La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa
Il Sinodo: evento provvidenziale
Debbo dire anzitutto che l’esperienza sinodale a cui ho avuto la grazia di partecipare è stato un evento davvero straordinario per la Chiesa di questo inizio di millennio. Lo è stato per la Chiesa cattolica con la partecipazione di circa 250 vescovi provenienti da tutte le Conferenze episcopali del mondo, e di numerosi religiosi, religiose e laici. E’ stato importante anche per le altre Chiese e Comunità cristiane che hanno inviato i loro delegati a prendervi parte. Nel cammino ecumenico, dopo che la Bibbia – almeno per il mondo protestante – è stato il motivo di profonde divisioni, oggi constatiamo che è forse il campo più propizio per intraprendere una nuova spinta verso l’unità dei cristiani. E non si deve dimenticare l’intervento del rabbino all’assemblea sinodale. In quei giorni si è respirato un clima nuovo circa l’ecumenicità e l’universalità della Parola di Dio.
Il dibattito è stato ampio e sereno anche se non sempre lineare. C’è stato anche chi, ad esempio, pensava che non fossimo sufficientemente preparati ad affrontare un tale tema (un vescovo mi diceva: “Il tema è ancora troppo acerbo, sono passati solo quaranta anni dal Concilio!”), altri temevano il rischio di dare troppo peso alla Bibbia (un altro diceva: “Dobbiamo stare attenti a non enfatizzarla troppo”). In verità, il dibattito ha spazzato via queste difficoltà iniziali e si è sviluppato in maniera robusta chiarendo gli eventuali equivoci ma riponendo le Scritture nel cuore della Chiesa. Le proposizioni finali – ne sono state elaborate 55 – rappresentano il frutto di un lungo e appassionato dibattito sia assembleare che nei diversi gruppi di lavoro. Ed è stato singolare che il Papa – diversamente dagli altri Sinodi – questa volta abbia voluto rendere pubbliche immediatamente, legandosi così ad esse per la stesura dell’Esortazione Apostolica.
Sono passati ormai più di quaranta anni dalla Dei Verbum ed era necessario porre una nuova attenzione alla Parola di Dio. Era logico che, dopo il Sinodo sulla Eucaristia, si affrontasse il tema della Parola di Dio. E’ vero che negli ultimi quaranta anni del dopo Concilio sono stati compiuti straordinari progressi nel campo biblico, tuttavia si rendeva necessaria una verifica e un nuovo sprone. Un’inchiesta internazionale su La lettura della Bibbia, consegnata ai vescovi durante il Sinodo, ed ora pubblicata nel volume Il fenomeno Bibbia, offre dati particolarmente significativi. Abbiamo rilevato anche dati relativi all’Italia, a tre città (Milano, Roma, Napoli) e all’Umbria. Un primo dato mostra che l’esortazione del Vaticano II a fare delle Sante Scritture l’anima delle comunità ecclesiali non è stata disattesa. Si è avviato uno straordinario processo di riacquisizione delle Scritture da parte dell’intera comunità ecclesiale. La riscoperta della Bibbia ha segnato profondamente la vita della Chiesa cattolica sviluppando un vero e proprio “movimento biblico” che, rispetto a quello che ha preceduto il Concilio, ha interessato la vita della Chiesa in tutti i suoi ambiti. Lo stesso Magistero ha compiuto uno straordinario progresso in questo senso.
Faccio qualche cenno a partire dai dati della citata inchiesta. Una cosa sorprende: in tutti i paesi intervistati (dagli Stati Uniti alla Russia europea, all’Italia alla Spagna, alla Germania, all’Africa del Sud, alle Filippine, ad Hong Kong…) la Bibbia è guardata con incredibile rispetto e spesso è presente nelle case. In Umbria è presente nell’80% delle case. E da essa si attendono parole importanti per la vita della società umana. Fa riflettere che la maggioranza degli intervistati – in Umbria il 58% – vorrebbe che fosse spiegata nelle scuole. C’è però un altro dato da tener in conto. La larga maggioranza della popolazione – in Umbria il 66% – ritiene la Bibbia difficile da capire, anche se viene comunque considerata sempre interessante (in Umbria la considerano interessante il 79%, mentre il 73% ne considera vero il contenuto). Una percentuale analoga risulta anche tra i “praticanti”: il 66% la ritiene difficile, l’83% interessante e l’86% vera. Ma questo cosa vuol dire? Una riflessione semplice ci farebbe concludere che la “sola Scriptura” non basta. Tutti chiedono che sia spiegata. A conferma l’inchiesta rileva una notevole ignoranza. Basti un esempio: in Umbria il 32% della popolazione pensa che i Vangeli non facciamo parte della Bibbia (il 25% dei praticanti), mentre il 14% pensa che Gesù abbia scritto qualche libro (il 12% dei praticanti); il 44% dei praticanti crede che Paolo abbia scritto un Vangelo e il 27% anche Pietro.
