Messa in Coena Domini

Messa in Coena Domini

Care sorelle e cari fratelli,


con questa celebrazione iniziano i tre giorni santi nei quali l’amore del Signore raggiunge il suo culmine. Mai nella storia umana un uomo ha amato in modo così totale sino a dare la sua stessa vita per gli amici e persino per i nemici. Abbiamo ascoltato dal Vangelo di Giovanni: “Gesù, sapendo che era giunta la sua ora…dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Li amò non solo sino all’ultimo momento della sua vita, ma sino all’ultima goccia del suo sangue. Giovanni, narrando la morte di Gesù, nota che dal cuore squarciato uscì “sangue ed acqua”; neppure una goccia Gesù ha trattenuto per sé. Ecco chi sta davanti ai nostri occhi questa sera. E se di fronte a tanto amore sentiamo almeno un po’ di commozione, ringraziamo Dio, vuol dire che stiamo movendo i primi passi verso la comprensione di Gesù.


Abbiamo ascoltato dalla prima Lettera di san Paolo ai Corinzi che Gesù,  mentre stava a tavola con i Dodici, prese il pane e lo distribuì dicendo: “Questo è il mio corpo spezzato per voi”. La stessa cosa fece con il calice: “Questo è il mio sangue, sparso per voi”. Sono le parole che ripeteremo tra poco sull’altare e sarà lo stesso Signore ad invitare ciascuno di noi a nutrirsi del pane e del vino consacrati. Gesù ha “inventato” l’impossibile (del resto l’amore vero non sa creare cose impossibili?) per restarci accanto, per esserci vicino. Non solo vicino, addirittura dentro: si fa cibo per diventare carne della nostra carne. Quel pane e quel vino sono il nutrimento disceso dal cielo per noi, uomini e donne pellegrini per le vie di questo mondo: curano le malattie, liberano dai peccati, sollevano dall’angoscia, liberano dalla tristezza. Non solo. Rendono simili a Gesù, aiutano a vivere come lui viveva, a desiderare le cose che lui desiderava; fanno sorgere in noi che li riceviamo sentimenti di bontà, di servizio, di affetto, di tenerezza, di amore, di perdono. Appunto, i sentimenti di Gesù. La scena evangelica della lavanda dei piedi che questa sera ci è stata annunciata, continua a mostrare che cosa significa per Gesù essere pane spezzato e vino versato per noi e per tutti. A cena inoltrata Gesù si alza da tavola, depone le vesti e si cinge i fianchi con un asciugatoio, poi prende un bacile con dell’acqua e si mette a lavare i piedi a tutti i discepoli, anche a Giuda che sta per tradirlo. Pietro, appena lo vede avvicinarsi, reagisce: “Signore, tu lavi i piedi a me?” Povero Pietro, non ha ancora capito nulla! Anzi, pretende di capire più di Gesù. Come del resto facciamo spesso anche noi quando pretendiamo di avere l’ultima parola persino di fronte a Dio; parliamo, pensiamo, e non ascoltiamo, non crediamo. Siamo convinti di capire meglio del Vangelo e continuiamo a vivere seguendo noi stessi. È facile credersi maestri di se stessi. L’orgoglio, insieme alla rassegnazione, mettono in continuazione a tacere il Vangelo. Ma di fronte al Vangelo e al Signore il discepolo è chiamato innanzitutto a credere prima ancora che a capire.


Gesù, infatti, spiega: “Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come uno che serve”. Ecco ciò che contraddistingue il nostro Dio, ecco ciò che deve contraddistinguere la vita dei discepoli: abbassarsi, umiliarsi per servire a amare. Non si tratta di essere servili, ma servi. È facile essere servili, soprattutto di fronte a chi crediamo superiore a noi. Ben altra cosa è servire. Si tratta di vivere un amore senza misure, che sa andare incontro agli altri, perdonare, aiutare, avere pietà e compassione. Noi viviamo in un mondo rassegnato, che mette troppe misure all’amore, in cui sembra impossibile amarsi, amare soprattutto i diversi, quelli di un altro popolo, di un’altra etnia, o semplicemente anche di un’altra idea o di un altro carattere. Da qui nascono e si moltiplicano gli odi, le inimicizie, persino le guerre. I cristiani, cari fratelli, non possono accettare la logica dei maestri e dei padroni, che si impongono con la forza sugli altri, e tanto meno la logica della spada. Gesù ce ne ha dato un chiaro esempio durante la sua passione. Purtroppo l’incapacità ad amare, a umiliarsi, ad abbassarsi, contraddistingue spesso anche la nostra vita. Ma noi non abbiamo altra legge, quella dell’amore per tutti a partire dai più deboli, come amava dire Papa Giovanni.


Questo significa la lavanda dei piedi. E’ l’ultima grande lezione di Gesù da vivo: “Sapete ciò che vi ho fatto? – dice alla fine della lavanda – Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io, facciate anche voi”. Il mondo educa a stare in piedi ed esorta tutti a restarci, ossia ciascuno a difendere se stesso. Il Vangelo del Giovedì Santo esorta i discepoli a chinarsi e a lavarsi i piedi gli uni gli altri. E’ un comando nuovo. Non lo troviamo nelle tradizioni umane, tutte solidamente contrarie. Tale comando viene da Dio; ed è un grande dono che questa sera ci vien fatto.


Nella santa Liturgia di questa sera la lavanda dei piedi è solo un segno, una indicazione della via da seguire: lavarci i piedi gli uni gli altri significa essere attenti anzitutto ai più deboli, ai malati, agli anziani, ai carcerati, ai più poveri, ai più indifesi. Il Giovedì Santo ci insegna come vivere e da dove iniziare a vivere: la vita vera non è quella di pensare a sé, ma piegarsi verso i fratelli e le sorelle, iniziando dai più deboli. E’ una via che viene dal cielo, eppure è la via più umana che possiamo desiderare. Tutti, infatti, abbiamo bisogno di amicizia, di affetto, di comprensione, di accoglienza, di aiuto. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si chini verso di noi, come anche noi di chinarci verso i fratelli e le sorelle. Il Giovedì Santo, è davvero un giorno umano: è il giorno dell’amore di Gesù che scende in basso, sino ai piedi dei suoi amici. E tutti sono suoi amici, anche chi sta per tradirlo. Per Gesù nessuno è nemico, tutto per lui è amore. Lavare i piedi non è solo un gesto, è un modo di vivere. 


Al termine della Liturgia


Terminata la cena, Gesù si incammina verso l’orto degli ulivi. Da questo momento non solo si inginocchia sino ai piedi dei discepoli, scende ancora più in basso, se è possibile, per dimostrare il suo amore. Nell’orto degli ulivi si inginocchia ancora, anzi si stende a terra e suda sangue, per il dolore e l’angoscia. Lasciamoci coinvolgere almeno un poco da quest’uomo che ci ama di un amore mai visto sulla terra. E mentre ci fermiamo davanti al “sepolcro”, diciamogli il nostro affetto e la nostra amicizia. Quanto sono amare quelle parole che disse ai tre che stavano con lui nell’orto: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?” Oggi, più che noi, è il Signore ad aver bisogno di compagnia e  di affetto. Ascoltiamo la sua implorazione: “L’anima mia è triste sino alla morte; restate qui e vegliate con me”. Chiniamoci su di lui e non facciamogli mancare la consolazione della nostra vicinanza. Signore, in quest’ora, non ti daremo il bacio di Giuda, ma come poveri peccatori ci chiniamo ai tuoi piedi e, imitando la Maddalena, continuiamo a baciarli con affetto.