Funerale di monsignor Franco Gualdrini
Carissime confratelli vescovi, cari sacerdoti e diaconi, carissime sorelle e fratelli,
abbiamo iniziato questa celebrazione cantando assieme il Magnificat, l’ultima preghiera che mons. Gualdrini ha voluto cantare poco prima di morire. Con lo stesso canto abbiamo terminato ieri la celebrazione a Santa Maria Maggiore, come a voler circondare Mons. Gualdrini con il canto di Maria. Sappiamo quanto fosse legato alla Madre di Gesù. Nel testamento ha scandito le tappe della sua esistenza con i titoli delle diverse immagini mariane che si veneravano nei luoghi ove ha svolto il suo ministero, come a disegnare una geografia mariana della sua vita. E non è solo un caso, care sorelle e cari fratelli, che l’ultimo suo scritto, sia apparso proprio in questa settimana a commento della festa dell’Annunciazione sul giornale La voce. La sua ultima parola pubblica è una testimonianza su Maria, sulla sua fede, sulla sua totale fiducia in Dio. Il lungo Vangelo che ci è stato annunciato in questa divina liturgia, la chiamata dell’angelo a Nazaret e la visita alla cugina Elisabetta, in certo modo raccoglie la sua vita.
Sì, anche mons. Gualdrini ha ricevuto la chiamata al sacerdozio da ragazzo, ha pronunciato il suo “si” e ha messo l’intera sua vita al servizio del Signore. Ci ricorda così che l’esistenza cristiana è racchiusa tutta nel “si” a Dio, nell’essere discepoli del suo Figlio. E’ un insegnamento prezioso da raccogliere. Possiamo svolgere tante attività, possiamo coprire tanti ruoli, anche nella Chiesa, ma una cosa deve stare a fondamento di tutto – e questo segna la santità – essere ascoltatori attenti dell’angelo del Signore e dire assieme a Maria “Ecco la serva del Signore avvenga per me secondo la tua parola”.
Nella esistenza di mons. Gualdrini appare chiara una sottolineatura mariana della fede, un modo mariano vorrei dire di essere discepoli di Gesù. E’ di qui che nasce la sua straordinaria devozione alla Madonna. Proprio nell’ultimo articolo scrive: “Affascina non solo i cristiani, la figura di questa giovane donna che si fida completamente di Dio…La vita, se la si vuole vivere pienamente è una scelta continua e inesplorata…Maria ha deciso di scegliere fidandosi solo di Dio”. Questa è la via della santità. Ed oggi mons. Gualdrini ce lo ricorda. Lo ricorda a noi che tanto facilmente ci fidiamo di noi quanto difficilmente di Dio. Per i lunghi anni della sua esistenza, prima come viceparroco a Bagnacavallo, e poi trenta anni come rettore nel seminario di Faenza prima e poi nell’Almo Collegio Caprinica in un momento particolarmente difficile, Mons. Gualdrini ha cercato di dire sempre il suo “si”. Ieri, nella Basilica di Santa Maria Maggiore in tanti, vescovi e preti, hanno voluto testimoniare la gratitudine a chi è stato per loro come un padre, come un amico che li ha aiutati a rispondere e a vivere il “si” a Dio nel sacerdozio.
Per trenta anni mons. Gualdrini è stato rettore, prima a Faenza e poi all’Almo Collegio Caprinica, gli stessi anni di Gesù a Nazaret. Poi è stato chiamato come vescovo in questa chiesa diocesana di Terni-Narni-Amelia. E’ un po’ come il passaggio dal “si” di Maria alla vista all’anziana Elisabetta. Con l’entusiasmo della giovane Maria, mons. Gualdrini ha abbracciato il ministero episcopale in questa antica Chiesa che viveva in certo modo la gravidanza del Concilio. Mons. Quadri aveva immesso le indicazioni conciliari nella vita della Diocesi. Restava ora il compito di una loro più matura fruttificazione. Mons. Gualdrini raccolse con passione l’eredità di mons. Quadri e si è posto al servizio di questa Chiesa prodigandosi per diciassette anni per la sua crescita. Davvero potremmo dire: come la giovane Maria cercò di aiutare Elisabetta, così mons. Gualdrini ha speso le sue energie perché questa diocesi vivesse una ulteriore crescita. Aveva accolto con gioia il Vaticano II e lo riteneva una grazia straordinaria per la Chiesa perché mostrasse sempre più i tratti di una comunità dei fedeli, di una grande famiglia radunata dal Signore per comunicare agli uomini il Vangelo della salvezza.
Egli mise in atto tutta la sua capacità educativa, amando e rispettando tutti, preti e laici, uomini e donne, sì, le donne in maniera particolare, per edificare questa famiglia diocesana sulla prospettive del Concilio. E anche con audacia si è assunto la responsabilità della guida della Chiesa. Ma – come a rendere ancor più fruttuosa la sua precedente opera di educatore – ha preferito uno stile di educatore più che di comando. Infatti, amava molto il colloquio con tutti perché ciascuno potesse scoprire le proprie responsabilità e assumerle. Pur non rifiutando di prendere su di sé le decisioni che spettavano a lui come vescovo, ha cercato la collaborazione di tutti. Dei preti per primi. Voi, cari sacerdoti, avevate un posto particolare nel suo cuore. Quanto impegno ha posto perché nessuno nella diocesi fosse privo del ministero presbiterale! E ha voluto che crescesse nella diocesi anche lo spazio per il ministero dei diaconi permanenti. Non lesinava la sua parola paterna a nessuno. Quante volte, anche in questi ultimi dieci anni, mi parlava di voi, cari sacerdoti! Anche domenica sera, poco prima di morire, è tornato su di voi, e lo ha fatto con commozione. E si compiaceva anche di voi, cari seminaristi, pur conoscendovi poco.
