Convegno Ecumenico Nazionale a Bari

Convegno Ecumenico Nazionale a Bari

Premessa


Siamo al termine di questo nostro Convegno annuale. Permettete che all’inizio sottolinei la gioia di tutti per la liberazione delle due italiane e dei due iracheni, avvenuta ieri. Vorrei dire che è una vittoria del dialogo sulla guerra, segno che la forza dell’amore ha piegato la logica della violenza.
Ed è vero anche quando si incontrano fratelli di Chiese diverse. Siamo fratelli per il battesimo e questo vale per tutti e per tutte le Chiese e confessioni cristiane. L’incontro fraterno perciò riceve una grazia speciale, forte e illuminante. Lo abbiamo sentito anche in questi giorni. L’incontro fraterno mentre fa crescere l’amore e la conoscenza, libera le parole dalla polvere dell’astrattezza, toglie la crosta pesante dei pregiudizi che si rafforza in un clima polemico, come quello che per secoli ha avvelenato la vita dei cristiani, e, soprattutto, fa emergere con maggiore chiarezza il senso più profondo delle parole, fosse anche un senso dialettico.
Potremmo dire che le parole, senza il volto di chi le pronuncia, sono come un corpo senza la carne. E noi in questi giorni abbiamo potuto vedere con maggiore chiarezza il senso e il valore per le diverse Chiese cristiane del giorno del risorto e dell’eucarestia della domenica. Direi che, nel patrimonio della fede cristiana, il valore della domenica, nonostante le molteplici e a volte profonde diversità che separano le Chiese, è tra quelle dimensioni che maggiormente uniscono i discepoli di Gesù. Dal giorno di Pasqua fino ad oggi i cristiani hanno sempre celebrato la resurrezione di Gesù. L’hanno celebrata in modi diversi, ma nessuno l’ha mai tralasciata. Se nel corso dei secoli si sono purtroppo moltiplicate le divisioni, si sono altresì moltiplicati gli anticorpi contro la divisione che è rappresentata dall’ininterrotta celebrazione del risorto.
Le domeniche sono la rete che unisce nel Sacramento tutte le Chiese. Vorrei sottolineare la bellezza e la novità del nostro convengo. E se ci sono stati momenti di smarrimento è perché forse fino ad ora si è riflettuto poco sulla forza ecumenica del Giorno del Risorto e dell’Eucaristia domenicale. Ci siamo fermati talora su dei problemi, certamente importanti, ma non esaustivi delle tematiche che la domenica ci pone innanzi.


