Funerale di Franco Scaglia
Abbiamo ascoltato l’ultimo capitolo dell’Apocalisse ove si descrive la conclusione della vicenda umana secondo la visione profetica dell’apostolo Giovanni: “e vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, pronta come una sposa adorna per il suo sposo”. E’ la città definitiva, l’ultima: essa non ha bisogno più né del sole né della luna perché la sua luce è l’Agnello ed è la città verso cui tutte le nazione della terra camminano, finalmente una città patria comune di tutti i popoli della terra.
Cari amici, questa pagina biblica descrive anche questa santa liturgia che stiamo celebrando per Franco. Noi siamo attorno a lui, lo siete voi anzitutto cari famigliari, cara Mascia, carissima Elisabetta, carissime Beatrice, Rosy – e un saluto alla mamma lontana -; lo siamo anche tutti noi che da tanti anni lo conosciamo, lo stimiamo e che non vogliamo mancare nel dargli con non poca tristezza l’ultimo saluto. E Dio sa se ci mancherà. Sì, ci mancheranno le sue riflessioni, le sue analisi, i suoi scritti, i suoi sogni…e ognuno di noi ricorda le sue chiacchierate ovunque… Siamo, sono, molto triste questa mattina. C’è una piccola consolazione: è morto senza dolore con un sorriso a chi le stava accanto. Noi siamo qui per un funerale, ed è vero.
Ma lasciamoci guidare dalle parole dell’Apocalisse. Esse ci svelano almeno un poco il mistero di questo ultimo tratto della vita di Franco, che per noi però è indubbiamente pieno di tristezza. Per lui forse è altra cosa. Mi aveva detto qualche domenica fa che non aveva paura della morte: nella caduta che ha avuto negli ultimi tempi l’aveva come intravista e – diceva – era fatta di una luce azzurra e serena. Ma più che queste parole sono quelle della “rivelazione” – questo vuol dire Apocalisse – della Gerusalemme del cielo che oggi scende qui per venire incontro a Franco – è pronta come una sposa adorna per il suo sposo – e viene per accogliere ed esaltare, rendere eterno, indissolubile, quel legame che ha unito Franco in maniera davvero profonda con la Gerusalemme della terra. Vorrei dire che è come il debito di amore a spingere la Gerusalemme del cielo a scendere fin qui perché Franco da oggi viva in quella piazza di oro puro, come cristallo trasparente, dove ogni lacrima è asciugata e dove non vi sarà più la morte. E’ la storia definitiva di Franco con Gerusalemme, la sua la nostra città.
Sì, è difficile, direi impossibile, comprendere Franco senza Gerusalemme, senza questa città che lui ha amato, conosciuto, visitato, studiato, percorsa, descritta, scavata. Quasi tutte le sue opere parlano di lei, e da essa Franco continuava ad attingere in profondità quell’acqua – una sapienza complessa, religiosa ed umana, e talora anche drammatica -, che quella città non cessa di far scaturire. La stessa amicizia con Padre Piccirillo – il don Matteo de “Il custode dell’acqua” -, uno dei più attenti archeologi della Terra Santa, è il segno di questo scavare in profondità da parte di Franco. Scavare lì, ma scavare in generale nella vita, nella storia di questo tempo, nella storia di quelle terre, ma anche del nostro paese, del Mediterraneo, dell’Europa. Non era la sua pura passione archeologica, ma la convinzione che solo scendendo in profondità, e non una sola volta, si può comprendere il senso della vita e l’orientamento per l’oggi.
Gerusalemme per Franco rappresentava il sogno della pace e della convivenza tra i popoli, tra tutti i popoli. Era la metafora della vita e della storia. Ne aveva fatto la sua vera patria di uomo, di scrittore, di credente. Per questo Franco amava dire: “a Gerusalemme, chi non crede nei miracoli, non è realista”. Quante volte ne abbiamo parlato! E il realismo era anche il pianto per il dramma della città e del mondo di oggi. Franco mi parlava talora del pianto di Gesù su Gerusalemme, ma non solo. Lo abbiamo ascoltato dal vangelo di Luca: alla vista della città Gesù “pianse su di essa”. E quanta ragione abbiamo oggi di piangere su Gerusalemme, su quella terra, sul medio oriente, sul mediterraneo, sul nostro paese, sull’Europa! Talora mi diceva che si piange troppo poco. Forse perché siamo troppo concentrati su noi stessi e degli altri poco ci importa.
