Desmond Tutu, è morto l’uomo geniale che abolì la punizione
Desmond Tutu è morto il giorno di Santo Stefano, il primo martire cristiano che la Chiesa ha voluto ricordare il giorno dopo la nascita di Gesù. L’uno scendeva in terra e l’altro saliva al cielo. Tutu è un “martire” (vuol dire “dare la vita”) di questo legame tra cielo e terra. Ricordo bene la sua visita alla Comunità di Sant’Egidio. Era il 26 maggio del 1988, all’indomani del conferimento del Nobel per la Pace. Era già venuto una prima volta a trovarci nel 1985. Sentimmo la forza della sua profezia evangelica che diveniva forza di cambiamento nella storia: un messaggio profondamente umano e religioso che oggi viene consegnata alla storia: no alla rassegnazione alla violenza, sì ad una giustizia riparatrice e di riconciliazione, capace di superare la vendetta e di cambiare la storia guardandosi negli occhi, vittime e carnefici.
La Commissione per la Verità e la Riconciliazione, avviata in Sudafrica per superare il trauma collettivo dell’apartheid resta un esempio. Non per dire che è facile. Ma per affermare che è possibile. Una giustizia senza punizioni, ma con il primato della verità e del perdono, i due binari fondamentali di una visione che cambia la storia. È una lezione che dovremmo riscoprire nei nostri giorni segnati da una violenza risorgente e dall’aggravarsi del fossato delle ingiustizie sociali, economiche, sanitarie. La visita di Tutu a Sant’Egidio avvenne poco prima della morte di Jerry Masslo nel 1989, un giovane profugo sudafricano arrivato in Italia alla ricerca di un futuro migliore, stroncato però da una morte violenta. Fu ucciso. La drammatica storia di questo giovane sudafricano suscitò un forte dibattito pubblico. Era la prima triste avvisaglia di ciò che sarebbe poi avvenuto circa la vicenda dei migranti. Sono passati 32 anni e i problemi dell’immigrazione, dell’ingiustizia, della disperazione, sono ancora tutti aperti e ci danno la misura di quanta strada dobbiamo percorrere. I testimoni – e tra questi Desmond Tutu – ci aiutano a non fermarci.
Tutu ha dato la vita per il Vangelo della pace e della dignità di ogni uomo. In questo è un vero e proprio “martire”, ossia testimone. La sua morte lo pone più in alto di noi tutti sia per non perderlo di vista ma soprattutto per raccogliere la sua fiaccola. E poter fare così anche noi la nostra parte. Ci sono luoghi nel mondo nei quali si cerca di realizzare il “metodo” avviato da Desmond Tutu in Sudafrica. Insomma è possibile fare giustizia senza punizione e senza vendetta. Si chiamano Commissioni Verità e Giustizia. La “verità” sta al centro di ogni “riconciliazione”: non occultamenti politici e non confessioni come moneta di scambio per amnistie o riduzioni di pena. E poi le audizioni: tutte pubbliche con accusati ed accusatori, vittime e carnefici, l’uno di fronte all’altro. È una vera e propria rivoluzione umana. Così si realizza la Giustizia. In Sudafrica fu incredibile la reazione, sino ad una sorta di catarsi collettiva. Il Rapporto finale – una pubblicazione monumentale – è ancora oggi consultabile on line.
Desmond Tutu resta una luce che la morte non spegne. Brilla per noi la sua profonda umanità e la chiara fede evangelica: ha reso possibile ciò che si riteneva – e molti purtroppo lo ritengono ancora – impossibile. Solo Verità e Perdono scardinando in radice la violenza. È la grande eredità che Desmond Tutu ci lascia. Guai a sprecarla. Bene farla fruttare: è la via per una globalizzazione a misura umana. Non è una utopia irrealizzabile. È, invece, un miracolo a portata di mano. È come quel piccolo seme evangelico che sposta le montagne.