La gran parte degli intervistati, a livello planetario, continua a pensare che la Bibbia sia riservata al clero e non all’intera comunità ecclesiale. Ma finché i laici e i preti non comprendono che le Scritture sono affidate ad ambedue, la vita delle comunità cristiane resterà povera e poco efficace. Molti padri sinodali hanno sottolineato l’urgenza di raccordare maggiormente la Bibbia ai laici cristiani, chiamati anch’essi in prima persona a riscoprire il compito di annunciatori del Vangelo. E’ stato singolare che nel dibattito sinodale si sia posta un’attenzione particolare al compito delle donne in questo campo, sino a formulare una proposizione – da non pochi contrastata, ma che il Papa ha voluto che si lasciasse – circa il ministero del lettorato da dare anche alle donne. Non meraviglia questa decisone del Papa visto che già da cardinale non ebbe timore a scrivere: “Il popolo cristiano è il vero proprietario della Bibbia e per ciò il suo vero esegeta”. E dobbiamo augurarci che dopo l’Esortazione post-sinodale prenda avvio una nuova stagione che rimetta al centro della vita spirituale e pastorale la Parola di Dio.
La Chiesa la Bibbia e la Liturgia
Il rapporto tra la Bibbia e la Chiesa è stato uno degli snodi teorici più importanti affrontati dal Sinodo. L’orizzonte nel quale vorrei proporre qualche riflessione su “I laici e la Parola di Dio” non può non partire dal legame che c’è tra le Sante Scritture, la Chiesa e la Liturgia. La stessa Costituzione conciliare apre con l’indispensabile rapporto tra la Chiesa e la Parola di Dio. La Dei Verbum inizia: “In religioso ascolto della Parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia”. L’allora giovane teologo Joseph Ratzinger, commentava che in queste brevi parole si riassume l’essenza stessa della Chiesa, ossia una comunità che ascolta religiosamente la Parola e con fiducia la proclama. Non si sarebbe potuta esprimere meglio – continua Ratzinger – “la superiorità della Parola di Dio, il suo essere al di sopra di ogni discorso e di ogni azione degli uomini di Chiesa”. La Chiesa non appare rinchiusa in se stessa e neppure fa di se stessa l’oggetto centrale della sua proclamazione. Essa è interamente schiusa “verso l’alto…, la sua piena essenza è riassunta nel gesto dell’ascolto, unico gesto da cui può derivare il suo annuncio”. Per questo la Chiesa “non è superiore alla Parola di Dio (non supra verbum Dei est) ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella Parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio”(n.10). Durante il dibattito c’è stato qualche oscillazione su questo tema ma si è chiarito l’indispensabile legame tra Scrittura (il Libro) e Tradizione (la Chiesa intera e non solo il Magistero).
Nell’omelia di conclusione dell’assemblea sinodale, Benedetto XVI ha chiarito che “il luogo privilegiato in cui risuona la Parola di Dio, che edifica la Chiesa, come è stato detto tante volte nel Sinodo, è senza dubbio la liturgia. In essa appare che la Bibbia è il libro di un popolo e per un popolo; un’eredità, un testamento consegnato a lettori, perché attualizzino nella loro vita la storia di salvezza testimoniata nello scritto. Vi è pertanto un rapporto di reciproca vitale appartenenza tra popolo e Libro: la Bibbia rimane un Libro vivo con il popolo, suo soggetto, che lo legge; il popolo non sussiste senza il Libro, perché in esso trova la sua ragion d’essere, la sua vocazione, la sua identità. Questa mutua appartenenza fra popolo e Sacra Scrittura è celebrata in ogni assemblea liturgica, la quale, grazie allo Spirito Santo, ascolta Cristo, poiché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Scrittura e si accoglie l’alleanza che Dio rinnova con il suo popolo. Scrittura e liturgia convergono, dunque, nell’unico fine di portare il popolo al dialogo con il Signore e all’obbedienza alla volontà del Signore”.
