Funerale di Carlo Azeglio Ciampi
Carissima Signora Franca, Signor Presidente della Repubblica, Eminenza, care sorelle e fratelli tutti,
siamo accorsi numerosi per questa santa celebrazione che apre a Carlo la porta del cielo. L’intera Italia oggi è in lutto per la perdita dell’amato presidente Ciampi, il “Presidente di tutti”, come in tanti hanno detto. E piangi anzitutto tu, carissima Franca, che per settanta anni gli sei stata accanto. Proprio il 19 settembre di settanta anni fa – era il 1946 – tu e Carlo celebravate il vostro matrimonio a S. Maria Della Vite a Bologna. E’ il settantesimo anniversario, e cade come una goccia di tenerezza che almeno un poco smorza la crudezza della morte e del distacco. Anche oggi, come allora, tu e Carlo vi trovate davanti all’altare del Signore, questa volta, a Roma nella vostra chiesa parrocchiale, circondati dai due figli, Claudio e Gabriella, e dai nipoti Margherita, Maria e Virginia, con Ginevra e Manfredo (il nonno mi mostrava orgoglioso i vostri disegni che teneva appesi nella parete della sua stanza; era fiero di voi). Assieme a voi, cari famigliari, ci siamo anche noi, amici di Carlo, in una celebrazione che raccoglie una bella Italia, quella più profonda che va oltre le divisioni, quella della patria intesa come famiglia di tutti, quell’Italia di cui Carlo è stato figlio, servitore fedele e in certo modo anche padre.
Circondato da questo unanime affetto Carlo inizia, da questo altare, il suo viaggio verso il cielo. Le parole evangeliche della chiamata di Natanaele, sembrano descrivere questa santa liturgia. Ci offrono uno spiraglio sul mistero dell’amore di Dio che ci salva dall’abisso della morte. Un abisso che ci atterra e di fronte al quale non abbiamo parole, se non quelle della nostra estrema debolezza. Non possiamo nulla. Ma Gesù stupisce i discepoli ed anche noi: “vedrete cose più grandi…vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul figlio dell’uomo”. Sì, questa santa liturgia è il cielo che si apre per Carlo e gli angeli di Dio salgono e scendono per prenderlo e accompagnarlo all’altare del cielo. E Gesù, vedendolo arrivare, può dire: “Ecco davvero un uomo in cui non c’è falsità”. E Carlo, per parte sua, può finalmente recitare con pienezza – e per l’ultima volta – la “sua” preghiera, quella che l’ha accompagnato per tutti i giorni della sua vita, fino alla fine. L’abbiamo recitata assieme tante volte. Le prime parole dicono: “Eccomi, o mio amato e buon Gesù…”. Carlo pronuncia oggi il suo “eccomi” di fronte al Signore che gli apre le sue braccia.
Cari amici, Carlo si è preparato a questo incontro che per i credenti è quello decisivo. Diverse volte ne abbiamo parlato. La prima volta lo fece con Giovanni Paolo II a cui lo univa una intensa e tenera amicizia. Aveva con sé la foto che lo ritraeva, guancia a guancia con il Papa, al termine della celebrazione della giornata mondiale della gioventù a Roma con più di duemilioni di giovani. Erano stanchi, ma la visione di quei giovani era di speranza per loro due ormai avanti negli anni. In uno dei successivi incontri Carlo disse a papa Wojtila: “Santo Padre abbiamo la stessa età… Se lei dovesse morire prima di me, mi promette che mi verrà incontro, che verrà a prendermi, che non mi lascerà solo quando giungerà la mia ora?”. Oggi, quella promessa si compie: Giovanni Paolo II sta qui con gli angeli che scendono dal cielo per prendere e abbracciare l’amico caro e accompagnarlo nel cielo di Dio.
La malattia, negli ultimi anni, aveva duramente provato Carlo. E tuttavia mai è uscito dalla sua bocca un lamento. Ha vissuto questi ultimi anni di indebolimento progressivo senza mai perdere quel rigore e quella dignità che hanno caratterizzato l’intera sua vita. La fede di Carlo – una fede semplice, non gridata, e tuttavia salda e praticata con discrezione e rispetto -, è stata come un filo rosso che ha legato e ispirato tutti i suoi giorni perché li spendesse non per se stesso, per i suoi avanzamenti o suoi personali interessi, ma per servire il bene comune del paese. E mentre il suo corpo si indeboliva è cresciuto in lui il senso della preghiera e del bisogno di tenerezza e compagnia. Per me personalmente è stato un dono la sua amicizia, soprattutto in questi ultimi anni e non dimentico i suoi occhi e il suo grazie quando gli ho dato la benedizione di Papa Francesco.
Oggi, Carlo ci lascia ripetendoci le parole che l’anziano Paolo scrisse al giovane Timoteo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”. Davvero Carlo ha combattuto la sua buona battaglia, con umiltà, con determinazione e con limpida coscienza. Lo ha fatto fin da ragazzo, quando si è lasciato temprare dalla severa disciplina dei gesuiti, ricordava spesso padre Fusi e padre De Giudici che lo avevano introdotto negli studi classici, la sua vera passione. Di qui la sua preoccupazione per l’educazione dei giovani. A 16 anni vince il concorso per entrare alla Normale di Pisa. E appena superata la tempesta della guerra con la triste parentesi dell’invasione in Albania – un angelo lo salvò dalla morte – Carlo scelse di avviarsi al lavoro e di sposare Franca. E tu, cara Franca, lo spingesti a fare il concorso per la Banca d’Italia per avere uno stipendio piccolo ma sufficiente per sposarvi. Lo vinse con la qualifica di “avventizio provvisorio”. E restò nella Banca d’Italia per 47 anni, salendo fino al vertice.
Da allora il servizio al Paese è stata la costante della vita di Carlo. Era severo ed esigente anzitutto con se stesso. Ma la sua signorile severità faceva trapelare una calda passione civile che contagiava chi gli stava accanto. Per un destino della storia Carlo si è trovato ad assumere gravose responsabilità nei momenti più difficili per le Istituzioni, anche le più alte, che ha dovuto presiedere. Eppure – così lo ricordano i collaboratori – appariva calmo, sereno, anche durante le tempeste più gravi, e non per arroganza ma per una straordinaria sintesi di competenza, rigore, onestà e saggezza, tenendo in conto i pareri altrui ma avendo fisso come una stella polare l’interesse del Paese. Dell’Italia Carlo conosceva i limiti ma anche le potenzialità. convinto che i limiti potevano superarsi con un legame forte e duraturo con gli altri paesi europei. Un doppio patriottismo lo animava: quello che lo spinse a irrobustire una difficile unità degli italiani intorno al tricolore e quello di mettere al sicuro quest’unità in un’attiva cooperazione con gli altri paesi europei. Così, da Presidente, portò l’Italia nel nuovo millennio.
Era consapevole della necessità di un nuovo slancio spirituale e politico e negli ultimi anni non nascondeva le sue preoccupazioni. Volentieri ricordava l’incontro di Assisi del 2002 voluto da Giovanni Paolo II per scongiurare il terrorismo e invocare la pace. Al termine il Papa gli fece chiedere se voleva portare anche lui la lampada della pace. Con emozione il Presidente Ciampi si alzò e portò sul candelabro quella lampada accesa. Vengo da Assisi, dove ieri è venuto il Presidente Mattarella e dove domani verrà Papa Francesco, e vorrei consegnare a Carlo questa lampada di Assisi perché illumini i suoi passi verso il cielo e si possa dire anche di lui: “Beati i piedi di colui che porta la pace”. Amen!