Contro il patibolo: per sentenza, per omissione di soccorso e indifferenza
Oggi è il giorno della grande mobilitazione, a partire da Roma (al Colosseo), per unire 2446 città di 70 paesi di tutti i continenti, in occasione della giornata mondiale delle “Città per la Vita”, promossa da Sant’Egidio in ricordo del giorno in cui, per la prima volta nella storia, la pena di morte venne abolita da uno Stato, il Granducato di Toscana. “La pena di morte è una pandemia millenaria che si va esaurendo”, ha affermato in conferenza stampa Mario Marazziti, coordinatore della campagna internazionale e co-fondatore della Coalizione mondiale contro la pena di morte. “Nel 1977 erano solo 16 i Paesi abolizionisti, mentre lo scorso anno sono stati 18 i Paesi che l’hanno usata. Un ribaltamento totale, come mostra la crescita di consenso contro questa punizione disumana e inutile: 133 Paesi hanno abolito la pena di morte oppure osservano una moratoria e non la utilizzano da almeno 10 anni”, ha spiegato Marazziti.
“Anche negli Usa gli Stati che conservano la pena capitale sono solo uno in più di quelli che non la utilizzano e lo scorso anno si è registrato il numero minore di esecuzioni degli ultimi anni. Un trend molto positivo macchiato, negli ultimi sei mesi della precedente amministrazione, da 13 esecuzioni federali, un record negativo in due secoli di storia americana”, ha osservato Marazziti. “Siamo convinti che Biden, che ha annunciato il blocco delle esecuzioni nel braccio della morte federale, saprà voltare pagina. La speranza è che gli Usa possano astenersi o addirittura votare a favore della moratoria nella prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite”. Ed oggi alle ore 17,30, si terrà il webinar “No Justice Without Life” – Per un mondo senza pena di morte”, con la partecipazione del presidente del Parlamento europeo David Sassoli, di Tawakull Karman, premio Nobel per la pace 2011, e di altri attivisti impegnati nella battaglia contro la pena di morte, a partire dalla statunitense Sister Helen Prejean.
Mi ha colpito la testimonianza di Dale Recinella, cappellano laico nel braccio della morte in Florida. Dale, che ho incontrato a Roma due mesi fa, quando gli ho conferito un premio a nome della Pontificia Accademia per la Vita, non discute la pena di morte. Semplicemente ne contesta l’umanità e la legittimità. La moglie, Susan Recinella, lavora come psicologa per la riconciliazione e il dialogo tra le famiglie delle vittime e le famiglie dei condannati. Già perché la pena di morte non è solo qualcosa che riguarda il condannato. Ma anche la vittima e la sua famiglia, come quella del condannato. E investe la vita delle guardie carcerarie che sono lì ad assistere, ed in molti casi vengono travolte, le loro stesse vite, dalla crudeltà del rituale. Senza contare i casi di errori giudiziari, in molti casi riconosciuti prima dell’esecuzione – sappiamo che le procedure per arrivare dalla condanna all’esecuzione possono durare molti anni – e in tanti altri casi riconosciuti anche dopo, aggiungendo ingiustizia ad ingiustizia.
Dal punto di vista della Chiesa, il ‘no’ alla pena di morte è oramai fermo e senza appello. Lo sancisce il paragrafo 2267 del Catechismo, riformato da Papa Francesco nel 2018. Vale la pena leggerlo per intero: “Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi. Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che «la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona», e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo”.
Vorrei, inoltre, sottolineare un altro aspetto della pena di morte che oggi va portato alla luce. Si tratta di “quella” pena di morte che infliggiamo per omissione di soccorso, per indifferenza, per l’egoismo che ci fa voltare dall’altra parte, come lucidamente appare nella parabola del Samaritano: il sacerdote e il levita – due uomini di fede – non si fermano e passano oltre. L’uomo sarebbe morto sul ciglio della strada senza il Samaritano. Penso ai migranti in mano ai trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo, nel Canale della Manica, ammassati ai confini e al freddo tra Polonia e Bielorussia (perché non se ne parla più? Sono forse scomparsi, svaniti nel nulla? E i media dove sono?). Pensiamo mai a quante condanne a morte pronunciamo in Occidente semplicemente disinteressandoci di queste centinaia di esseri umani? Non si tratta solo di denunciare l’indifferenza dei governi o la miopia di una politica protezionista e nazionalista. Si tratta di guardare dentro noi stessi e sondare la disumanità, per contrastarla e combatterla fino in fondo. Pensiamo davvero che qualche migliaio di persone possono mettere in difficoltà i paesi dell’Unione Europea? E pensiamo davvero che inventando frontiere possiamo giustificare la nostra coscienza?
La pena di morte non è solo quella comminata dalle leggi dello stato. E non basta una legge per dire che qualcosa è umano o lecito! L’unica “legge” incontrovertibile è quella che ci insegna il Samaritano del Vangelo di Luca: la misericordia del chinarsi sull’altro sofferente, l’accoglienza, lo sguardo che riconosce il volto dell’altro come un altro me stesso e apre alla solidarietà ed alla speranza. Le “pene di morte” vanno contrastate a livello legale – ben vengano le iniziative internazionali ! – ma l’impegno va esteso contro tutti quei modi di respingere gli esseri umani che chiedono aiuto, condannandoli ad un futuro di insignificanza, oblio, morte. Non è per questo che ci diciamo cristiani e non è anche per questo che esiste l’Unione Europea?