L’inchiesta citata – quasi a confermare nella pratica il circolo virtuoso tra Bibbia, Liturgia e Chiesa – ci dice che la maggior parte dei fedeli “praticanti” ascolta la Parola di Dio solo durante la celebrazione della Messa domenicale. Alcuni dati: l’80% dei praticanti ascolta la Bibbia solo a durante la Messa della domenica, mentre solo il 3% la legge personalmente. Questo dato porterebbe a suggerire di fare della Domenica il cuore delle scelte pastorali. E all’interno della Massa c’è da recuparere il valore della Liturgia della parola. Non dobbiamo dimenticare che nonostante il notevole progresso, il cammino che ci sta davanti è enorme. Per aiutare questa coscienza sarebbe quanto mai opportuno che si riproponessero all’attenzione di tutti, preti e fedeli, le introduzioni ai Lezionari e ai diversi Messali. Questi nuovi libri liturgici formano il corpus di letture bibliche più completo che sia mai stato realizzato nella storia della liturgia. Purtroppo sono poco utilizzati e la loro ricchezza non è né compresa né vissuta.
Se vogliamo comunque che i “praticanti” si nutrano più spesso e più ampiamente della Parola del Signore è indispensabile che si nutrano delle Sante Scritture anche al di fuori della Messa. Se è vero che In Umbria solo il 29% ha letto un brano biblico negli ultimi 12 mesi, mentre il 71% mai, comprendete quale impegno ci venga chiesto. Insomma, non c’è l’abitudine a leggere le Scritture al di fuori della Messa domenicale. Se immaginiamo un laico che frequenta ogni domenica e ascolta tutte e tre le letture, la Bibbia resterebbe ancora in gran parte sconosciuta. Infatti, i Lezionari delle domeniche propongono solo il 3,7% dell’Antico Testamento e il 40,7% del Nuovo. E per quel che concerne i Vangeli si legge solo il 57,8%. Se poi si considerano anche i Lezionari feriali si arriva al 13,5% del Vecchio Testamento e al 71,4% del Nuovo Testamento. E’ ovvio che non si può – né si deve – chiedere al ciclo liturgico di esaurire la lettura della Bibbia. Ma possiamo trascurare il diritto e il dovere che i laici cristiani hanno di nutrirsi di “ogni parola che esce dalla bocca di Dio”(Mt 4,4)? I livelli generalmente modesti di conoscenza biblica che i dati dell’inchiesta riportano manifestano una situazione di gravissimo ritardo. Il percorso è ancora lungo, molto lungo, per adempiere quel che Paolo scriveva a Timoteo: “Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona”(2Tm 3,16).
Uno dei nodi cruciali del dibattito sinodale è stata l’omelia. Sarebbe necessaria una riflessione a parte. E’ interessante qualche dato. In Umbria il 77% dei praticanti apprezza l’ultima omelia che ha sentito (è una percentuale alta visto che a Napoli è il 67%, il 63% a Roma e il 65% a Milano). C’è quindi un’attenzione all’omelia da parte dei fedeli, ed è comunque la forma di comunicazione della fede da essi preferita. E questo nonostante che Carlo Bo abbia intitolato un apposito volumetto: “La predica, tormento dei fedeli”. Non possiamo però tacere la crisi che coinvolge l’omelia. Tra le prime cause della crisi delle omelie quella comunemente sottolineata è l’impreparazione del predicatore sia remota che prossima. Nelle proposizioni sinodali si chiede l’istituzione di appositi corsi nel periodo della formazione seminaristica, mentre per la impreparazione prossima, tutti possiamo parlare anche in prima persona. Non di rado, poiché presi da impegni cosiddetti pastorali, si tralascia la fatica di preparare l’omelia ritenuta tutto sommato secondaria tra gli impegni. Ed è una gravissimo errore.
