Giornata dei martiri
Carissimi giovani,
abbiamo ascoltato il Vangelo dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Domani lo celebreremo nelle nostre parrocchie. Ma già questa sera ci siamo messi in cammino. Cosa ci muove? Cosa ci fa mettere in cammino? Ci spinge dentro la stessa richiesta di quei due greci a Filippo: “Vogliamo vedere Gesù!” Sì, vogliamo vedere Gesù; vogliamo vedere quell’uomo che “ha fatto bene ogni cosa”, come scrivono i Vangeli. Ed oggi sono davvero rari uomini buoni e forti come lui; sono rari uomini e donne che danno la vita per gli altri come ha fatto lui. Noi siamo venuti qui perché vogliamo vedere quel volto, vogliamo vedere quegli occhi, vogliamo stringere quelle mani, vogliamo mettere il nostro capo sul suo petto per sentire come batte quel cuore.
In questo nostro mondo è così rara l’amicizia, così raro l’amore, così rara la compassione, così rara la tenerezza, è sempre più rara la pietà. Sono invece sempre più frequenti le guerre, le violenze, il terrorismo, gli odi, le ingiustizie, le sopraffazioni. Il Papa, pochi giorni fa, lamentava che nel nostro mondo scorrono troppi fiumi di sangue. E la gente diventa più paurosa e più dura. E il mondo diventa più difficile. Ebbene Gesù, che vuol bene al mondo, che ama le nostre città, ritorna ed entra in mezzo a noi. Entra però nelle nostre città non come un uomo forte o un uomo potente, ma come un mite e un misericordioso. E il suo trono è quello della croce. Quella croce che avete portato da San Valentino sino qui in cattedrale.
Avete fatto bene a portarla e la seguiremo ancora. Quella croce non è una sconfitta, come sembrava ai crocifissori. Quella croce è la vittoria dell’amore sull’egoismo, la vittoria di un cuore che amava senza limiti sull’egoismo ch’è sempre violento e infine omicida. Quella croce manifesta un uomo che non ha pensato a se stesso ma agli altri. Ricordate? Tutti gli dicevano da sotto la croce: “Salva te stesso!” Ma come poteva salvare se stesso uno che era venuto per salvare gli altri? Tutti noi abbiamo bisogno di un uomo che ci ami così. E soprattutto ne hanno bisogno i poveri e i paesi dilaniati dalla guerra e dalla violenza. E’ questo tipo di amore che salva il mondo.
Oggi siamo qui per ricordare alcuni fratelli e sorelle che l’anno scorso hanno dato la vita per il Signore e per i fratelli. Hanno amato sino alla fine. Alziamo il nostro sguardo verso l’Icona dei nuovi martiri, verso coloro che nel corso del Novecento sono stati uccisi a causa della fede. Il ventiquattro marzo abbiamo ricordato mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso mentre celebrava l’Eucarestia. Egli ci parla della via dei cristiani per vincere la violenza e la guerra attraverso la pace. Abbiamo troppo abbandonato quell’impegno a pacificare che viene dalla preghiera e dal dialogo. Romero nel 1978, il Giovedì Santo, ai giovani che avevano abbracciato la via della violenza diceva: “cari giovani, devoti della violenza e del vizio, voi che avete perso la fede nell’amore e pensate che l’amore non risolva nulla, ecco la prova che l’amore risolve tutto. Se Cristo avesse voluto imporre la redenzione con la forza delle armi o la forza di incendi e violenze, non avrebbe conseguito nulla. Inutile: più odio, più malvagità. Ma poiché Cristo pose la soluzione nel cuore della redenzione, in questa notte ci dice: Questo vi comando: che vi amiate come io vi ho amato…” Oscar Romero ha dato la sua vita per la pace, perché non ha ritenuto di dover fuggire o nascondere; si è offerto sull’altare durante l’Eucarestia. Il suo martirio ci dice che la vita cristiana non è un teatrino di piccoli protagonismi: è una cosa seria nell’amore.
Oggi ce lo dicono tanti che sono caduti martiri come Romero. Nello scorso anno ben 35 cristiani sono stati assassinati per il Vangelo. In realtà i caduti sono di più. Ma questa cifra è sicura. 22 di questi in Africa, il continente più segnato dalla violenza diffusa e dalla guerra: 6 in Uganda, e l’ultimo, un italiano, proprio l’altro giorno ucciso dalla terribile guerriglia del fondamentalismo pseudocristiano della LRA. Sei sono stati uccisi nell’ex Zaire. Lavorare per la Chiesa in Africa sta divenendo, sempre più, una scelta rischiosa. Undici sono i caduti in America Latina. Di essi ben sei in Colombia (un paese ostaggio di una situazione incredibile di instabilità). Due sono stati uccisi in El Salvador. Un sacerdote è stato ucciso in India ed un altro in Pakistan.
Questo rosario di cifre proietta l’ombra della croce su tante regioni del mondo. Ci ricorda tante guerre aperte. E soprattutto ci rammenta che dobbiamo pregare e operare per la pace. Che non possiamo accettare un mondo così. Che non possiamo rassegnarci ad esso. I martiri ci dicono che vivere il Vangelo è una cosa seria. Un asceta siriaco del IV secolo diceva: “Medita sulle sofferenze dei martiri, per poter conoscere quanto grande è l’amore di Dio”. Entriamo nella Settimana santa ricchi di questa memoria. Avviciniamoci al Signore che entra nella città santa e camminiamo con il suo cuore, con i suoi occhi, con le sue braccia, con i suoi piedi, nelle nostre città per vivere e testimoniare l’amore.