Omelia per la festa di San Giovenale
Signor Prefetto, caro Sindaco, gentili autorità, carissimi sacerdoti, care sorelle e cari fratelli,
c’è un canto che oggi esce sulle nostre labbra ma che in verità sale dal profondo di questa nostra città, un canto che ha unito e che continua ad unire generazioni di narnesi: “Su Narni vigila, sui figli tuoi”. E’ l’invocazione che rivolgiamo al santo patrono Giovenale. Certo, oggi queste parole risuonano in maniera tutta particolare, e il nostro raccoglierci attorno al Patrono ci spinge a comprendere con maggiore profondità il senso di questa festa, il senso di questa memoria che riempie la cattedrale. Non è solo un caso che siamo tutti qui, e non è semplicemente una bella ma banale tradizione. Oggi noi siamo l’ultimo anello di una catena di credenti che scende nelle profondità della storia di Narni; siamo l’ultimo anello di generazioni e generazioni di credenti, ed anche di non credenti, che in questa cattedrale sentono custodito il loro cuore. Quando i nostri antichi hanno chiamato san Giovenale “Patronus, Gubernator et Defensor civitatis” esprimevano questa convinzione. E la cattedrale, come in uno scrigno, custodisce questo tesoro prezioso che è la vocazione stessa di Narni. Potremmo dire che è questo anche il senso dell’affresco che appare nel lato destro della controfacciata che mostra la firma degli statuti della città nella cattedrale.
Potremmo dire che San Giovenale in qualche modo riassume la storia o meglio la vocazione stessa di questa nostra città. La sua testimonianza infatti non è un ricordo congelato nel passato. Dalla sua fede nel Signore è sgorgato in lui un grande amore per Narni e per la sua comunità. E per difendere questa fede e questa comunità ha dato la sua stessa vita. Eppure non era di origini narnesi; veniva dall’Africa. Da dove dunque la sua passione per questa nostra città? Dal Vangelo dell’amore che Giovenale accolse e visse con passione. E’ questo suo modo di vivere l’amore ciò che affascina noi tutti ancora oggi. E per questo crediamo che la sua memoria sia un cuore che pulsa e che irrora il sangue nelle nostre vene. Per questo cantiamo “Su Narni Vigila, sui figli tuoi”. Non lo cantiamo ad un morto, ma ad uno che vive. Giovenale ha vegliato su Narni da quando fu consacrato vescovo. E sapete che la parola vescovo vuol dire appunto vigilare. Giovenale conosceva infatti le parole dell’apostolo Paolo che abbiamo ascoltato oggi nella prima lettura: “Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue”(At 20,28). Giovenale ha vegliato sulla città e i narnesi ne hanno sentito il beneficio. Non ha pensato solo a se stesso, è vissuto fino alla fine perché la città fosse serena e salda nella pace. Per custodire questa memoria le generazioni che ci hanno preceduto hanno edificato nei secoli questa splendida cattedrale. In essa, come in nessun altro luogo della città, pulsa la nostra storia, l’intera vicenda di Narni dalle origini sino ai nostri giorni. Sì, questa cattedrale raccoglie la nostra storia, qui troviamo la nostra vita, non solo quella religiosa ma anche quella civile. Non si tratta di confondere i piani ma di scendere nelle radici della identità narnese.
Sì, l’anima di Narni parte di qui, da San Giovenale, da questa cattedrale. E’ una storia che inizia dal 7 agosto del 376, quando il corpo di San Giovenale venne sepolto in un piccolo ambiente naturale accanto alle mura. Ebbene, di qui il vescovo Cassio iniziò a costruire il primo luogo di culto, come a prendere alla lettera la parola evangelica della casa costruita sulla roccia. In questo caso è la roccia di un amore fino all’effusione del sangue. E’ qui la radice della memoria di san Giovenale. Egli ci sta davanti come uno che ha amato il Signore e i “figli suoi”, i narnesi, più della sua stessa vita. Vorrei, care sorelle e cari fratelli, che oggi noi tutti prendessimo più coscienza di questo tesoro che ci è stato donato. Questa cattedrale lungo i secoli è cresciuta e si è edificata su questa memoria. Personalità religiose e civili, uomini nobili e gente comune, lungo questi secoli hanno partecipato alla edificazione di questo santuario. Nel 1145 la cattedrale trova il suo completamento e viene lo stesso papa Eugenio III a consacrarla. Dopo l’ampliamento dell’abside, fatto nel secolo XIV, con il ritrovamento del corpo di san Giovenale avvenuto nel secolo XVII, viene costruita la cripta con il baldacchino dell’altare, per dare degno rilievo alla sua memoria, mentre gli artisti hanno continuato ad abbellire e a rendere sempre più splendida questo tempio santo.
