Commemorazione dei defunti
La memoria dei defunti coincide quest’anno con la domenica, il giorno nel quale celebriamo la resurrezione di Gesù dai morti. Ed è proprio la risurrezione di Gesù a dare un significato nuovo alla morte, alla nostra morte, a quella dei nostri cari che oggi veniamo qui ad incontrare. Sì, la Parola di Dio risponde a quella domanda profonda che oggi appare con più chiarezza. Dove andremo? E dove sono i nostri cari che ci hanno lasciato? Che ne è della loro vita? Sono definitivamente cancellati dall’esistenza per restare solo in un vago ricordo?
La risurrezione di Gesù è la risposta radicale a queste domande. E’ la ragione che spiega fino in fondo il perché veniamo qui, al cimitero. E’ una tradizione radicata Terni, la visita al cimitero. E’ una bella tradizione in un mondo che cerca di cancellare la morte, o meglio di dimenticarla, di metterla da parte, ma non certo di sconfiggerla. Gesù, invece, non la dimentica, anzi l’ha affrontata e l’ha vinta. E’ questo l’annuncio straordinario della risurrezione dai morti. Egli – dice la Scrittura – non l’unico risorto. E’ il primogenito dei risorti, il primo tra tutti noi. Egli per primo ha vinto la morte e l’ha vinta per tutti noi. Certo, sappiamo che tutti dobbiamo morire. Ma dopo la risurrezione di Gesù sappiamo anche che la morte non è l’ultima parola sulla nostra vita.
E’ stata terribile la morte di Gesù, poteva evitarla, ma l’amore che aveva per gli uomini, per i poveri, per i deboli, non l’ha fatto fuggire da Gerusalemme per salvare se stesso. Sulla croce, mentre i sacerdoti, le guardie, la gente, pensavano che tutto fosse finito, il Signore lo ha risuscitato dai morti. Dio infatti è più forte della morte, il suo amore è più forte del potere distruttivo del Maligno. Dio infatti lo ha risuscitato, gli ha ridato la vita che il Maligno, con i suoi servi, gli avevano tolta. E gliel’ha ridata più bella di prima. La risurrezione infatti non è semplicemente ritornare alla vita, ma ricevere una vita nuova, più alta, più bella, più forte, infinita. Noi, cari amici, balbettiamo nel dire queste cose. Sono le parole di Gesù che ci aprono uno spiraglio per intuire la profondità e la grandezza di questo mistero. Quante volte Gesù lo aveva detto ai discepoli? Eppure non gli avevano creduto. E quando venne la Pasqua non gli cedettero subito. Gesù risorto apparve loro molte volte. All’inizio pensavano che fosse un fantasma, Tommaso voleva toccargli le piaghe. Ma quando compresero che Dio aveva vinto la morte risuscitando il suo Figlio, iniziarono a comunicarlo a tutti. Si sparsero ovunque per dire che Dio aveva risuscitato il Figlio, che l’amore aveva vinto la morte, che tutti noi eravamo ormai liberi dal potere del diavolo che porta al male e infine alla morte. E’ questo il cuore del Vangelo.
L’apostolo Paolo, nella lettera ai romani che oggi abbiamo ascoltato, ci dice che non abbiamo ricevuto uno spirito da schiavi, ma da figli adottivi, tanto da poter chiamare Dio con il, nome di “papà”. E aggiunge: se siamo figli, siamo anche eredi, ossia partecipi anche noi della risurrezione. E’ vero che la morte ci fa soffrire, ma aggiunge: “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura”, quella stessa che Gesù ha avuto. Nella Lettera ai Filippesi Paolo scrive che Gesù “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome sopra ogni altro nome”. Anche noi saremo esaltati, ossia risuscitati. Anche i nostri fratelli defunti saranno esaltati, ossia risorti alla vita del cielo. Pertanto, seppure siamo rattristati dalla morte, dalla nostra morte, come dalla morte dei nostri cari, non siamo però disperati. La nostra speranza è fondata sull’amore di Dio che fatto risorgere dai morti Gesù e che farà risorgere noi tutti. Il profeta Isaia aprì tanti secoli fa uno spiraglio sul futuro degli uomini: sul colle del tempio di Sion Dio ha apparecchiato un grande banchetto per tutti i popoli. Egli eliminerà la morte per sempre, asciugherà le lacrime su ogni volto, e farà scomparire la condizione disonorevole del suo popolo.
Queste sono le parole che il Signore ci rivolge oggi, qui accanto ai nostri cari. In esse troviamo la risposta al profondo desiderio di non separarci dai nostri cari e di continuare a vivere quei legami che abbiamo costruito sulla terra. Triste, molto triste sarebbe se tutto finisse. Ma il Signore ci ama e non permette che siamo inghiottiti dal nulla. Questa celebrazione, care sorelle e cari fratelli, è tutta segnata dall’amore che Dio ha per noi. E’ un inno all’amore di Dio. Egli non riesce a stare senza di noi, per questo ci viene incontro e ci salva. Ma la via per incontrarlo è quella dell’amore. Solo la via dell’amore porta alla salvezza. Tutte le altre, quella dell’orgoglio, della sopraffazione, della violenza, dell’amore solo per se stessi, della guerra, della violenza, della futilità, dell’ubriacatura, dello sballo, tutte queste altre vie portano alla morte. Penso alla guerra nel Congo, all’ubriacatura di halloween…portano tutte alla morte.
E’ il Vangelo che abbiamo ascoltato. La via dell’amore con le sette opere di misericordia. Una via unica a sette corsie, se mi è permesso di dire. Su questa via incontreremo Dio: egli infatti è presente nei poveri, negli affamati, nei carcerati…
Se ci fermeremo anche Lui si fermerà accanto a noi e ci condurrà nel cielo dell’amore. Il Paradiso, perciò, inizia già su questa terra, come pure l’inferno. A noi è chiesto già da oggi di percorrere la via dell’amore, la via della salvezza.