Questo però non accade a caso. Vi è una ragione. A mio avviso è in questione il senso stesso dell’omelia. Molti la scambiano per una esercitazione esegetica, altri per una catechesi, altri per una spiegazione delle verità della fede, altri per generiche esortazioni morali. Insomma, non si tiene in conto che lo scopo dell’omelia è portare la Parola di Dio sino alla soglia del cuore di chi ascolta perché ne resti toccato e si commuova. Compito dell’omelia non è perciò l’esposizione di una dottrina (questo spetta ad altri momenti, come la catechesi, le diverse modalità di insegnamento, e così oltre) ma appunto portare all’incontro tra il Signore che parla e il fedele che ascolta. Il predicatore non deve stupire, ma commuovere. Potremmo continuare a lungo su questo tema, ma è netta la convinzione di Gregorio Magno: “Resta senza frutto la parola di chi insegna se non riesce a suscitare un incendio di amore”(In Ev 30,5).
Ed si deve iscrivere in questo orizzonte anche la Messa quotidiana: mai dovrebbe mancare una breve omelia. E’ una indicazione passata anche nelle proposizioni sinodali nonostante alcune difficoltà frapposte da alcuni padri sinodali. Le Sante Scritture, per loro natura, richiedono sempre l’aiuto di una spiegazione, anche breve, perché chi ascolta entri in dialogo diretto con il Signore. In tal senso è un buon segno la moltiplicazione dei sussidi per aiutare questi brevi commenti spirituali al Vangelo del giorno. Si potrebbero consegnare anche ai fedeli che non partecipano alla Messa perché pratichino, magari in famiglia, una breve lectio divina quotidiana. E’ quanto sto cercando di fare da alcuni anni nella diocesi di terni. E posso assicurare che è davvero una seminagione con frutti impensati.
La Bibbia e la preghiera
Il legame virtuoso a cui più volte ho fatto riferimento, ossia il rapporto tra “Sacra Scrittura, Chiesa e Liturgia”, è determinate che sia vissuto concretamente dalla comunità cristiana e dai singoli fedeli. Non è possibile comprendere e vivere uno dei tre poli separatamente. Le Scritture vanno lette all’interno di questo rapporto: la Liturgia Eucaristica, la cui prima mensa è quella della Parola, resta il modello per la lettura delle Scritture. Sì, le Scritture vanno lette e ascoltate come avviene durante la Liturgia Eucaristica. Purtroppo questa prospettiva è ancora lontana dalla coscienza dei fedeli. E siamo in notevole ritardo. La stragrande maggioranza dei credenti non solo non è abituata a leggere la Bibbia e tanto meno a leggerla pregando. Talora accade anche a noi del clero: siamo abituati a leggere la Bibbia per predicare agli altri ma dimentichiamo di leggerla anche per noi stessi. E noi che dovremmo essere esemplari nell’ascolto, siamo lontani da questa testimonianza che sola può renderci cedibili. Nella citata inchiesta, quando si chiede ai praticanti come pregano, solo il 9% risponde di farlo con la Bibbia, la maggior parte (in Umbria circa il 70%) prega recitando preghiere imparate a memoria oppure usando parole proprie. Qui tocchiamo uno dei nodi centrali della vita spirituale: ossia la concezione della preghiera cristiana, ridotta spesso solo a preghiere devozionali o comunque a pratiche rituali. E siamo poco attenti all’esortazione di Gesù: “Pregando non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate”(Mt6,7). Ed è per lo più assente la dimensione della preghiera come ascolto di Dio. E’ quel che Gesù disse a Marta invidiosa di Maria che stava ai piedi del Maestro per ascoltarlo: “Di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore”.
E’ indispensabile un impegno pastorale ben più sollecito e chiaro per fare della Bibbia “il” libro della preghiera di ogni credente. Su questa prospettiva si sono di fatto dilungati gli interventi di molti padri sinodali. Tra i modi privilegiati di preghiera con la Bibbia è stata sottolineata la lectio divina che è senza dubbio diffusa anche tra noi, ma che richiede un’attenzione rinnovata. Benedetto XVI ha raccomandato più volte questa dimensione della preghiera cristiana con la Bibbia: «Vorrei soprattutto evocare e raccomandare l’antica tradizione della lectio divina: la lettura assidua della Scrittura santa, accompagnata dalla preghiera, realizza il colloquio intimo con Dio, che noi ascoltiamo quando leggiamo e a cui rispondiamo nella preghiera con un cuore aperto e fiducioso (cf Dei Verbum, 25). Questa prassi, se efficacemente promossa, apporterà alla Chiesa – ne sono convinto – una nuova primavera spirituale. Non si deve comunque dimenticare – il dato emerge chiarissimo dall’inchiesta – che legge la Bibbia chi legge anche altri libri soprattutto se di natura religiosa.
