“Politica muscolare e aggressiva. Esibisce le armi, è un pericolo”
di Domenico Agasso
CITTÀ DEL VATICANO. Il caso Pozzolo indica «una crisi di modelli antropologici in una politica muscolare, che esibisce armi. E le usa. In una società in cui si spara troppo facilmente: prima con le parole, poi con l’aggressività, talvolta con le pallottole. Più pistole individuali significa privatizzare la sicurezza, e questo porta solo a meno sicurezza per tutti». Lo afferma monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita.
Eccellenza, dopo la vicenda di Capodanno anche la premier Giorgia Meloni ha scaricato il deputato Emanuele Pozzolo, definendolo “irresponsabile” e chiedendo che venga sospeso da Fratelli d’Italia.
«Bene ha fatto e bene ha detto la Presidente! Dobbiamo essere avvertiti che forse sono tanti – troppi! – che inneggiano a tempi in cui la violenza e la guerra, l’intimidazione erano considerate virtù, erano e sono così non solo a Capodanno. C’è una crisi di modelli antropologici in una politica muscolare, nelle armi esibite, e usate. E questo inquina istituzioni e quotidianità: che buona politica può venire da lì? E quale buona società?».
Ci spiega?
«Se un privato cittadino porta con sé delle armi mentre sta a una festa, senza alcuna necessità di autodifesa, significa che c’è una pessima mentalità che lo permette. Più armi individuali significa privatizzare la sicurezza, e questo porta solo a meno sicurezza per tutti. Scandalizzarsene chiede politiche conseguenti, anche se i produttori di armi possono non essere contenti».
Come descriverebbe la cultura delle armi in Italia?
«È sotto gli occhi di tutti una sorta di assuefazione alle armi. È cominciata con la fascinazione dei traccianti nella notte di Baghdad, all’inizio della prima guerra del Golfo. Non è più finita. Non è perciò semplicemente una questione di “grilletto facile”. Dobbiamo interrogarci sugli effetti che provoca su ognuno di noi questo “bombardamento di morte”, queste visioni continue in tv, sui social e un po’ ovunque. E bene ha fatto il Presidente Mattarella a parlare di pace. È stata la parola che ha più usato nel suo discorso, sottolineando che “parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo”. È bene usarla e soprattutto realizzarla già tra noi. Esiste un problema di cultura della convivenza pacifica tra diversi. Va eliminata la parola “vendetta”, vanno abbassati i toni. Promossi ascolto e dialogo. Questo comporta la riscoperta del “noi”. Se continua a prevalere l’io, il “far west” ne è l’amara conseguenza. La realizzazione di un “Noi” planetario (vuol dire la scelta di “Fratelli tutti”, l’enciclica di papa Francesco) è la grande sfida di questo inizio millennio».
Si spara troppo facilmente?
«Sì. Prima con le parole, poi con l’aggressività, con la violenza gratuita per gioco come quella dei ragazzi che mettono una corda di metallo ad altezza uomo e motociclista. Il clima si è fatto più violento. Anche qui: violenza è stata la seconda parola che Mattarella ha pronunciato di più. C’è una responsabilità degli adulti e delle classi dirigenti, irresponsabili verso le armi, con un uso incoraggiato anche quando non serve per legittima difesa. È urgentissimo un impegno più deciso sul versante educativo affinché i bambini non si abituino alla prepotenza. L’esempio degli adulti è cruciale».
Come si sta propagando il cattivo esempio?
«Vedo due grandi questioni. Una diffusione di violenza nella vita quotidiana e la giustificazione automatica per “difendersi dalla criminalità”, che delegittima lo Stato e le forze dell’ordine, assieme all’esibizionismo di chi si sente più forte perché indossa un’arma. E l’altra riguarda la guerra, considerata il modo – divenuto ormai normale – di gestire i rapporti internazionali conflittuali. Sono due elementi diversi, però collegati quando viene meno un’istanza etica che deve essere decisa e forte: la violenza non risolve. Il rischio è la disgregazione civile».