Il primo martire del Concilio

«Per Romero la fede era legata alla carità, alla difesa dei più poveri in nome del Vangelo. È quello che ha chiesto il Concilio, quello che ha sancito anche la Conferenza di Medellín». Monsignor Vincenzo Paglia si muove tra libri, appunti, documenti. E ripete, visibilmente soddisfatto, che «il decreto per la beatificazione firmato il 3 febbraio sancisce che il vescovo salvadoregno, ucciso in odium fidei, è il primo testimone della Chiesa del Vaticano II che sceglie di cambiare il mondo partendo dai poveri».
Un iter lungo e travagliato, quello della causa di beatificazione. Ci sono voluti un Papa sudamericano e 18 anni di indagine per arrivare alla decisione. «Anche se già il 20 dicembre del 2012 papa Benedetto aveva sbloccato la causa», spiega il postulatore, «non c’è dubbio che è papa Bergoglio che ci ha messo fretta».
Il nodo da sciogliere, fin dal 1997 quando monsignor Paglia istruì la causa, era se, in un contesto cattolico come si definiva il Salvador di quegli anni, fosse possibile parlare di martirio. «In altre parole, ci si chiedeva se chi si diceva cattolico potesse aver assassinato un altro cristiano in odium fidei». E non giovavano a dirimere il caso né le divisioni dell’episcopato salvadoregno, né il fatto che gli stessi mandanti dell’assassinio di Romero fossero ancora al Governo, e neppure che «una certa sinistra politica abbia cercato di impadronirsi della figura di Romero creando in altri molte perplessità. Una Teologia della liberazione segnata dal marxismo ha richiesto uno studio della causa molto più meticoloso rispetto a casi più lineari».
E sono però stati i documenti e le testimonianze, in particolare quella del capitano Alvaro Rafel Saravia, condannato per l’assassinio, a chiarire che l’uccisione era legata alla missione della Chiesa, al modo di essere prete e vescovo, a una scelta evangelica che il regime non tollerava. Era un’intera Chiesa “conciliare” che andava zittita.
«Quella di Romero», spiega monsignor Paglia, «non era una scelta politica, ma una scelta religiosa. E in questo Romero non si trovò solo. In quegli anni tanti preti, catechisti, religiosi furono uccisi perché, spinti dal Vangelo, sceglievano di stare accanto ai più deboli». Una scelta che non è dell’ultima ora. « È una forzatura», dice il postulatore, «dire che Romero si sia convertito dopo l’ingresso nella diocesi di San Salvador. Romero i poveri li amava già da prima. Ci sono molte testimonianze della sua dedizione agli ultimi, del suo essere vicino a emarginati, carcerati, prostitute, a quanti perdevano il lavoro o erano sfruttati. In più di un’occasione Romero aveva richiamato i proprietari fondiari a dare il giusto salario ai contadini. Non c’è dunque una conversione da uomo di destra a uomo di sinistra. Lui stesso dice: “La mia unica conversione è a Cristo ed è lungo tutta la mia vita”».
La salute fragile, l’estrema fedeltà a Roma, l’ortodossia evidente avevano forse rassicurato i reazionari che Romero avrebbe mantenuto lo status quo. Ma la freddezza con cui, proprio per questo, è accolto in diocesi il 22 febbraio 1977 viene subito spazzata via. Romero fa i conti con una Chiesa perseguitata, che si cerca di ridurre al silenzio. E quando, un mese dopo la sua nomina, uccidono il suo braccio destro, il gesuita Rutilio Grande, per il vescovo non ci sono più dubbi.
Di fronte a un’oppressione evidente, Romero capisce e agisce. È interessante ciò che scrive a padre Sorge, che era andato a Puebla alla Conferenza del Celam, sull’uccisione del gesuita di cui sta per aprirsi, per volere di papa Francesco, la causa di beatificazione. Romero scrive: «Quando assassinarono il mio braccio destro, padre Rutilio Grande, anche i campesinos rimasero orfani del loro padre e più strenuo difensore. Fu durante la veglia di preghiera davanti alle spoglie dell’eroico padre gesuita (…) che io capii che toccava a me prenderne il posto ben sapendo che così anch’io mi sarei giocato la vita». Romero scrive anche che «in quella notte ebbe la grazia della “Fortaleza”». Il vescovo ucciso dagli squadroni della morte mentre celebrava Messa, «primo martire del Novecento», conclude mons. Paglia, «scelse in quella notte di veglia di essere il defensor pauperum»

La vera storia del vescovo martire. Si intitola “Oscar Romero. Un vescovo tra guerra fredda e rivoluzione”, l’ha scritto Roberto Morozzo Della Rocca ed è la ricostruzione più completa della vita e dell’opera del religioso assassinato nel 1980. Pubblicato nella Biblioteca universale cristiana delle Edizioni San Paolo a soli euro 7,90, il volume ricostruisce la personalità di monsignor Oscar Romero, uomo timido e persino introverso, ma anche le sue scelte coraggiose di sacerdote al servizio esclusivo di Dio e del Vangelo.

Annachiara Valle