L’ecumenismo tra passato e futuro


Veniamo ad una riflessione più specifica sul dialogo ecumenico. Questo convegno si situa in un momento difficile per il dialogo, sia quello ecumenico che quello interreligioso, ma anche quello che caratterizza uno stile di vita in dialogo. Non solo il dialogo non gode di molta stima, ma viene spesso accusato di relativismo o di buonismo.
Talvolta si dice esplicitamente che è meglio non praticarlo. Questa mentalità purtroppo è sottilmente penetrata anche in tanti credenti. Ed è di qui che nasce un raffreddamento del clima ecumenico. Sono certo che non si può più parlare di inverno ecumenico, come qualcuno ha fatto, di certo però non siamo neppure nella primavera di qualche decennio fa, quando l’unione fra le Chiese appariva davvero vicina.
Purtroppo c’è anche chi lavora per raffreddare il clima, magari sottolineando con pervicacia quello che divide gli uni dagli altri, mettendo in sordina l’incredibile e innegabile cammino fatto. Ovviamente, non vanno sottovalutate le divisioni che ancora esistono, ne bisogna essere ciechi di fronte ai problemi che sorgono, sia a livello teologico che storico, culturale, giuridico, psicologico, concreto, pratico. Per di più, le difficoltà non sono a senso unico. Esse attraversano al loro interno le singole confessioni cristiane, come anche i loro raggruppamenti, basti pensare alla difficile stagione che sta attraversando il Consiglio Ecumenico delle Chiese nel rapporto fra riformati e ortodossi, o anche alle difficoltà interne al mondo ortodosso. L’unica vera realtà cristiana che è “esplosa” è il fenomeno carismatico che secondo alcune stime è cresciuto in appena un secolo da zero fino a oltre 500 milioni di fedeli, un fenomeno che ci interroga e sul quale dovremmo porre molta attenzione. L’insistenza sulla questione islamica emerge dunque, di fronte a questo dato, artificiosa, frutto della paura più che della consatatazione oggettiva della realtà: la vera sfida è quella rappresentata dalle sette, non quella islamica. Altra cosa ancora è il terrorismo, che non è una questione religiosa ma politica.
Il cammino ecumenico compiuto sino ad oggi è comunque enorme. Credo che debba restare un punto di non ritorno. Ma anche questo non è scontato: anzi restare fermi significa tornare indietro. Dobbiamo guardare con maggiore audacia il futuro delle nostre Chiese.
Senza alcun dubbio il futuro dell’ecumenismo comporta la riaffermazione dello spirito che ha guidato i suoi grandi protagonisti. E lo spirito è cercare ciò che unisce prima di quello che divide. Lo disse con passione Giovanni XXIII quando aprì il Concilio; fu anche la ragione che quarant’anni fa spinse Paolo VI a Gerusalemme per abbracciare il Patriarca di Costantinopoli Atenagora. Fu anche quello che mosse il Metropolita Nikodim ad incontrare Giovanni Paolo I, ed è quello che muove tanti altri capi di Chiese per significativi incontri. Giovanni Paolo II ha fatto suo questa spirito. Ha detto: “Papa Giovanni XXIII … era solito dire che ciò che ci divide come confessori di Cristo è molto minore di quanto ci unisce. In questa affermazione è contenuta l’essenza stessa del pensiero ecumenico. Il Concilio Vaticano II è andato nella medesima direzione … Esistono dunque le basi per un dialogo, per l’estensione dello spazio dell’unità, che deve andare di pari passo con il superamento delle divisioni, in grande misura conseguenza della convinzione del possesso esclusivo della verità”.
Purtroppo però questo spirito ecumenico è stato come appannato dal clima culturale contemporaneo che spinge singoli, gruppi e nazioni a sottolineare la propria identità a scapito dell’universalità. A volte anche le Chiese sono prese dalla stessa tentazione. Dove lo spirito dei fondatori dell’ecumenismo continua a spirare noi vediamo invece verificarsi veri e propri miracoli. Li vediamo al livello delle nostre diocesi, ed alcuni racconti che abbiamo ascoltato in queste giornate stanno a dimostrare questa vivacità dello spirito. Se dobbiamo rimproverarci una cosa in questo Convegno è forse proprio il poco spazio che abbiamo dato alle nostre esperienze.
Sento però che è utile ricordare, almeno a grandi linee, alcune tappe del cammino ecumenico che costituiscono anche uno stimolo alle nostre diocesi per fare di più.
Penso ad esempio alla Carta Ecumenica che non solo va più conosciuta ma anche più incarnata nei contesti dove noi siamo. Ad esempio la giornata sulla salvaguardia del Creato può essere un’occasione per riflettere insieme su queste tematiche urgenti e comuni, come abbiamo fatto a Terni quest’anno sul tema dell’acqua. Si sta lavorando inoltre alla preparazione di un nuovo convegno mondiale, dopo quello di Basilea e Graz, che dovrà tenersi in Romania, nella città di Sibiu.
Nel campo del rapporto con gli ortodossi non possiamo poi non ricordare l’incontro recente del Papa con il Patriarca Bartolomeo e il dono dell’Icona di Kazan al Patriarca di Mosca.
Ma altrettanto importanti sono le numerose occasioni di accoglienza religiosa agli immigrati cristiani, di cui in questi giorni abbiamo avuto occasione di parlare.
Io personalmente sono reduce dall’esperienza della partecipazione al Sinodo Valdese, poche settimane fa. E’ stata l’occasione per comprendere meglio quanto tutti i cristiani vivano le stesse sfide di fronte al mondo di oggi. Sono rimasto infatti colpito come anche nel mondo della riforma si avvertano con urgenza problemi quali quello della diminuzione delle vocazioni, della scarsa frequenza al culto domenicale, della caduta di spiritualità, e tanti altri temi che dovrebbero vederci più vicini a combattere insieme.
Non dobbiamo poi dimenticare l’anniversario del documento sulla Giustificazione, stipulato fra cattolici e luterani il 31 ottobre 1999. E’ il più rilevante che sia mai stato prodotto congiuntamente tra cattolici e riformati. Il Papa all’angelus di quella domenica disse: “Un traguardo intermedio lungo la via difficile, ma tanto ricca di gioia, dell’unità dei cristiani”. Insomma una base sicura per andare avanti. E forse il metodo dell’accordo differenziato su verità fondamentali che ha permesso tale convergenza può suggerire un impiego più ampio di questo metodo di lavoro.
Non dobbiamo poi tralasciare il rapporto con gli Ebrei. In queste giornate ne abbiamo parlato, e le esperienze di cui abbiamo ascoltato ci esortano sempre più a sentire l’urgenza di vivere più in profondità questo incontro. La giornata ebraico-cristiana del 17 gennaio può essere un’occasione proficua in questo senso per ritrovare le radici comuni dell’amore.
La Federazione Biblica Cattolica inoltre ha in programma di ricordare il 40° della Dei Verbum nel prossimo futuro. Sarà un’occasione importante da non sottovalutare per rimettere al centro della nostra attenzione il primato della Scrittura, anche come sicuro cammino di incontro ecumenico. Potrebbe essere questo anche un suggerimento per il tema del nostro prossimo incontro.
In queste giornate forse non abbiamo avuto il tempo necessario per trattare a sufficienza il tema del dialogo interreligioso. E’ una questione urgente e delicata, a cui non dobbiamo far mancare la nostra attenzione. Lo dico anche a partire dalla situazione mondiale in cui più volte la guerra è stata giustificata in modo aberrante dalla difficoltà di rapporto fra le religioni. E’ il famigerato “scontro fra civiltà” da più parti invocato ma che in realtà è un’idea semplifìcatoria e pericolosa. Infatti musulmani e cristiani non vivono in mondi separati e contrapposti, non è mai stato vero, si veda ad esempio il caso del Medio Oriente, ed inoltre sta crescendo da noi un Islam non arabo che sta via via acquisendo il volto italiano ed europeo. Su questo tema e sulle problematiche concrete che esso solleva la CEI sta per pubblicare un importante documento sui matrimoni islamo-cristiani. Sarà necessaria tutta la nostra sensibilità e il nostro impegno per far sì che questo testo possa divenire uno strumento utile alla soluzione delle difficoltà pratiche legate a questo tema, senza però che venga strumentalizzato fino a divenire un ostacolo all’incontro fraterno.
Un’ultima osservazione che mi preme fare è quella relativa all’assenza in queste nostre giornate dei rappresentanti di molte diocesi. Innanzitutto perché è un peccato che tanti si siano persi la ricchezza di contenuti e l’immagine stessa consolante del tanto lavoro che si fa nella Chiesa italiana. Forse però ciascuno di noi può fare di più per cercare di coinvolgere quelli che non ci sono, ed in questo senso mi sembra uno strumento particolarmente utile la creazione di strutture regionali che possano coinvolgere tutte le diocesi di un territorio in un lavoro comune per l’ecumenismo. In questo modo le tante iniziative che già si fanno potrebbero essere “contagiate” anche lì dove ancora non si è sviluppata una sensibilità sufficientemente avvertita.