La Bibbia e la vita dei cristiani
Qui si apre il vasto e disatteso campo della promozione culturale anche da parte del clero e dei nostri gruppi. A me pare particolarmente debole. E i frutti negativi sono sotto gli occhi di tutti. Il progetto culturale che avrebbe dovuto declinarsi anche in questa prospettiva mi pare latitante. D’altra parte è anche evidente dall’inchiesta che la lettura della Bibbia spinge il credente verso una vita evangelica più chiara. E’ facile che il lettore della Bibbia sia spinto ad una vita vissuta più in fraternità. E’ come se dalle pagine della Scrittura si sprigionasse una forza di comunione che allontana da quell’individualismo devozionale che caratterizza la religiosità di molti credenti, anche “praticanti”. L’esortazione di Benedetto XVI a superare la concezione individualista del cristianesimo trova qui uno dei suoi punti di forza. L’assenza della lettura spirituale delle Scritture da parte dei fedeli nell’età moderna ha senza dubbio favorito quel devozionalismo individualista che è quanto mai urgente superare. Erano sferzanti le osservazioni del vescovo di Laval, mons. Geay, all’inizio del Novecento: “Ciò che oggi ci manca è il Vangelo! La nostra decadenza cristiana non ha altra causa. Non leggiamo più il Vangelo, il Vangelo non è più conosciuto…Questo libro è scomparso dalle nostre mani”.
Fortunatamente dopo il Vaticano II non è più così. Ma quanta strada resta da fare! In questo orizzonte mi pare decisivo promuovere la lettura comune delle Scritture sia in parrocchia che in famiglia, come per passare dalla mensa dell’Eucarestia a quella di casa. Lo suggeriva, nel IV secolo, san Giovanni Crisostomo ai suoi fedeli di Costantinopoli. Egli protestava quando sentiva dire che la Bibbia era riservata ai monaci: “Si dirà da parte di qualcuno: Io non sono né monaco, né anacoreta, ho moglie e figli e mi prendo cura della mia famiglia. Ecco la grande piaga dei nostri tempi, credere che la lettura del Vangelo sia riservata soltanto ai religiosi e ai monaci… E’ un grande male non leggere i libri che recano la parola di Dio, ma ve n’è uno peggiore, credere che questa lettura sia inutile… Non ascoltare la parola di Dio è causa di fame e di morte”.
E’ necessario affermare con costanza che ogni credente deve nutrirsi della Parola di Dio ogni giorno. Questo porta a dire che ciascun cristiano dovrebbe avere la sua Bibbia personale, non semplicemente quella grande e illustrata della famiglia, ma quella personale “da tavolo”, “da borsa”, insomma quella che ci accompagna sempre, anche quando andiamo in vacanza. In verità c’è poca consuetudine ad avere la propria Bibbia e pochissima pratica di donare la Bibbia come regalo per gli amici. In verità, tutta la nostra vita, quantitativamente e qualitativamente, dovrebbe dipendere dalla Sacra Scrittura, sino a parlare di una sua egemonia. Egemonia, ovviamente, non esclusivismo. Egemonia vuol dire che tutto nel credente (come pure della Comunità cristiana) dovrebbe essere dominato da un contatto diretto con la Parola di Dio. La cultura, le scienze, la psicologia, la sociologia, la pastorale, la vita spirituale, la stessa politica, e così gli altri campi della vita; come pure i ruoli o le funzioni o i ministeri, sia dentro la Chiesa che fuori di essa, tutti debbono subire un influsso ben più determinante della Parola di Dio. Così che non solo il pastore, il teologo, il sacerdote, il seminarista, il religioso, ma ogni laico cristiano deve nascere e formarsi con il seme incorruttibile della Parola di Dio. Non dovremmo sfuggire a questa domanda: “Quanto tempo dedico alla lettura e all’ascolto della Bibbia? E quanti libri della Bibbia ho letto? Ho letto almeno una volta l’intera Bibbia?”
