Ordinazione diaconale Marco Decesaris, Stefano Monai e Sergio Rossini
Care sorelle e cari fratelli,
questo giorno santo nel quale riviviamo la vittoria dell’amore sul male e la morte, è come arricchito, se è possibile arricchire la gioia della domenica, dal conferimento del diaconato a tre giovani della nostra Chiesa diocesana, scelti dal Signore per il Suo servizio. Lo sappiamo bene, e lo sapete anche voi, carissimi Marco, Stefano e Sergio, che prima ancora di essere una vostra scelta, il diaconato è una scelta del Signore. Egli ha rivolto il suo sguardo su di voi e vi ha accolto nel primo grado del ministero ordinato. Il Signore ha guardato le folle stanche e sfinite di questo nostro mondo, ha visto il bisogno di amore e vi chiede di unirvi a Lui nel ministero del servizio. Oggi – a nove anni dal dramma delle “torri gemelle” distrutte dalla follia omicida di servi del male – oggi gli occhi di Dio sono ancor più commossi e addolorati. Essi continuano a lacrimare per gli odii e le guerre che ancora si abbattono sull’umanità. Come non unirci al pianto di Dio per i milioni di vittime dei disastri del Pakistan, dimenticati da tutti? Come non unirci al pianto di Dio per i bambini e gli anziani abbandonati, per gli zingari espulsi, per la durezza di chi potrebbe aiutare e si lascia invece schiavizzare dall’amore solo per sé? E’ da questo pianto che nasce la vostra vocazione, la chiamata che Dio ha fatto anche a voi per mettervi al servizio della Sua misericordia. Sì, il ministero del diaconato è ordinato alla misericordia di Dio che deve essere attuata tra gli uomini.
In tal senso la pagina evangelica è l’orizzonte nel quale vi viene conferito tale ministerpo. Sì, il Signore vi strappa dalle grettezze dei vostri orizzonti personali, dai piccoli sogni di realizzarsi in qualche modo, dai progetti individuali anche buoni, per farvi partecipi del suo sogno di amore sul mondo. Oggi, il ministero del diaconato, vi allarga il cuore e gli occhi perché somiglino al cuore e agli occhi di Dio. Certo, partecipare al sogno di Dio, significa anche rinunciare ai propri piccoli sogni, lasciare prospettive anche lecite, ma quel che vi viene donato è immensamente più grande e più gioioso. Oggi entrare nella felicità stessa di Dio. Con l’ordinazione è come se Dio vi dice: “Ralle¬gratevi con me”. Sì, chi entra nel sogno della misericordia può partecipare già oggi alla gioia del Signore: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora – la mia dramma – che era perduta”; e a tutti noi, ma anche a voi in maniera particolare, dice: “Por¬tate qui il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita”. E’ l’esplosione della gioia del Signore nel vedere che i poveri sono amati, i piccoli sono accolti, i peccatori, ritrovano la via dell’amore, la pace si allarga sul mondo. E’ quel che accade ogni domenica nella Santa Eucarestia. E voi siete quei “servi” a cui è affidato in maniera tutta particolare il servizio dell’amore. Venite consacrati all’altare perché lo serviate con dedizione. Qui aiuterete il sacerdote alla mensa della Parola e dell’Eucarestia. Il Padre, che ogni domenica ci vede venire e che scende di corsa per abbracciarci come fece con quel figlio, chiede a voi di essergli vicino per servire la festa, per far festa anche voi con tutti. A voi è chiesto anzitutto la cura della Domenica perché sia una festa. E lo ricordo oggi mentre stiamo riprendendo maggiore coscienza della centralità di questo giorno anche per la catechesi. Sì, la cura perché l’Eucarestia sia la festa alla quale tutti vengano e possano viverla, è il primo grande servizio che dovete rendere al Signore. Da oggi la vostra gioia non sta in altro se non nel servire questa festa di Dio per i suoi figli. Il Padre – e con Lui la santa Madre Chiesa – vuole che la medicina della misericordia sia il segno distintivo della sua azione pastorale in questo tempo.
Certo, vedendo l’atteggiamento dei due figli, sia del minore che abbandona la casa paterna sia del maggiore che ha un cuore duro e che finisce anche lui per lasciarla, verrebbe da dire: “povero Padre” e “povera madre” con questi due figli! Hanno tutto: il padre ricco e una casa grande; servi che li accudiscono e possedimenti di cui godere. Hanno tutto, ma in comune. Ma essi preferiscono la propria grettez¬za. Il minore dice: «Padre dammi la par¬te del patrimonio che mi spetta». Insomma, preferisce una parte al tutto. Mostra così quel fastidio che tutti abbiamo per il “noi”. Sì, preferiamo l’io al noi; e questo perché vogliamo essere padroni assoluti di noi stessi e della nostre cose: «Dammi quel che mi spetta! ». Quanto spesso è anche il nostro triste ritornello quotidiano! Vita dissoluta, significa vita sciolta da ogni vincolo, ossia fare quel che mi pare, vivere da solo per i fatti miei. Sì, povero padre, povera madre! Anche noi spesso siamo simili a quel figlio minore, come pure al figlio maggiore, che fu ugualmente egoista. Infatti, non ap¬pena gli fu riferito il motivo della festa, si adirò contro il padre e non volle entrare. Rifiuta la festa e la misericordia; preferisce un capretto per lui e qualche amico al vitello grasso e alla tavola imbandita con il fratello e tutti gli altri. Sembra strano che non si lasci prendere da quella festa; ma così accade ogni volta che ciascuno vuole la festa solo per sé. Il Padre gli dice: «Ma tutto ciò che è mio è tuo». Quel figlio però preferi¬sce rimanere fuori, nervoso e triste; sembra incredibi¬le, eppure è così.
