Anziani reclusi in Rsa, monsignor Paglia: “Situazione scandalosa e insopportabile. Io intervenuto diverse volte personalmente”
È una situazione davvero scandalosa. Fin dall’inizio la Commissione convinse il Ministro Speranza ad emanare un circolare per permettere le visite in sicurezza alle Rsa, nella convinzione che già allora si poteva morire non solo di Covid ma anche di solitudine. Ci fu qualche spiraglio, ma di fatto si è riproposta la chiusura. Purtroppo la circolare del Ministero si scontra con il potere delle Regioni che a loro volta regolano le singole Rsa sul territorio. Anche le direzioni sanitarie delle strutture, sebbene con lodevoli eccezioni, non collaborano. Sono intervenuto personalmente diverse volte, ottenendo qualche risultato, ma non per via della legge – che, ripeto, è nelle mani delle Regioni – ma per convinzione. Ma come lei sa “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”.Però così le Regioni danno la colpa allo Stato, lo Stato dà la colpa alla Regioni e gli anziani rimangono nel mezzo…
Va regolato l’arbitrio delle Direzioni Sanitarie e dei responsabili sanitari, le quali, anche in assenza conclamata di cluster epidemici, continuano a vietare gli ingressi, pur in presenza di chiarissime norme che tutelano la possibilità di farlo in tutta sicurezza. Aggiungo poi, e sarebbe facilissimo dimostrarlo, che il Covid nelle Rsa è entrato in seguito alle infezioni tra il personale sociosanitario che assisteva gli anziani: è davvero una foglia di fico il divieto o comunque le pesanti restrizioni all’ingresso dei parenti, o dei volontari.Come fare allora? Abolendo le Rsa o ponendole in capo allo Stato?
Non credo queste soluzioni possano essere quelle efficaci. Le Rsa vanno radicalmente riformate. Devono smettere di essere il terminale drammatico delle vite di anziani condannate all’isolamento ed a una serie innumerevole di restrizioni: non poter uscire, non poter ricevere visite di parenti e meno che mai di volontari, amici e via dicendo. La riforma che andiamo disegnando inserisce le Rsa come luoghi aperti, vicini ai centri abitati, funzionalmente collegate con altri servizi, di dimensioni ragionevoli e commisurate al tessuto sociale in cui sono inserite. E ancora: noi crediamo in un continuum assistenziale, ovvero in una concatenazione di servizi- preventivi, domiciliari semiresidenziali e residenziali- che prendano in carico l’anziano come serve e dove serve. Insomma, dobbiamo uscire da un sistema assurdamente rigido, dove vige la regola del “tutto o niente” per le Rsa. Anzi, con le loro associazioni abbiamo recentemente chiarito che dovrebbero farsi carico dell’intero percorso assistenziale per gli anziani, e, su questo, abbiamo trovato disponibilità.Che tempi ci sono per la riforma?
Palazzo Chigi ha accolto il piano preparato dalla Commissione e ha istituito una cabina di regia per l’applicazione che inizia con la presentazione al Parlamento di una legge delega per riorganizzare la presa in carico delle politiche degli anziani in Itala. Si tratta di un primo obiettivo che presenta l’orizzonte in cui si dovranno produrre i diversi decreti attuativi del piano proposto. Siamo alle battute finali della preparazione di questa Legge delega e quanto prima sarà fatta propria dal Consiglio dei Ministri e presentata quindi al Parlamento. Sono consapevole che bisogna fare in fretta. Sia per definire la visione che presiede l’intera azione sia per bloccare il più presto possibile quelle situazioni che continuano ad essere “disumane”. Non è possibile che una società dia più anni da vivere e poi – come è accaduto in non pochi istituti – non saperli custodire. È uno scandalo insopportabile: non è più possibile che ciò accada.
Davvero tra presente e futuro non c’è spazio per dare un po’ di sollievo a queste anime che si stanno spegnendo in solitudine private oltre che degli affetti spesso anche di cure, assistenza, stimoli e sacramenti?
La scarsa attenzione a creare tempi e spazi idonei per le visite agli anziani ricoverati non è da imputare solo a singole omissioni di questo o quell’attore: si tratta, purtroppo, della triste conseguenza di quella che, più volte, papa Francesco ha giustamente descritto come “cultura dello scarto”. Non ci nascondiamo: abbiamo per troppo tempo, come mentalità e visione generale, considerato le case di riposo luoghi dove sistemare chi ormai non è più attivo e in attesa della morte. Nonostante il massiccio e generoso impegno di tanti – a cui va la nostra gratitudine – a rendere questi luoghi più umani, decorosi e accoglienti è necessario invertire la visione: gli istituti debbono diventare luoghi aperti e vivi dove alla presenza assidua e frequente dei familiari si aggiunga quella della comunità cristiana, del quartiere e, direi, della città intera. Troppo spesso, è vero in contrario: si tratta di luoghi isolati, un po’ fuori dal mondo. Perché sono fuori dal cuore, dalla mente, dal pensiero. Ma il grado di civiltà di una società si misura anche a partire da come tratta i suoi anziani.
Per quale motivo tutti si girano dall’altra parte quando si tratta di intervenire?
Prendersi cura di chi è anziano e malato, di un corpo fragile, non è cosa semplice. Implica unire le forze, collaborare e sostenere le famiglie. E poi, si sa, i bambini attraggono più dei vecchi, perché il piccolo fa più tenerezza, ci vediamo il futuro, la vita che avanza. Queste dimensioni non aiutano l’attenzione per la vecchiaia. Papa Francesco, anche per questo, sta dedicando le sue catechesi del mercoledì al tema dell’invecchiamento e del ruolo importante che gli anziani possono avere nella vita della società e della Chiesa. Sono parole forti e importanti, su cui dovremmo a lungo riflettere per creare una società migliore, dove chi è vecchio non sia nascosto e la sua vita non vada sprecata.