Leggevo qualche giorno fa che Demetrio Staniloe, un teologo ortodosso rumeno del secolo scorso, a dieci anni lesse tuta la Bibbia. E ricorda che era piena di immagini e questo lo affascinava. Cosa ne è della lettura della Bibbia per i nostri ragazzi. E si narra nei Racconti di un pellegrino russo che un monaco fece guarire diverse persone dal vizio di bere grazie al proposito, ovviamente mantenuto, di leggere un capitolo dei Vangeli ogni volta che sentivano impellente il bisogno di bere. E aggiunge un consiglio di cui possiamo tutti far tesoro: “Nelle parole stesse del Vangelo c’è una potenza vivificante, perché in esse sta scritto ciò che Dio stesso ha pronunciato. Non importa se non capisci tutto; basta che tu legga con attenzione. Se tu non capisci la Parola di Dio, i demoni tuttavia capiscono quello che leggi e tremano”. Insomma la fedeltà all’ascolto della Parola, anche senza comprendere tutto, salva la vita dall’abbrutimento.
Ecco perché è indispensabile fare delle scelte precise circa le priorità nella propria giornata. C’è anzitutto una questione temporale, ossia il tempo da dedicare alla lettura e rilettura della Bibbia, sino ad apprenderla a memoria. E se non c’è tempo per tutto, è una parte di questo tutto che deve essere sacrificato, non certo l’ascolto della Bibbia. Il declino del primato della Bibbia nella vita dei fedeli e delle nostre comunità è all’origine della fiacchezza della stessa Chiesa di fronte al mondo. Senza una rinnovata egemonia della Scrittura anche la profezia langue. E la Chiesa diventa debole nella testimonianza. L’impegno per una nuova apologetica che sta assorbendo giustamente tante forze può rischiare di rendere inefficace l’azione della Chiesa se non è illuminata dalla testimonianza effettiva di una vita evangelica. La lettura della Bibbia favorisce un umanesimo cristiano. La citata inchiesta mostra, ad esempio, che il credente che legge le Scritture informa la proprio coscienza morale anche con l’ascolto delle Scritture; e chi ha una buona frequenza biblica ha anche una più chiara coscienza della risurrezione della carne, del paradiso, come pure ha un senso più santo della vita (è più in disaccordo con la pratica abortiva, con l’eutanasia, con la pena di morte). Un dato che in Umbria raggiunge un livello pari se non addirittura superiore a quello nazionale è il seguente: il fondamentalismo biblico, ovvero l’idea che la Bibbia vada interpretata alla lettera – “parola per parola” –, è significativamente più diffuso tra coloro che hanno livelli bassi o minimi di conoscenza biblica.
La Bibbia, una parola per il mondo
La Bibbia non è solo per i credenti. Essa può aiutare gli uomini e le donne di questo mondo ad affrontare con maggior sapienza questo inizio di millennio segnato dalla crisi, dai conflitti e dalla paura. Si sente parlare di “conflitto tra civiltà”, di inevitabile scontro. In effetti, da una parte la globalizzazione rende spaesati e dall’altra la ricerca identitaria è quasi un’ossessione. In questo clima complesso e difficile c’è chi pensa che il cristianesimo debba acquisire i tratti della durezza e dello scontro per non essere travolto, come se la difesa dell’identità escluda l’incontro e il dialogo con chi è diverso da sé.
Ma è proprio questo che dalla Bibbia viene contestato. Essa infatti muove i cuori verso il vero e il bene, mette al centro Dio come padre di tutti i popoli. Ogni sua pagina è traversata da una tensione morale che coinvolge chiunque vi si accosta con cuore sincero: propone la radicale uguaglianza di tutti gli uomini e l’incancellabile dignità di ogni persona, la fondamentale unità della famiglia umana e l’insopprimibile universalità della salvezza. La lettura della Bibbia aiuta pertanto a comprendere la proprie radici e nello stesso tempo impegna al dialogo con l’Altro. Queste considerazioni hanno spinto alcuni – anche del mondo laico – a suggerire che la Bibbia venga studiata in tutte le scuole come testo che ha sostenuto in passato la nostra storia e che può ispirare anche il nostro futuro. Il cardinale Martini, anche da studioso del testo biblico oltre che da credente, afferma: “Tutta la Scrittura è pervasa da un clima di dialogo, perché racconta la storia del Popolo di Dio che è entrato via via in contatto con nuove culture e correnti di pensiero e in parte le ha assorbite, in parte ha operato su di esse un discernimento illuminante”(Martini a camaldoli 481).
