Il dialogo sulla vita
Sono lieto di offrire a questo seminario di studio le prospettive che la Pontificia Accademia per la Vita si propone per difendere e promuovere la “vita” nel contesto del cambiamento d’epoca nel quale tutti siamo coinvolti. La Pontificia Accademia per la Vita è un organismo della Santa Sede composto da esperti delle diverse discipline per riflettere appunto su ciò che riguarda il grande tema della “vita”. Ultimamente, Papa Francesco, ha voluto che ne facessero parte anche studiosi provenienti dalle diverse tradizioni religiose, perché il tema della “vita” coinvolge sempre più l’intera comunità umana. Negli ultimi decenni, in effetti, il mondo cambia ad una velocità sempre maggiore, e soprattutto nel versante della tecnologia. La velocità dello sviluppo della tecnica è di gran lunga superiore a quella delle altre scienze come la filosofia, il diritto, la teologia…A mio avviso, le religioni – tutte le religioni, ma particolarmente quelle abramitiche -, sono chiamate ad un confronto con questo nuovo mondo per offrire quel contributo di sapienza che salva l’umanità dal cadere nell’abisso.
Una prima sfida che le religioni hanno di fronte è la prospettiva “iperindividualista” che sta sconvolgendo tutti i rapporti sociali, frammentandoli e indebolendoli. Il grande sociologo Zygmunt Bauman definiva la società contemporanea come una “società liquida” nella quale l’io sta prevalendo sempre più sul noi: cresce l’interesse per sé e diminuisce quello per la società. Ciascuno è spinto a ripiegarsi su stesso, a chiudersi nel proprio piccolo orizzonte. Viviamo in un momento della storia in cui la passione per l’umano, per l’intera umanità, è in difficoltà. La diffidenza reciproca dei singoli e dei popoli si nutre di una smodata ricerca del proprio interesse particolare e quindi anche della competizione. Insomma si sta consumando un vero e proprio “scisma” tra il singolo e la comunità umana. Il “Noi” sembra ormai crollato definitivamente. L’enciclica Laudato si’ – tra i suoi molti significati – mostra l’emergenza in cui si trova il rapporto degli uomini con la storia della terra e dei popoli. È un allarme chiaramente collegato alla poca attenzione che viene accordata alla grande e decisiva questione dell’unità della famiglia umana e del suo futuro. L’erosione di questa sensibilità, ad opera delle potenze mondane della divisione e della guerra, è in una crescita globale che sembra inarrestabile. Ne emerge una vera e propria cultura – anzi, sarebbe meglio dire di un’anti-cultura – ostile ai valori dell’umanesimo universale e alleata con la prepotenza del denaro.
E ne emerge un paradosso: come è potuto accadere che, proprio nel momento della storia del mondo in cui economia e tecnica consentirebbero di prenderci cura della casa comune e della famiglia umana, obbedendo così la consegna di Dio, proprio da esse, dall’economia e dalla tecnica, vengono le nostre divisioni più aggressive e i nostri incubi peggiori? E’ la mancanza di visione. Siamo tutti ripiegati su noi stessi. E a selezionare i nostri bisogni e a manipolare i nostri sogni, sono soprattutto il denaro e le tecnologie.
È tempo di rilanciare una nuova visione per un umanesimo fraterno e solidale dei singoli e dei popoli.
Noi cristiani sappiamo che la fede e l’amore necessari per questa alleanza, attingono il loro slancio dal mistero della redenzione di Gesù Cristo. E sappiamo anche che la coscienza e gli affetti della creatura umana non sono affatto impermeabili, né insensibili, alla fede e alle opere di questa fraternità universale, seminata dal Vangelo del Regno di Dio. Dobbiamo rimetterla in primo piano, a tutti i costi! Una cosa infatti è sentirsi costretti a vivere insieme, altra cosa è scegliere la fraternità come cuore e motore dell’esistenza umana. Su questa scia vorrei sottoporvi una prima riflessione: l’indispensabile relazionalità dell’uomo.
La fraternità umana
Il pericolo maggiore di cui dobbiamo essere avvertiti quando parliamo di vita umana è quello di pensarla disancorandola dall’esperienza e riducendola a una nozione biologica o a un universale astratto, avulso dalle relazioni e dalla storia. Il termine “vita” va ricompreso passando da una concezione astratta ad una dimensione “personale”: la vita sono le persone, gli uomini e le donne, sia nella individualità di ciascuno sia nella unità della famiglia umana. In tale orizzonte acquista un particolare valore il recupero della terminologia relativa alla “carne” e alla dinamica della “generazione”. Carne e generazione, due termini decisivi. La carne indica il luogo più profondo della familiarità tra corpo e terra, per cui tutte le creature condividono gli stessi elementi di cui sono composte. Una comprensione più profonda del racconto biblico della creazione dell’uomo e della donna ci fa comprendere la ricchezza della sapienza che è contenuta in quelle pagine. Non è questa la sede per approfondirlo. Mi fermo a sottolineare che la corporeità è una delle dimensioni centrali della fede delle tre religioni abramitiche: l’uomo, ogni uomo, è creato da Dio, è figlio di Dio, nella sua completezza di corpo e di spirito.
