La riforma. Anziani, l’assistenza a “km zero”. Paglia: integriamo sanità e sociale
di Luciano Moia
Arriva il progetto di legge delega per le politiche in favore della popolazione anziana. Una norma non più rinviabile per cambiare il volto dell’assistenza socio-sanitaria con un’integrazione finalmente efficace tra due aspetti irrinunciabili. Ne parliamo con l’arcivescovo Vincenzo Paglia che, oltre ad essere presidente della Pontificia Accademia per la vita, è anche co-coordinatore della commissione interministeriale per le nuove politiche per la popolazione anziana.
Eccellenza, qual è l’obiettivo di questa legge?
La delega mette a punto una riforma dell’assistenza sanitaria, sociale e sociosanitaria.
Perché è urgente?
I fenomeni in atto – declino demografico, invecchiamento, spopolamento, aumento assoluto e relativo degli over 65 – richiedono un cambio di passo: da un sistema di attesa, a uno che va incontro ai cittadini, una sorta di chilometro zero applicato alla assistenza. Occorre governare tali fenomeni, non subirli passivamente. Occorre unificare le risposte, aumentando la presenza nelle abitazioni e dotandosi di un sistema informativo integrato. Inoltre, consapevoli del ruolo preminente del Terzo settore in questo campo, abbiamo enfatizzato, nella governance ed a ogni livello, il principio della sussidiarietà. Siamo partiti da un approfondito studio Istat per scoprire che, solo tra gli over 75, oltre 2,7 milioni di persone vivono a casa con grandi difficoltà motorie, nelle attività della vita quotidiana, senza aiuto alcuno (almeno un milione di persone) soli o con il coniuge anziano (1,2 milioni), in condizioni di povertà (almeno 500mila) Dobbiamo raggiungerli nelle loro case e nei loro territori.
Quando parla di ‘grande cambiamento’ a cosa si riferisce?
Innanzi tutto a una visione. Quella che con la Commissione Speranza abbiamo formalizzato nella Carta dei diritti degli anziani e dei doveri della comunità. In estrema sintesi: gli anziani debbono poter scegliere, devono essere rispettati, hanno diritto ad una vita di relazione, hanno diritto a continuare a imparare, lavorare, sia pure con le dovute attenzioni. E in secondo luogo, la legge disegna una vera integrazione del sociale con il sanitario e l’assistenziale a cominciare da una valutazione funzionale multidimensionale, ad oggi erogata quasi esclusivamente nell’ambito del Snn, spesso priva della necessaria dimensione relativa agli aspetti sociali, socioeconomici e dell’housing. Questo aiuta a rispondere alle necessità di chi è fragile o non autosufficiente, elaborando piani assistenziali personalizzati.
Quindi un’assistenza disegnata sui reali bisogni delle persone anziane?
Certo, in Italia partiamo spesso dai soldi che ci sono per decidere cosa farne, magari distribuendoli a pioggia. Noi cercheremo di partire dalle necessità delle persone, per decidere come meglio distribuirle. Sappiamo di anziani costretti ad un penoso peregrinare fra commissioni per i pannoloni, per i presidi protesici, per l’assistenza domiciliare e via dicendo. Integrare sociale e sanitario ha anche un altro significato, ed è quello di combattere la solitudine e l’isolamento sociale, che rappresentano non solo fattori di rischio importanti per la salute, ma sono qualcosa che affligge crudelmente tutti e in particolare gli anziani.
Ma l’Assistenza domiciliare integrata (Adi) non assolve già a queste funzioni?
Oggi la Adi è concepita come intervento prestazionale (esclusivamente sanitaria peraltro) ed utilizzata principalmente come supporto alle dimissioni ospedaliere verso la abitazione. Ne è prova la esiguità delle ore offerte annualmente per gli anziani: 18 come media italiana, con ridotti scarti fra le diverse regioni. La presa in carico delineata dalla legge delega ha invece carattere continuativo con un ingresso in uno dei cinque segmenti che compongono il continuum: servizi di monitoraggio, rete, prevenzione e inclusione sociale e digitale, Adiss (Assistenza domiciliare integrata sociale e sanitaria), servizi di cure palliative, centri diurni integrati ed assistenza residenziale articolata in residenze a carattere sociale o sociosanitario di diverse intensità). La vera rivoluzione è questa: poter essere assistiti a casa, in modo continuativo, senza essere sradicati dalla propria storia e identità ma anche senza essere lasciati soli.
La riforma riuscirà ad intervenire sulle pesanti disparità tra regione e regione?
Occorre valorizzare le grandi risorse sociali e umane del Paese, avendo però uno Stato che sa controllare, regolare e monitorare. Sarà necessaria una riforma complessiva delle norme di autorizzazione e accreditamento sia della assistenza in case di riposo e Rsa che di quella domiciliare, al fine di fornire un quadro omogeneo per tutto il Paese.
Come sarà articolata la governance?
Su due dimensioni: la prima, di carattere nazionale e generale, definita come Cipa Centro interministeriale per la popolazione anziana, e rappresenta un tavolo cui partecipano tutti i ministeri coinvolti, nonché le Regioni e i Comuni. La seconda governance è invece multilivello ma limitata alla gestione della non autosufficienza: Sistema per la non Autosufficienza (Sna).
E l’ambito residenziale?
Il segmento residenziale deve offrire la possibilità di agire come centro multiservizi, integrando capacità digitali di telemedicina ed altri servizi di rete ed inclusione, centri diurni, servizi a categorie diverse anche per età, tutti aperti al territorio, in sinergia con le famiglie, il volontariato, i percettori del reddito di cittadinanza e coloro che intraprendono il servizio civile. Tale tipo di approccio avrà la possibilità di adattare il sistema assistenziale alle realtà dei piccoli Comuni, al di sotto dei 5mila abitanti, dove massima è la concentrazione di over 80 e minima l’offerta di servizi.
Che altro per le Rsa?
Attraverso una idonea procedura di accreditamento possono qualificarsi come enti per le cure cosiddette di transizione (ricoveri di sollievo, dimissioni protette da ospedale verso casa, post acuzie e riabilitazione), mitigando così due forti criticità del sistema, rappresentate dalle carenze di personale infermieristico e Oss e dalla necessità di nuove strutture edilizie legata a quanto previsto dal Pnrr case della comunità e ospedali di comunità. Se già esistono perché non utilizzarle in questo senso?
Una riforma molto impegnativa dal punto di vista economico: sarà sostenibile?
La riforma, negli aspetti sin qui descritti, costerà nel quinquennio poco meno di 10 miliardi, di cui oltre la metà per decuplicare le ore erogate di assistenza domiciliare. Tuttavia, a regime, stimiamo un risparmio annuo di almeno 1,7 miliardi, grazie ad un utilizzo più razionale dei servizi ospedalieri e territoriali, per loro natura molto costosi.