Oggi siamo ancora raccolti dentro queste mura che ci consegnano questa storia santa di cui siamo figli. Essa ci viene consegnata nelle mani perché porti linfa nuova per costruire anche oggi quella civiltà dell’amore che era già in nuce nella testimonianza di San Giovenale. Sì, anche noi dobbiamo continuare ad edificare questa nostra città, non più con le pietre ma con le persone, con uomini e donne che sanno raccogliersi e unirsi per edificare un futuro migliore per sé e per tutti. Certo, i tempi che viviamo sono ben diversi da quelli delle generazioni che si sono succedute lungo i secoli e che hanno costruito sino ad oggi questa città. Narni, all’inizio di questo nuovo secolo, sta vivendo un momento non semplice di transizione come, del resto, questo intero nostro territorio. Davanti a noi c’è un futuro che non è ancora chiaro. Ma senza alcun dubbio ci è chiesto, per affrontarlo in maniera adeguata, di un nuovo slancio, di una rinnovata energia. E’ per questo che raccoglierci attorno a San Giovenale non è senza significato, e non può essere solo un semplice rito esteriore. Le sfide che abbiamo davanti sono alte e per nulla banali. Non ci è permesso di distrarci, di rinchiuderci ciascuno nel proprio piccolo orizzonte, non possiamo dire ciascuno salvi se stesso. La lista dei problemi è già essa stessa lunga. Non è questa la sede per parlarne, ma basti pensare ai problemi del lavoro: da quelli che riguardano i giovani di Narni la gran parte dei quali guarda il proprio futuro oltre questa terra, a quelli degli insediamenti del polo chimico su cui pesa la questione dello sviluppo, dell’energia e della stessa occupazione. Ci sono i problemi legati alla difesa della vita, come non difenderla? E quelli legati all’ambiente, come non difenderlo? E non posso tacere la preoccupazione che sento alta per i più piccoli, per nostri ragazzi; sì, per i nostri adolescenti che vorrei sottrarre, mentre siamo forse ancora in tempo, a quei mercenari che li avvelenano mentre stanno aprendosi alla vita. Già questi cenni mostrano l’urgenza dell’impegno di tutti.
E’ urgente raccoglierci assieme e individuare alcune priorità su cui convergere per reinventare il nostro futuro. Certo, dobbiamo cogliere l’identità profonda di Narni. Un giovane ingegnere venuto a Narni in vista del lavoro, il 3 maggio del 1904, scrisse una cartolina alla sua fidanzata e notò: “L’Umbria è bella, Narni è bellissima”. Dobbiamo cogliere le nostre potenzialità, le ricchezze che fanno parte della nostra storia: quelle relative all’industria, quanti brevetti sono stati realizzati nei nostri stabilimenti!; quelle che hanno permesso vivaci iniziative solidaristiche e una notevole capacità di accoglienza; quelle che vedo affacciarsi nel variegato campo della cultura, e che possono espandersi con molta più decisione. E altre ancora. Ma dobbiamo anche essere coscienti che conserveremo la nostra identità solo se sapremo metterla in dialogo con le altre presenti attorno a noi e oltre noi. E’ necessario raccoglierci assieme e avere l’audacia per un nuovo futuro. In questa prospettiva penso ad un momento di dialogo nell’intero territorio per riflettere assieme sull’oggi e sul domani di questa nostra terra.
Care sorelle e cari fratelli, nella Lettera Pastorale che ho consegnato all’intera Chiesa diocesana, La via dell’amore, ho indicato la via sulla quale muovere i nostri passi. E’ la stessa via che già San Giovenale ha percorso e con lui anche San Valentino e Santa Firmina. E’ una via larga, tanti possono percorrerla, anche chi non crede può incamminarsi su questa strada. Ma a tutti chiede un cambiamento nel cuore. Sì, non si può percorrere questa via senza abbandonare almeno un poco il proprio egocentrismo, l’amore solo per le proprie cose, la preoccupazione solo per i propri affari, piccoli o grandi che siano. C’è bisogno di allargare il proprio cuore alle preoccupazioni degli altri, all’amore per chi è più debole, all’interesse per il bene comune di tutti. Sì, abbiamo bisogno tutti di avere un cuore un po’ più largo di quello che abbiamo. E l’invito vorrei farlo in maniera forte alle nostre parrocchie. Ieri è stata la società civile, Narni e il contado, a presentare i ceri al Patrono. Oggi sarete voi. A voi il compito di far risplendere della fiamma dell’amore in questa terra. Tanti ancora hanno bisogno di essere amati, di essere esortati, di essere aiutati. Fate oggi quel che San Giovenale faceva ieri. Cari sacerdoti, cari fedeli, aprite il vostro cuore al vangelo, come fece San Giovenale, è Narni si aprirà all’amore. Amen.