A partire dalla nostra provenienza dall’unico Padre, «noi tutti esseri dell’universo – sono parole di Papa Francesco nella Laudato sì – siamo uniti da legami invisibili e formiamo una famiglia universale» (LS 89). Per questo ci troviamo a essere solidali con la terra: per questo, il danno fatto al suolo è come una malattia, e l’estinzione di una specie – qualunque essa sia – è come una mutilazione per ciascuno di noi (cfr ivi). È, del resto, un’interazione a doppio senso: «L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio sul creato. Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia umana» (LS 155).
Questo profondo legame tra terra e corpo, che pure eccede la carne, si manifesta anche nella reciprocità del bisogno. Ancora Papa Francesco: «Noi tutti esseri creati abbiamo bisogno gli uni degli altri» (LS 42). Il bisogno, diversamente da quanto si pensa sulla scia delle rinnovate edizioni di gnosticismo (cfr Gaudete et exultate, nn. 35-46), rinvia già ad altro, oltre sé stesso, cioè a quella realtà che può corrispondergli, come la sete rimanda all’acqua. Insomma, il primo lampo della trascendenza sta proprio nell’immanenza della carne bisognosa di sostegno e di aiuto.
Il termine “generazione” è altrettanto importante. Papa Francesco intende la dinamica della “generazione” come il passaggio attraverso cui il ricevere passivamente costituisce la premessa per ogni successiva attività. Tutti siamo stati generati. Nessuno si autogenera. E’ il senso del ricevere la vita passivamente, e quindi riconoscere di essere figli, accolti e curati, anche se può accadere che avvenga in modo inadeguato. Questa coscienza è il punto di partenza per riconoscere il legame sociale che ci rende solidali e che nella reciprocità ci chiede di farci responsabili gli uni degli altri: appare perciò ragionevole gettare un ponte tra quella cura che si è ricevuta fin dall’inizio della vita, e che ha consentito ad essa di dispiegarsi in tutto l’arco del suo svolgersi, e la cura da prestare responsabilmente agli altri. In sintesi, ciascuno di noi deve dire: “io sono me grazie a te”. L’umano è radicalmente relazionale. Siamo “noi” per costituzione. Si spezza così l’assolutismo del soggetto autonomo e indipendente.
Questa maniera di comprendere la vita umana, a partire dall’esperienza che rinvia alle relazioni che fin dall’inizio la costituiscono, chiede di essere adeguatamente raccordata ai molteplici modi in cui la tecnica tocca la vita. E qui vorrei passare ad una seconda riflessione che riguarda il rapporto tra la tecnica e le frontiere della vita.
«Tecnologie emergenti e convergenti»
Il fronte delle tecnologie oggi definite “emergenti e convergenti”, è delicatissimo. Con tecnologie emergenti e convergenti si intendono quattro branche della scienza: le nanotecnologie, le biotecnologie, le tecnologie dell’informazione e le scienze cognitive. La loro irruzione nei processi della ricerca e dell’industria sta accelerando in maniera sorprendente gli spazi di intervento sull’uomo. Con esse – e soprattutto con la loro interazione – diventano disponibili azioni sempre più incisive non soltanto terapeutiche, ma anche di potenziamento degli organismi viventi, nonché nuove procedure organizzative del lavoro o della sanità, fino al trasferimento di funzioni, finora svolte dal corpo umano, a supporti artificiali. Non si tratta solo di nuovi strumenti tecnici, ma di cambiamenti che riguardano in profondità il nostro rapporto con il mondo. Su queste tematiche la Pontificia Accademia per la Vita ha svolto proprio nei giorni scorsi la sua Assemblea Generale. La questione sta in questi termini: la possibilità di intervenire sull’uomo a ordini di grandezza sempre più piccoli, di elaborare volumi di informazione sempre più ampi, di monitorare – e manipolare – i processi cerebrali dell’attività cognitiva e deliberativa, ha implicazioni enormi poiché tocca la soglia stessa della specificità biologica e della differenza spirituale dell’umano.