Anche per chi non è cristiano la Bibbia resta un libro di grande sapienza spirituale che può cambiare il cuore. Dalle sue pagine appare una ricerca appassionata, esaltante ed a volte anche drammatica da parte degli uomini (pensiamo a Giobbe) per incontrare Dio. Ma nello stesso tempo un’altrettanto drammatica ricerca da parte di Dio che si abbassa fino a morire per cercare e incontrare l’uomo. La Sacra Scrittura è testimone dell’incrociarsi di questi due movimenti, quello di Dio verso l’uomo e quello dell’uomo verso Dio. Scrive un sapiente ebreo, Abraham J. Heschel: “La Bibbia parla non solo di ricerca di Dio da parte dell’uomo, ma anche di ricerca dell’uomo da parte di Dio. “Tu mi dai la caccia come ad un leone”, esclamò Giobbe (10,16)…Questo è il misterioso paradosso della fede biblica: Dio insegue l’uomo. E’ come se Dio non volesse rimanere solo e avesse scelto l’uomo per servirlo”(Dio alla ricerca dell’uomo, Roma 1983,p 156). Chi incontra la Bibbia con cuore sincero intercetta questo doppio movimento che è la sostanza dell’intera storia umana.
Oggi, forse più di ieri, il mondo ha bisogno della sapienza della Bibbia. E noi cristiani dobbiamo entrare nelle vicende del tempo avendo con noi la Parola di Dio. Lo spazio del dialogo, sia con i credenti in altre fedi che con i non credenti, dobbiamo tesserlo con le parole e la sapienza della Bibbia. Non dobbiamo pensare che l’incontro possa avvenire semplicemente sul piano dei “valori” o della “Carta dei diritti umani”, ritenuti in genere una piattaforma comune tra tutti. In verità il messaggio biblico, mentre impegna direttamente noi cristiani, offre anche notevoli spunti nel confronto e nel dialogo per una visione che sia davvero universale. Dalla Bibbia i cristiani ricevono non solo la fede ma anche quella sapienza e quella misericordia proprie di Dio che è padre di tutti e non solo dei credenti. E c’è fame di questa saggezza; c’è bisogno della Bibbia. Dobbiamo meditare con attenzione quanto il Signore stesso dice per bocca del profeta Amos: “Manderò la fame sulla terra, non la fame di pane, né la sete di acqua, ma la fame dell’ascolto della Parola di Dio”(Am 8,11). Sappiamo che non è Dio ma gli uomini che continuano ad affamare milioni e milioni di persone; che non è Dio ma gli uomini che fanno mancare acqua a interi popoli. Dio, invece, invia oggi la fame della sua Parola: è la fame di salvezza dei tanti popoli dilaniati dalla guerra; è la fame di compassione dei milioni e milioni di poveri sparsi nel mondo; è la fame di amore dei tanti abbandonati sparsi sia nei paesi ricchi che nei paesi poveri; è la fame di un futuro di speranza per interi continenti. Questa fame la Bibbia ci aiuta a comprenderla e ci spinge a trovare la risposta.
Un nuovo entusiasmo per le Scritture
Come non augurarsi allora che nell’intero mondo cristiano (cattolico, ortodosso e protestante) nasca un nuovo entusiasmo per la Bibbia? Lo aveva intuito già il cardinale Angelo Giuseppe Roncalli nella lettera pastorale rivolta ai suoi fedeli di Venezia per la quaresima del 1956. Scriveva: “Se tutte le sollecitudini del ministero pastorale ci sono care e ne avvertiamo l’urgenza, soprattutto sentiamo di dover sollevare da per tutto e con continuità di azione l’entusiasmo per ogni manifestazione del libro divino, che è fatto per illuminare dall’infanzia alla più tarda età il cammino della vita”.
Credo sia giunto il tempo di avviare una nuova “devotio”, una vera e propria “devozione” alle Sante Scritture. Esse sono il tabernacolo della Parola di Dio o, per riprendere l’latra immagine cara ai padri della Chiesa, la Lettera di amore di Dio per gli uomini. E l’invito che potrebbe aprire una nuova stagione dello Spirito. Lo faceva Giovanni Paolo II: “uomini e donne di tutto il mondo accogliamo questo invito, accostiamoci alla mensa della Parola di Dio per nutrirci e vivere, non soltanto di pane ma anche di quanto esce dalla bocca del Signore. La Sacra Scrittura ha passi adatti a consolare tutte le condizioni umane e passi adatti a intimorire in tutte le condizioni. La Parola di Dio infatti è più dolce del miele di un favo stillante, è lampada per i passi e luce sul cammino, ma è anche fuoco ardente come un martello che spacca la roccia”.