Messa di Natale a Narni
Care sorelle e cari fratelli,
abbiamo ascoltato dal Vangelo di Luca che, appena gli angeli si furono allontananti, i pastori si dissero l’un l’altro: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. E – continua l’evangelista Luca – “senza indugio” andarono verso quella grotta. Non si misero cioè a discutere troppo su quel che dovevano fare perché gli erano sufficienti le parole dell’angelo. Ecco cos’è il Natale: andare senza indugiare troppo a Betlemme per vedere il Bambino che è nato. Ma è così il nostro Natale? E’ così il Natale di Narni? Dobbiamo riconoscere che troppo spesso si passa il Natale senza neppure ricordarsi del festeggiato: di Gesù. Il clima natalizio rischia di essere come una grande nebbia che appanna gli occhi e il cuore e che svuota di senso questa memoria che nei secoli antichi aveva diviso la storia in prima e dopo Cristo. Il Natale diviene l’affanno per la corsa ai regali, oppure l’agitazione per cosa fare, per dove andare e per molti – penso agli anziani e alle persone sole – rischia di diventare anche un momento triste perché mentre tutti fanno festa, o meglio cercano di fare festa, loro non sanno cosa fare se non far passare presto questi giorni. Per questo nel 1982 volli iniziare nella Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma il pranzo di Natale con i poveri dentro la Basilica: chi era solo doveva avere la sua famiglia, la sua sala da pranzo, il suo pranzo natalizio. Pensate, allora furono appena 35 persone. E’ divenuta ormai una bella tradizione. Lo scorso anno è stato fatto in molte città di diversi paesi del mondo raccogliendo circa 90 mila persone. Lo dice perché da tra anni una scuola di Narni Scalo partecipa nella preparazione del pranzo che si tiene nel giorno di Natale nella cattedrale di Terni. E’ un modo bello per riscoprire la verità del Natale e per prendervi parte come fecero i pastori di cui parla il Vangelo.
Cari amici, in effetti, il Natale inizia quando anche noi, come quei pastori, decidiamo di lasciare un poco la cura delle nostre pecore, ossia di non pensare più solo a noi stessi, alle nostre cose, ai nostri affanni, ma decidiamo di incamminarci senza indugio verso Betlemme: dobbiamo vedere anche noi il Bambino che è nato. Sì, abbiamo bisogno di riscoprire Gesù, dobbiamo perciò riorientare la nostra attenzione su di lui. Lo sentì con chiarezza fa Francesco di Assisi. Era il 1223 e san Francesco si trovava a Greccio. Chiamò il suo amico, Giovanni Velita, e gli disse: “Quest’anno voglio vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato Gesù nel nascere”. Francesco non voleva fare una sacra rappresentazione, come in genere si pensa; non voleva cioè fare un presepe e basta. Voleva “vedere”, voleva toccare con mano, potremmo dire, quel bambino che ci manifestava in maniera concreta, visibile, l’amore di Dio. Il Signore, infatti, pur di starci accanto ha accettato di nascere nel freddo di questo mondo. E’ il freddo che ancora oggi rende amara e triste la vita di tanti. Pensiamo alle tragedie vicine e a noi: i morti sul lavoro, come non ricordarli oggi? Sapete che questa nostra regione è purtroppo la prima in classifica in questo terribile campo! E poi gli assassini che si continuano a ripetere in Italia tra le mura domestiche; penso a Perugia tra studenti, ma anche in tante case tra familiari. E poi gli odi, i rancori, le inimicizie. Non parliamo dei paesi ove la vita è rubata in massa dai tanti Erode di questo mondo, come l’AIDS o la fame, le ingiustizie e le guerre. Gesù è venuto a nascere perché questo freddo e questo gelo che uccidono avessero termine.
Ebbene, Francesco d’Assisi voleva come toccare con mano Gesù che scendeva dal cielo per ridare agli uomini il calore dell’amore e sciogliere i cuori dalle catene dell’egoismo e dell’orgoglio che lo fanno diventare violento. Era questo il senso più profondo del primo presepe della storia. “Voglio vedere con gli occhi” il Natale di Gesù. E Francesco, come quei pastori, si diresse verso Betlemme, verso quella grotta che lui aveva voluto ricostruire. Riscoprì così la centralità di Gesù nella vita sua e del mondo.
E che non fosse una semplice rappresentazione sacra, che una volta fatta tutto va via, lo si deduce dalle parole che Francesco diceva ai suoi frati. Era sua convinzione che il Natale si realizzava non solo il 25 dicembre ma ogni volta che si celebrava la Messa. Sì, ogni Messa è Natale. “Vedete – Francesco diceva ai frati – ogni giorno il Figlio di Dio si umilia, come quando dalla sede regale scese nel grembo della vergine, ogni giorno viene a noi in umile apparenza; ogni giorno discende dal seno del Padre sopra l’altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi Apostoli apparve in vera carne, così ora si mostra a noi nel pane consacrato”. Le Fonti della vita di Francesco di Assisi raccontano che quella notte, il presepe fu una celebrazione della Messa fatta su una mangiatoia, nel freddo e nella povertà di una stalla. Francesco in quella stalla cantò il Vangelo ed ebbe in visione il Bambino e lo accolse nell’Eucarestia. Fu questo il presepe di Francesco. E’ il presepe di ogni domenica. Potremmo dire: il presepe che sta a Betlemme è l’altare che sta nelle chiese. L’altare è il vero presepe: qui il Signore nasce ogni volta che si celebra la Messa.
L’evangelista continua a narrare che i pastori, dopo aver visto Gesù, furono pieni di gioia e tornando nei loro villaggi parlavano di quel bambino a tutti coloro che incontravano. E’ la gioia che nasce dall’incontro con Gesù; una gioia profonda di cui purtroppo spesso ci priviamo perché ci lasciamo prendere dalla distrazione, dalla superficialità, dalla disattenzione. Se invece prestiamo attenzione alla celebrazione della Messa, se ascoltiamo con cura le parole del Vangelo, una gioia nuova scende nel nostro cuore, come la sentì Francesco di Assisi, una serenità ci prende dentro. Le difficoltà magari non scompaiono, ma abbiamo dentro una forza nuova che ci aiuta e sentiremo accanto fratelli e sorelle che ci sostengono. Il Natale non è un tempo vuoto che finisce con le feste. E’ un nuovo inizio perché Gesù fa rinascere in noi l’amore.
Quest’anno vorrei consegnarvi nuovamente un libro del Vangelo, quello di Matteo. Vorrei che fosse per ciascuno di voi come quel Bambino che è nato. Accoglietelo nelle vostre mani e soprattutto nel vostro cuore come quella mangiatoia accolse il piccolo Gesù. Sfogliatene ogni giorno una pagina, soprattutto in questi giorni, e sentirete nel cuore una pace in più, una scintilla d’amore in più. Natale è questo una goccia di amore di Dio che rinasce nei nostri cuori.