Siamo nel mezzo della terza ondata che caratterizza il cambiamento d’epoca che stiamo attraversando. Cambiamento d’epoca significa che per la prima volta nella storia umana, l’uomo ha la capacità di autodistruggere se stesso e il mondo. Questa capacità di distruzione totale è possibile da quando è stata creata la bomba nucleare. Tale capacità distruttiva è possibile anche con la distruzione dell’ambiente. Ed ecco alla terza possibilità: quella di manipolare l’umano con le nuove tecnologie. Da due decenni si parla di post-umanesimo, trans-umanesimo, umanità potenziata, e così oltre.
Di fronte a questo scenario letteralmente “apocalittico” si staglia la responsabilità di mantenere chiara – fondandola adeguatamente – la differenza specifica della vita umana rispetto ad altre forme di vita e di attività autonoma. Riguardo, ad esempio, alla Intelligenza Artificiale, papa Francesco, giustamente ha rilevato che “l’intelligenza artificiale, la robotica e altre innovazioni tecnologiche devono essere impiegate in modo da contribuire al servizio dell’umanità e alla protezione della nostra casa comune invece che per l’esatto opposto, come purtroppo prevedono alcune stime”. L’inerente dignità di ogni essere umano va posta tenacemente al centro della nostra riflessione e della nostra azione. Il dibattito in corso fra gli stessi specialisti mostra già i gravi problemi di governabilità degli algoritmi che elaborano enormi quantità di dati. Come anche pongono seri interrogativi etici le tecnologie di manipolazione del corredo genetico e delle funzioni cerebrali.
D’altra parte, i saperi su cui si sviluppano le tecnologie emergenti e convergenti ci offrono notevoli potenzialità per migliorare le condizioni della vita umana. Costituiscono un effettivo e prezioso sviluppo per aiutare l’uomo a vivere meglio, aprendo straordinarie opportunità per la cura di malattie fino a pochi anni fa inimmaginabili o miglioramento delle interazioni sociali. Nello stesso tempo però emergono già da ora ampie critiche alle varie forme di riduzionismo, che vorrebbe spiegare il pensiero, la sensibilità, la psiche umana sulla base della somma funzionale delle loro componenti chimiche, fisiche e organiche. Ma questo non rende conto dell’emergenza dei fenomeni dell’esperienza e della coscienza. Proprio nella linea della complessità secondo cui interagiscono psiche e techne, ciò che apprendiamo sull’attività cerebrale fornisce nuovi indizi circa il modo di intendere la coscienza (di sé e del mondo) e lo stesso corpo umano: non è possibile prescindere dall’intrecciarsi di molteplici relazioni fra le componenti organiche, ma anche del corpo con l’ambiente, per una comprensione più profonda della dimensione umana integrale, secondo l’approccio che Laudato si’ promuove sostenendo l’ecologia integrale.
In tale orizzonte appare decisivo il richiamo all’etica, ossia alla centralità della persona umana e della famiglia umana. In questo orizzonte le religioni hanno un ruolo particolarmente importante, proprio perché – partendo dalle tre religioni abramitiche – propongono la centralità dell’uomo e della famiglia umana per ogni sviluppo che sia tale. Abbiamo coniato persino un nuovo termine: di fronte al rischio di una vera e propria dittatura dell’algoritmo – possiamo chiamarla algocrazia – Papa Francesco ha proposto un altro termine, algoretica, appunto per piegare la tecnica all’uomo, non viceversa. L’obiettivo è quello di ribadire i limiti dello sviluppo tecno-scientifico, in particolare nelle forme radicali invasive ed irreversibili. Il rischio è che l’anelito alla perfezione possa fare dimenticare il limite costitutivo dell’uomo che, giocando ad essere Dio (‘playing God’), dimentica se stesso. E’ indispensabile una riflessione che rimetta in gioco la questione dei limiti di modificazione dell’uomo e della natura umana alla luce della difesa della dignità umana (contro il riduzionismo), dell’integrità fisica e psichica, della protezione dell’autenticità dell’umano, della sicurezza e riservatezza (privacy), della libertà nei confronti della invasività tecnologica, della possibilità di sviluppo della persona in condizioni di giustizia sociale e globale con equa distribuzione e equo accesso, e sostenibilità sia sociale che ambientale. In questo orizzonte di pensiero ciò che risulta sempre più urgente è l’elaborazione e la tematizzazione di nuovi diritti per l’uomo nell’era delle tecnologie emergenti, che possano stabilire i confini dell’avanzamento dell’emergere delle tecnologie.
Intervento al convegno Cattolici e sciiti davanti al futuro. In occasione del 2° anniversario della visita di Papa Francesco in Iraq
Nahaf, Istituto al-Khoei, Iraq, 9 marzo 2023