L’ecumenismo dell’amore


II fondamento della fraternità cristiana è la comune figliolanza di Dio. Questo sta a significare che al di là di tutte le rotture del passato e di tutte le divisioni del presente, un fatto si impone: lo si voglia o no, i cristiani fra loro sono fratelli e sorelle. Quindi un cristiano restando radicato nella propria Chiesa non solo può, ma deve respirare con l’intera cristianità. E da quando i cristiani hanno imparato a respirare così, ossia a guardarsi in modo diverso, si è avuta una svolta storica nei loro rapporti, prima inimmaginabile. Se oggi c’è qualche raffreddamento lo si può scorgere a partire dagli anni ’80, da quando cioè le Chiese hanno ripreso a camminare ognuna incurante dell’altra, magari in nome di un’identità confessionale che temeva di perdere. Questo ripiegamento delle Chiese su sé stesse, questa autoreferenzialità rischia di sopprimere lo spirito di fraternità. E’ necessario e urgente che i cristiani riprendano ad incontrarsi e ad amarsi. Del resto è da come ci ameremo che gli altri ci riconosceranno. Questo significa che il dialogo della carità resta la via centrale dell’ecumenismo, e non è una via laterale o parallela ad altre, come ad esempio a quella teologica. Al contrario è l’alveo che le fonda e le raccoglie tutte. E’ una via ampia che richiede oggi soprattutto coraggio, creatività e audacia. Lo stesso dialogo più strettamente teologico deve nascere all’interno di quello dell’amore, altrimenti rischia la sterilità.
Il card. Kasper in occasione della dichiarazione comune sulla Giustificazione tra la Chiesa cattolica e la Federazione Luterana Mondiale metteva giustamente in guardia dai rischi dell’idolatria delle formule teologiche. Ed in effetti il decisivo progresso compiuto dal dialogo teologico è potuto avvenire proprio perché la ricerca della verità si è mossa sulla via della carità, come scrive l’Apostolo: “Veritatem facientes in charitate” (Ef 4,15).
San Giovanni Crisostomo a proposito dell’amore diceva: “E’ il più importante fra tutti i beni, è la loro radice, fonte e madre, se esso manca non c’è alcuna utilità per gli altri”. Sant’Agostino parlando della verità diceva che quando dobbiamo affermarla essa “pateat, placeat, moveat”, ossia “appaia, piaccia e attiri”. Non essa infatti ma la carità è scopo del precetto e pienezza della legge. In questo orizzonte potremmo leggere la pagina evangelica di Matteo al cap. 18. In essa è riportata la professione di Pietro a Cesarea di Filippo. Questa formulazione di fede, fatta a nome di tutti, fu impeccabile, tuttavia non garantì ai discepoli di essere una cosa sola, né sul piano del pensiero, né su quello della fede viva in Gesù. Infatti subito dopo si misero a discutere su chi fosse il primo fra di loro. Insomma la formulazione corretta e unanime della fede è sì assolutamente necessaria, ma non basta da sola ad unire veramente le Chiese. C’è bisogno della carità, come dice l’Apostolo: “E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.” (1Cor 13,2).
Se la carità si affievolisce è facile tornare a sottolineare quello che divide. Ecco perché l’ecumenismo va sempre più compreso nell’orizzonte dell’amore. L’amore evangelico infatti fa vivere l’unità fra i cristiani in anticipo, come se fosse già perfetta, malgrado le mancanze e le diversità. Riprendendo un antico adagio scolastico si potrebbe dire che ciò che sta alla fine, ossia l’unità, si deve vedere sin dall’inizio. Nell’amicizia c’è già la dimensione teologica della comunione. Un’amicizia ovviamente che non sia una parola vuota, ma rapporti personali fatti di fedeltà, interesse, attenzione per l’altro, memoria dei problemi altrui, conoscenza delle vicende e anche perdono vicendevole. Questa amicizia fa superare le divisioni, fa svanire i pregiudizi, brucia l’ignoranza e mette in comunicazione l’uno con l’altro. Essa da nuova forza al dialogo teologico e ne favorisce la ricezione. Ma soprattutto consolida l’ecumenismo in un terreno più sicuro e permette il superamento di quei problemi concreti che continuano a presentarsi e che altrimenti rischiano di allontanare ancora una volta gli uni dagli altri.
L’esempio dei martiri è l’espressione più alta dell’ecumenismo dell’amore. La loro testimonianza è un’eredità preziosa comune a tutte le Chiese cristiane. E non è solo una memoria gloriosa del secolo passato, ma piuttosto un tesoro prezioso per la vita spirituale ed ecumenica di tutti. In questo senso c’è un ideale rapporto stretto fra la giornata interreligiosa di preghiera per la pace di Assisi e la giornata in memoria dei nuovi martiri. Essi ci svelano il mistero dell’unità che hanno già vissuto su questa terra, prospettiva che possiamo applicare anche a tutti i giusti, a qualsiasi fede essi appartengano. La testimonianza dei martiri, il loro amore per il Signore fino all’effusione del sangue, brucia le nostre divisioni e indica la via da seguire. Essi sono un’efficace scuola di amore e di unità per tutte le Chiese.