L’amore per Gerusalemme lo portava a conoscerla fin nei dettagli. Del resto l’amore è proprio questo, la passione per i dettagli. E per lui quelle pietre parlavano perché custodiscono millenni di storia. E vi tornava almeno ogni anno, convinto che non si potesse capire la vita senza quella terra. Era desolato negli ultimi tempi per la superficialità che vedeva allargarsi sempre più. Il nostro paese – volle che lo scrivessimo – stava come perdendo l’anima nella rincorsa dei tanti particolarismi che lasciavano sempre più il campo libero alla banalità del male. Nell’ultimo libro che aveva pensato e programmato, quasi a raccogliere l’intera sua vita – ne abbiamo parlato in una domenica di giugno scorso -, l’ultimo capitolo voleva dedicarlo proprio a Gerusalemme, “il tesoro che va scoperto dentro e fuori di sé”, mi disse. Quella città era il sogno per se stesso e per il mondo. Un sogno che andava cercato e custodito e che oggi in tanti hanno come perduto. Nessuno più sogna Gerusalemme!
E’ il sogno che in maniera più o meno evidente ha animato la vita di Franco soprattutto negli anni della maturità, dopo essere venuto a Roma da ragazzo da Camogli dov’era nato nel 1944. Qui a Roma ha speso la sua intera vita di scrittore, di giornalista e poi di dirigente alla RAI. Non spetta a me descrivere la ricchezza del suo impegno. Credo che l’intera RAI – a cui Franco ha dato circa quaranta anni di vita percorrendone tutti gradi – testimoni la saggezza del suo impegno. E lui era consapevole della “missione pubblica” della rai che riteneva essere un tesoro prezioso per il Paese. I molti premi ricevuti, compreso il premio Campiello, testimoniano il valore di uno scrittore che aveva fatto di questo impegno un servizio per la crescita culturale del paese. Ma voi ne siete testimoni autorevoli ancor più di me. E sarà bene che tutto ciò non venga dimenticato. Certo ci mancherà la sua presenza, ci mancherà la vicinanza di Franco, un uomo ricco nell’animo, mite nei comportamenti che ha fatto dell’amicizia uno stile di vita, capace di scavalcare dissidi e creare quel clima di impegno per il bene di questo paese che ha amato e che ha servito.
Oggi ti siamo tutti accanto per accompagnarti con il nostro saluto e la nostra preghiera. Una delle ultime volte mi ricordavi il monte Nebo – dove volesti sposarti con Mascia e la celebrazione di padre Piccirillo – il monte dove è morto Mosé e dal quale vide la terra promessa da Dio al suo popolo. Mosè finalmente vi era giunto, dopo la lotta contro la potenza del Faraone e dopo la fatica dei quaranta anni nel deserto. Ma non poteva entrarvi. Vide quella terra da lontano. Me lo raccontavi con quel senso di nostalgia profonda propria di ogni uomo pensoso e dall’animo religioso. Sentivi questo mistero dolce e amaro assieme.
Ma oggi – come canta il salmo –, caro Franco: i tuoi piedi sono davanti alle porte di Gerusalemme. Sulla porta c’è Gesù che ti accoglie. Quante volte ne hai parlato e scritto. Lo abbiamo fatto anche assieme nel libro dal titolo “Cercando Gesù” che tu immaginasti come un ritorno di Gesù a Gerusalemme a ritroso, come una via crucis all’indietro, per riscoprire il senso profondo della vita, per assaporare la forza del vangelo che cambia la vita. Oggi vedrai il suo volto e sentirai il suo abbraccio. Che consolazione per te! E, lasciamelo dire, anche per Gesù.
Nell’ultimo tuo libro, L’erede del tempo, scrivevi, a proposito dell’incontro con Gesù: “Ora pensate alla misericordia intelligente di Gesù verso Pietro, dove il passaggio è dalla vergogna di Pietro alla fiducia di Gesù. Il Risorto gli pone tre volte la domanda: ‘Pietro, mi ami tu?’. E questo permette implicitamente a Pietro di risolvere il suo tradimento, senza alcun rimprovero. Anzi gli rinnova la fiducia: ‘Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore’. Questo è meraviglioso: non approfittare mai dell’umiliazione altrui per schernire, schiacciare, mettere da parte, ma ridare coraggio e responsabilità. Per essere così bisogna prendere esempio da Gesù, cioè avere in sé una grande gioia perché solo allora è possibile comunicarla”. Caro Franco, a noi molti tristi questa mattina donaci almeno una goccia della gioia che tu senti nell’abbracciare Gesù.