieme. Una dottrina teologica che non si lascia orientare e plasmare dalla finalità evangelizzatrice e dalla cura pastorale della Chiesa è altrettanto impensabile di una pastorale della Chiesa che non sappia fare tesoro della rivelazione e della sua tradizione in vista di una migliore intelligenza e trasmissione della fede”. Sono parole sagge che è bene ricordare anche in questo giorno del dies academicus, per accoglierle farle nostre, anche come comunità accademica.
C’è un sogno, inoltre, che vorrei cogliere in quel di più di amore che Gesù chiede a Pietro: “mi ami più di costoro?”. Cosa può voler dire per noi, oggi, quel ‘mi ami più di costoro’? Non è una domanda segnata da ambizione umana e ancor meno di una gara tra istituzioni accademiche. Piuttosto, il Signore ci chiede di avere più passione, più audacia, più responsabilità, più creatività – anche a motivo della vicinanza al Papa – per comunicare con efficacia il Vangelo della famiglia ad un mondo che ne ha bisogno come il pane. In nessuno nel mondo c’è esultanza per la crisi (le crisi) che riguarda la famiglia (le famiglie). C’è, al contrario, una sete di essa iscritta già nella prima pagina della Genesi: “Non è bene che l’uomo sia solo”(Gn 2,18). C’è un’attesa rispetto alla idolatria dell’Io che continua a intristire l’umanità intera. Chi risponderà a quest’attesa? Al nostro Istituto – non solo a noi, ovviamente, ma anche a noi – è chiesta la responsabilità di rispondere all’attesa di quel “noi” che segna dalle fibre più intime ogni uomo e ogni donna.
Preghiamo ed impegniamoci perché si possa dire anche di noi e dei nostri Istituti, quel che Isaia diceva a proposito dei messaggeri del nuovo tempo di Dio: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace”! Sì, “come sono belli i piedi dei messaggeri che annunciano il Vangelo della famiglia”. Il Signore ci conceda di essere tra questi messaggeri che sanno comunicare, ad un mondo intristito, la bellezza e la gioia del Vangelo della Famiglia.