Non è mancato in lui l’impegno perché la diocesi si solidificasse come un corpo organico ove i laici vivessero in pieno il loro compito. Ha voluto che tutte le forme associative si esprimessero con libertà e responsabilità. E ha spinto la caritas e le altre iniziative di solidarietà a irrobustirsi e ricordo il suo affetto per a Comunità Incontro. Quel che mons. Gualdrini auspicava e per cui lavorava era appunto una organicità nell’azione pastorale della diocesi per una più efficace evangelizzazione. Un esempio chiaro di questo orientamento collegiale che voleva imprimere è stata la realizzazione del Consiglio Pastorale Diocesano. Così pure aveva compreso l’indispensabile cammino sulla via della cultura. Penso all’ISTESS e all’impulso nuovo che avesse. E tante altre cose dobbiamo ricordare, perché nulla vada perduto. In tutto si esprimeva la sua ansia missionaria che trovò una espressione particolare nella missione di Ntambue. E anche questo è avvenuto sotto lo sguardo di Maria. Al termine dell’anno mariano del 1988 consegnò il crocifisso al primo missionario, don Fernando, per recarsi nella missione congolese. Ricordo la passione con la quale me la presentò in uno dei primi incontri. Anche domenica sera ne abbiamo parlato. Lì, in quella terra lontana eppure vicina ha voluto edificare anche una cappella in memoria della Mamma, a lui così cara. E voi, cari familiari, sapete quanto fosse caldo e assieme attento il suo affetto per voi. Nel testamento nomina la famiglia al primo posto e ringrazia il Signore per voi tutti. Ma sapete anche che tutta la sua vita l’ha dedicata alla Chiesa conducendo una esistenza dignitosa e senza sprechi, esempio di quella spiritualità sacerdotale che sa considerare il primato di Dio e della Chiesa nella vita di un prete e di un vescovo.
Mons. Gualdrini ha amato questa nostra Chiesa e ha dato per lei la sua stessa vita. E quando è stato nominato a Santa Maria Maggiore non ha voluto sminuire il suo rapporto con questa Diocesi. Era orgoglioso di essere stato vescovo solo qui e di poterlo scrivere sotto la sua firma: vescovo emerito di terni-Narni-Amelia. Ha portato la diocesi nel suo cuore, anche a Roma. E ha scelto di essere sepolto in questa cattedrale, come a non voler tradire mai un amore che l’ha coinvolto fin nelle viscere. E resta qui da oggi e per sempre sino al giorno della risurrezione per incamminarsi con i suoi figli e figlie di Terni verso il cielo.
Ho avuto la consolazione di passare con lui i suoi ultimi momenti, prima della morte. Mi aveva cercato durante la mattinata della domenica. Ci siamo dati appuntamento alle diciannove. Era a letto, certo, debole, ma tranquillo. Abbiamo parlato della diocesi, del lavoro da lui svolto nei diciassette anni di ministero episcopale e poi dei miei dieci anni. Abbiamo gioito della solida amicizia che avevamo stretto. Era contento e diceva che dovevamo essere un esempio di fraternità episcopale. Anche se faceva fatica a parlare ogni tanto abbozzava un sorriso, quel sorriso largo e sincero tipico di Gualdrini. E gli dissi che avremmo festeggiato assieme i dieci anni di episcopato, per lui di emerito e per me di successore. Vi dico questo, care sorelle e cari fratelli, perché è stato per me un esempio straordinario di come muore un cristiano, di come muore un vescovo della Chiesa. Ad un certo momento mi ha chiesto di pregare assieme. Lo abbiamo fatto. Abbiamo pregato per la diocesi e lui ha aggiunto anche per i sacerdoti. Al termine gli ho chiesto la benedizione. Non pensavo fosse l’ultima. Poi, con suor Grazia e suor Teresa ha voluto cantare il Magnificat. Poco dopo è morto. E’ morto “sazio di giorni”, potremmo dire con le Sante Scritture. Era lieto dei lunghi anni che il Signore gli ha dato di vivere. Ma con serenità accettava la volontà di Dio. Aveva chiesto al Signore di non morire all’improvviso per prepararsi all’incontro definitivo con Lui. Nel testamento scrive: “O Signore, dichiaro ancora di amarti (o, almeno, di volerti amare) e ti prego di aiutarmi ad amarti sino all’ultimo, accogliendo quanto vorrai disporre di me. Certo, ti prego, se è secondo la tua volontà, di liberarmi dalla morte improvvisa, perché, quando verrà, desidero prepararmi alla morte, confidando nella tua misericordia. Sono certo – nella fede, speranza e carità – che attraverso la morte potrò essere accolto tra le tue braccia, accompagnato da Maria e dai miei santi patroni, in Paradiso. Amen”. Termina così il suo testamento, ma non termina il nostro affetto per lui, non termina la nostra preghiera.
Caro don Franco, il Signore ti accolga oggi in Paradiso. Ti venga incontro Maria, Madre di Misericordia, assieme a San Valentino, San Giovenale e Santa Firmina e con loro gli altri santi di questa terra. E tra loro ci saranno la tua mamma e il papà assieme ai tanti amici che hai amato in questa terra. Sì, trovi una festa grande nel cielo, quella che noi facciamo fatica a fare. Tu, caro don Franco, ricordaci al Signore perché ci benedica e ci accompagni sulla via della santità, quella che tu hai voluto tracciare come tuo ultimo magistero. La conserveremo come tua memoria di sempre. Amen.