Defunti

La visita ai cimiteri suscita sempre qualche domanda negli spiriti più attenti. Del resto, come non interrogarsi di fronte a milioni di uomini e di donne che il 2 novembre fanno visita, in tante città del mondo, alle tombe dei propri cari? Credo che a molti è capitato di vedere famiglie intere compiere questo gesto tenero e pieno di umanità. Non è una semplice memoria, per quanto significativa e toccante. I morti si possono ricordare anche a casa. Ma forse, tra i molti significati che si addensano nella visita al cimitero, c’è il bisogno quasi fisico di stare vicini a chi ci ha lasciato, o comunque di affermarne la permanenza. E la tradizione cristiana dà concretezza a questo bisogno. Certo, tutto nasce dalle parole evangeliche che ci assicurano che il Signore non abbandona quelli che ha amato; non li lascia mai: specie nel difficile passaggio della morte. Anzi li raccoglie e li coinvolge nella sua risurrezione. Ed ecco che il dolore per il distacco si accompagna alla speranza, anzi alla certezza di un nuovo incontro. La vita, dice il Vangelo, non finisce nella morte. I nomi delle persone amate e conosciute non sono persi in quel grande buio della morte. Ed è non poco significativo che la liturgia della Chiesa metta insieme la festa dei santi con quella dei morti. È una intuizione di straordinaria forza evocativa: i santi e i morti sono uniti in un unico futuro. Se ogni giorno dell’anno si fa memoria di una persona, in questi due giorni siamo invitati a ricordare un numero enorme di gente,  popoli interi, masse di santi e di morti, tutti raccolti in un unico destino. Che i morti siano uniti in un’unica memoria assieme ai santi è una profezia utopica per il mondo. La risurrezione di Gesù, “il primogenito di coloro che risuscitano dai morti” (Col 1,18), è uno dei cardini della fede cristiana, tanto da far dire all’apostolo Paolo: “se Cristo non è risuscitato dai morti, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1Cor 15,14). La novità cristiana sulle altre religioni e sulle altre convinzioni umanistiche è appunto la vittoria completa e piena di Gesù sulla morte: e chi crede in Lui risorgerà con il suo corpo. E’ un Vangelo, ossia una buona notizia davvero consolante; e inconcepibile alla mente umana. Nulla però è impossibile a Dio, tanto più la salvezza di coloro che ha amato. Certo, tutti sentiamo la durezza della morte. Ma dopo la risurrezione di Gesù la morte è stata sconfitta; il suo amore è più saldo della morte. Essa non allontana più i credenti gli uni dagli altri, non rompe i vincoli di amore legati sulla terra. I credenti sono raccolti da Gesù che ha sconfitto la morte perché nessuno andasse perduto nessuno di coloro che il Padre gli aveva affidato. Egli, che ha amato e che ha cercato sino all’inverosimile i suoi discepoli, non permette che la morte li separi da lui. Talora ci chiediamo dove sono i nostri morti; e magari cerchiamo di pensarli, di immaginare il luogo dove vivono e cosa fanno. I resti del loro corpo sono nei cimiteri, ed è bella la tradizione di visitarli. Ma è anche bello (e forse ancor più) pensare che i nostri defunti continuano ad essere presenti nelle nostre chiese, là dove hanno ricevuto i sacramenti, dove hanno pregato, dove hanno lodato il Signore, dove hanno sperato nei momenti difficili, e da dove sono stati accompagnati verso il cielo. Potremmo dire che i nostri defunti sono nelle chiese della comunità di cui facevano parte: la morte non ha interrotto i legami di amicizia. Essi continuano ad essere vicini per celebrare, assieme a coloro che sono sulla terra, la lode del Signore. Non è una comunione visibile, ma non per questo meno reale. Anzi, è ancor più profonda perché non fondata sulle apparenze esteriori, tanto spesso ingannatrici. La comunione con i defunti è fondata sul mistero dell’amore di Dio che tutti raccoglie e sostiene.