Chiese sorelle, popoli fratelli


L’ecumenismo non esaurisce la sua forma nell’ambito intraecclesiale. Se le Chiese si adoperano per crescere nella comunione favoriscono così anche un nuovo rapporto tra i popoli. Se al contrario si ripiegano in sé stesse diventano inevitabilmente complici di divisioni e conflitti. La storia di questi due millenni ce lo insegna. Le Chiese cristiane non hanno forse contribuito ad avvelenare la storia dell’Europa con il morbo della divisione? E se esse rimarranno divise non è forse più arduo l’impegno a prevenire e far cessare i conflitti? Per di più la storia sembra remare contro, visto il riacuirsi dei conflitti, delle estraneità e delle incomprensioni fra i popoli. L’ampliamento dello spazio della carità deve quindi divenire un impegno prioritario della vita delle Chiese cristiane, una responsabilità davanti al mondo intero.
E’ questo un campo vastissimo nel quale è urgente ritrovarsi: spazia dall’aiuto ai nuovi poveri nei nostri paesi ricchi al sostegno per i paesi in via di sviluppo, dall’impegno per la giustizia a quello per il rispetto dei diritti umani, dalla difesa della pace all’allargamento della solidarietà, e così oltre. La fraternità dei cristiani è lievito buono per la fraternità fra i popoli, così come la loro divisione lo è per i conflitti. Le Chiese d’Oriente e quelle d’Occidente debbono quindi sentire ben più fortemente la responsabilità di essere segno e strumento dell’unità della famiglia umana. La fraternità dei cristiani è quindi un’arma contro la crescita della conflittualità fra etnie, fra popoli, fra culture, religioni e civiltà.
La fraternità si realizza nella vita di ogni giorno, con la preghiera, lo scambio fraterno, la solidarietà vicendevole, la comune passione per il Vangelo. Come si può intuire l’ecumenismo è allora innanzitutto una dimensione spirituale della vita cristiana, prima che un problema veritativo o di diplomazia dei rapporti. Questa tessitura di amore è il lavoro che ci aspetta nell’anno che viene. E’ un lavoro fatto di piccoli gesti, ma pieni d’amore, e sono essi che fanno germinare il nuovo tempo di Dio. Sono gesti umili, come lo sono a volte i nostri incontri di preghiera e gli impegni di amore, di studio e riflessione. Ma è anche da qui che passa la strada della nostra santità.


+ Vincenzo Paglia
Presidente della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo