La nuova enciclica di Papa Francesco: non c’è modernità senza fraternità
Fratellanza. Sembra più un sentimento che un valore. Qualcosa di facoltativo che può o non può accompagnare politiche e idee pacifiche e solidaristiche. Eppure per la Chiesa, mi pare, è il più alto dei valori. Anche se le divisioni che hanno segnato la storia della Chiesa pongono seri problemi sul senso o sulla forza della fraternità già solo all’interno delle Chiese. E fratellanza, ti chiedo, è qualcosa che esclude il conflitto, lo scontro, la battaglia? Non porta in sé un elemento di rassegnazione? E, infine, quale il senso della nuova enciclica che Papa Francesco firmerà ad Assisi il 3 ottobre prossimo, alla vigilia della festa di san Francesco, che dedica appunto alla fraternità universale tra tutti?
Piero Sansonetti
Caro Direttore, questa tua domanda coglie in profondità la missione della Chiesa soprattutto in questo tempo di “cambiamento d’epoca”, come ama dire Papa Francesco. A conferma vi è la nuova enciclica che il papa firmerà il prossimo 3 ottobre e che è dedicata, appunto, al tema della fraternità. Il titolo, “Fratelli tutti”, riprende alla lettera un’espressione di san Francesco d‘Assisi. Ed è ovvio che intende rivolgersi a tutti, uomini e donne. Il tema, come giustamente dici, è parte integrante del Vangelo. Anzi, potremmo dire, che abita il cuore stesso della predicazione del Regno di Dio. E per la Chiesa è cruciale. Sebbene, come tu noti, la storia della Chiesa è fatta spesso di divisioni e separazioni. Queste divisioni, che hanno lacerato il tessuto ecclesiale, ultimamente (a partire dalla fine dell’Ottocento), hanno però spinto i cristiani a ricucire il tessuto della “fraternità”: è il movimento ecumenico che tende a riallacciare la “fraternità” lacerata. Un grande Patriarca d’Oriente del secolo scorso, Atenagora, amava dire: “Chiese sorelle, popoli fratelli”. Forse è anche a motivo di questo scandalo che la modernità rivoluzionaria – contro gli stessi ecclesiastici che lo avevano indebolito – ha fatto della fraternità una delle sue tre grandi parole, assieme a libertà e uguaglianza. Oggi papa Francesco la rilancia proprio mentre il mondo sembra averla dimenticata. La fraternità è la promessa mancata della modernità, provocando così un vuoto riempito dal primato dell’Io e dalla indifferenza verso l’Altro. E così la libertà e l’uguaglianza sono rimaste indebolite. Le conseguenze sono davanti ai nostri occhi: il mondo sociale cade a pezzi.
In una lettera inviata alla Pontificia Accademia per la Vita, Humana Communitas (2019), papa Francesco avvertiva: «È tempo di rilanciare una nuova visione per un umanesimo fraterno e solidale dei singoli e dei popoli… perché una cosa è sentirsi costretti a vivere insieme, altra cosa è apprezzare la ricchezza e la bellezza dei semi di vita comune che devono essere cercati e coltivati insieme. Una cosa è rassegnarsi a concepire la vita come lotta contro mai finiti antagonisti, altra cosa è riconoscere la famiglia umana come segno della vitalità di Dio Padre e promessa di una destinazione comune al riscatto di tutto l’amore che, già ora, la tiene in vita». Sono parole che fanno riflettere: siamo tutti interconnessi. Certo, non significa immediatamente che siamo tutti fratelli amorevoli e abitanti felici dell’unica famiglia umana. Ma tutti abitiamo nella “casa comune” che è il nostro pianeta, come si sottolinea nella enciclica Laudato sì. Distruggere la “casa comune” significa ferire a morte la stessa convivenza degli abitanti della terra. E questo ora è immediatamente chiaro. C’è un legame delicatissimo tra la famiglia umana e il suo habitat. Non rendersi conto di questo legame significa chiudere gli occhi ai drammi che ne derivano. Il Covid-19 ha fatto emergere l’inesorabilità della interconnessione sia tra l’umano e il creato, come anche nelle relazioni tra gli esseri umani. Abbiamo constatato che ogni vita è sempre vita in comune, anche se non ne siamo consapevoli. È bene far emergere tale consapevolezza: trasformarla in senso comune, attivarla come volontà generale. Insomma, bisogna passare dalla interconnessione di fatto ad una fraternità scelta, voluta, operosa: sia con il creato sia tra gli umani. Ed è su questo secondo versante che la fraternità deve ritrovare il suo spazio di consapevolezza e di decisione.
Questo è il tempo opportuno per aprire una nuova stagione per la fraternità universale nel nostro pianeta: non si tratta di un sentimento di benevolenza universale, che spesso coincide praticamente con un sogno di libertà in cui ciascuno si fa “i fatti suoi”. Si tratta piuttosto di ritornare a concepirsi come soggetti legati da una sincera disponibilità per il progetto comune di una convivenza in cui ciascuno è orgoglioso di contribuire alla protezione e alla riuscita di una vita decente e sostenibile. Soggetti capaci di incoraggiare lo sviluppo dei doni migliori e delle risorse più efficaci per il sostegno delle generazioni che seguono, in modo da non abitare la terra invano e lasciarla migliore per l’umanità che deve seguire. L’orizzonte della fraternità civile è un fattore decisivo per la convivenza pacifica tra i popoli: la pace non è figlia della competizione individuale, ma piuttosto della cooperazione solidale. Siamo chiamati a riconoscere, con emozione nuova e profonda, che siamo affidati gli uni agli altri e che tutti dobbiamo abitare e custodire l’unica casa che abbiamo. Mai come oggi – è la pandemia a mostrarcelo – la relazione di cura vicendevole si presenta come il paradigma fondamentale della nostra convivenza.
Per questo la scelta della fraternità è indilazionabile. Non possiamo più dire: «La mia libertà finisce dove incomincia quella dell’altro» e neppure: «La mia vita dipende solo ed esclusivamente da me» . Erano già due modi rozzi di pensare. Oggi, di questi luoghi comuni rimangono solo i cocci. Noi siamo parte dell’umanità e l’umanità è parte di noi: dobbiamo accettare queste dipendenze e apprezzare la responsabilità che ce ne rende partecipi e protagonisti. Non c’è alcun diritto che non abbia come risvolto un dovere corrispondente: la convivenza dei liberi e uguali è un tema squisitamente etico, umanistico, spirituale, non tecnico.
La testimonianza del carattere cruciale di questo cambio di passo è compito sul quale il Signore del Vangelo misura anzitutto i cristiani, ossia tutti i credenti che si riconoscono figli di quell’unico Padre che tutti ama e fratelli di quel Figlio che muore per tutti. Ma è anche il discrimine della dignità e del senso della vita comune – lo ha fatto chiaramente intendere Gesù, ai suoi e a tutti – per gli uomini e le donne che desiderano la pace. La costruzione della fraternità qualifica i cristiani, ma illumina gli umani. Tutti. Nessuno escluso. Se c’è un punto di avvio per l’edificazione della fraternità è l’attenzione speciale che viene rivolta agli “abbandonati” e ai “marginali”: i poveri, i piccoli, gli indifesi, i vecchi. La prossimità agli “scartati” dalla società è il punto cruciale per scardinare la dittatura del mercato che mina in radice il “noi” dell’umano. L’opzione è discriminante per qualsiasi progetto civile, ormai. Non a caso papa Francesco specifica il titolo dell’enciclica Fratelli tutti con l’aggiunta: sulla fraternità e amicizia sociale.
C’è una connaturalità tra Chiesa e fraternità. Fin dalle origini, come attesta l’appello dell’apostolo Paolo ai cristiani di Tessalonica: «Riguardo all’amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva: voi stessi, infatti, avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri» (1Tess 4, 9). L’originale greco di questo testo parla letteralmente di amore “della fraternità”. Tradurlo con “amore fraterno” non è sbagliato naturalmente. Però, anche a motivo della nostra assuefazione all’aggettivo, la traduzione perde qualcosa del sostantivo che appare nella formula originale. Il sostantivo “adelphotes”, infatti, è una formulazione originale dell’idea di comunità ecclesiale, che è propria del linguaggio cristiano. Si potrebbe scrivere anche con la maiuscola, intendendo amore “della Fraternità”. Insomma, il termine Chiesa è interscambiabile con Fraternità. Fu così usato almeno per i primi tre secoli cristiani. È tempo che il cristianesimo offra al mondo le sue parole migliori per sradicare quell’individualismo che sta corrodendo in radice il “noi” dell’umano. Certo, lo deve dire abitando la città dell’uomo e non solo il proprio recinto. È il senso della esortazione ad uscire per seminare il seme buono della fraternità in mezzo agli uomini.
E deve trovare alleati di questa semina. Sollecitare le parti migliori delle tradizioni religiose ed umanistiche perché ciascuno dia la sua parte di amore, ormai, è strettamente affine alla passione di chi “ha fame e sete di giustizia”: una pratica della giustizia separata da questa sensibilità, non è più decente. Certo, un cristianesimo troppo occupato nella cura di sé e assorbito nelle sue dispute interne deve riuscire a liberarsi dai lacci dell’autoreferenzialità e portare il suo invito nelle strade e nei crocicchi, come il Signore della parabola. Ma anche una intellighenzia laica troppo remissiva nei confronti della burocrazia del profitto, e troppo arrendevole nei confronti dell’autonomia della tecnica, deve trovare il coraggio di resistere all’infantile pulsione di seminare il dubbio nei confronti della ragione umanistica, come se fosse una debolezza ideologica della quale liberarsi. La scienza, come il sabato, è per l’uomo. Non il contrario.
Nella Lettera citata Papa Francesco, quasi preannunciando la prossima enciclica, scriveva: «La medicina e l’economia, la tecnologia e la politica che vengono elaborate al centro della moderna città dell’uomo, devono rimanere esposte anche e soprattutto al giudizio che viene pronunciato dalle periferie della terra. Di fatto, le molte e straordinarie risorse messe a disposizione della creatura umana dalla ricerca scientifica e tecnologica rischiano di oscurare la gioia della condivisione fraterna e la bellezza delle imprese comuni, dal cui servizio ricavano in realtà il loro autentico significato. Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. Il respiro universale della fraternità che cresce nel reciproco affidamento – all’interno della cittadinanza moderna, come fra i popoli e le nazioni – appare molto indebolito. La forza della fraternità, che l’adorazione di Dio in spirito e verità genera fra gli umani, è la nuova frontiera del cristianesimo
Ogni dettaglio della vita del corpo e dell’anima in cui lampeggiano l’amore e il riscatto della nuova creatura che si va formando in noi, sorprende come il vero e proprio miracolo di una risurrezione già in atto (cfr Col 3,1-2). Il Signore ci doni di moltiplicare questi miracoli! La testimonianza di San Francesco d’Assisi, con la sua capacità di riconoscersi fratello di tutte le creature terrestri e celesti, ci ispiri nella sua perenne attualità». Mi sembra non ci sia conclusione migliore che lasciarci alla lettura e rilettura di queste frasi. Qui la “lettera” e lo “Spirito” coincidono. Non è roba per “anime belle” (E nemmeno per “corpi macchina”, presuntivamente più efficienti).