Carissimo Marco, Stefano e Sergio, questi due figli non sono lontani da noi; convivono nel cuore di ciascuno di noi, tutti siamo accomunati dalla stessa voglia di avere tutto per sé. Ed è esattamente l’opposto di quello che desidera il Padre. Ma in questo modo tutti ci autocondanniamo alla tristezza. Oggi, però, la vostra ordinazione diaconale ci ricorda a tutti che c’è il sogno della misericordia di Dio sul mondo. Sì, sappiamo che nella Chiesa ci sono figli come quelli della parabola, ma sappiamo ancor più che c’è anche l’ordinazione diaconale, ossia la riproposizione forte e solenne, straordinaria e festosa, dell’amore per gli altri. Sì, dove nella altre società ci sono ordinazioni che sanciscono la vocazione del servizio? Per questo siamo orgogliosi di questa casa con un Padre come il Signore e una Madre come la Chiesa. E la festa, nonostante le nostre miserie e i nostri abbandoni, ci viene incontro ogni domenica. E voi, cari diaconi, ne siete i servi.
La domenica è il giorno benedetto che ci fa gustare la festa della misericordia. Lasciatevi affascinare da questo servizio, gustatelo. E anche noi, cari confratelli sacerdoti e cari fedeli laici, lasciamoci travolgere dalla festa della domenica. La domenica infatti ci allarga il cuore, fa cadere i muri, apre le porte della nostra mente, ci fa vedere lontano verso il mondo, verso i poveri. La domenica è larga, come larga è la misericordia di Dio. La domenica è ricca, non gretta; è piena di sentimenti, più bella dei nostri istinti banali e scontati. La domenica è il giorno santo in cui Dio ci rende uomini e donne più felici. Un antico inno, com¬posto dal santo vescovo Giovanni Crisostomo, canta¬va: «Se uno è amico di Dio, goda di questa festa bel¬la e luminosa. Chi ha lavorato e chi non l’ha fatto, chi è nella pace e chi è nel dolore, chi si è smarrito e chi è stato a casa, chi è appesantito e chi è sollevato, tutti vengano e saranno accolti. La santa liturgia è festa, è perdono, è abbraccio di Dio per ognuno».
L’Eucarestia che siete chiamati a servire divenga come il fuoco che brucia, e vi spinga ad essere sempre ministri della gioia ovunque c’è tristezza, ministri dell’amore ovunque c’è povertà e debolezza. Nella preghiera di consacrazione si ricorda l’istituzione dei sette diaconi da parte degli apostoli. I sette furono scelti per aiutare gli apostoli nel servizio alle mense della carità. Sì, dopo quello per la mensa della parola e della Eucarestia viene anche il servizio alla carità. L’ho ripetuto spesso: non si possono separare le due mense. E vedo invece che ancora resiste la concezione riduttiva della Eucarestia come se fosse una pratica devozionale privata slegata dai giorni feriali e soprattutto dalla carità di ogni giorno. E qualcuno osa ancora parlare di spiritualità per il primo altare, quello dell’Eucarestia, e di servizio sociale per il secondo, quello dei poveri. Ma è stato forse diviso il Corpo di Gesù? Care sorelle e cari fratelli, non c’è differenza tra l’Eucarestia e i poveri, in ambedue è presente il Cristo. E voi, carissimi diaconi, oggi ricordate a tutti noi che dobbiamo riscoprire il diaconato che è presente nel vescovo, nei preti e nei fedeli. Ci ricordate cioè il primo compito della Chiesa che è appunto servire l’Eucarestia e amare i poveri. E questa è la festa che cambia il mondo e lo contagia nella gioia. Tutti siamo chiamati ad essere servi di questa, servi della misericordia, servi dell’amore. E’ esattamente l’opposto della tristezza di quel che accadde l’11 settembre a New York, di quel che accade ancora oggi quando cacciamo gli stranieri, quando facciamo prevalere gli interessi personali a quelli di tutti, quando ciascuno pensa prima a se stesso che agli altri. Ed è qui la ragione della tristezza di questo nostro mondo e delle nostre città.
So, bene che questa dimensione del servizio non è naturale. E’ un dono di Dio e va chiesta la benedizione per accoglierlo. Per questo vi stenderete per terra e assieme invocheremo il Signore per voi, perché vi dia la grazia e la gioia di servire. E chiedendolo per voi lo chiediamo per l’intera Chiesa diocesana perché faccia crescere nelle nostre terre la festa dell’amore e della misericordia. Domani ci recheremo in pellegrinaggio alla Madonna del Ponte. E, assieme a Maria, diremo: “Ecco la serva del Signore – ecco i tuoi nuovi tre servi – avvenga di noi quel che Tu, o Signore, hai detto”. E così sia.