Pasqua 2010 – Messa crismale
Care sorelle e cari fratelli, carissimi sacerdoti e diaconi,
la celebrazione della Liturgia crismale è uno dei momenti nei quali il volto della Chiesa diocesana appare con maggiore chiarezza. La stessa cattedrale sembra accorgersene e fa festa. E ne ha motivo, perché attorno a questo altare si realizza il “Christus totus”, la Chiesa Corpo di Cristo. Il Concilio Vaticano II ci dona le parole per comprenderlo: “In ogni comunità che partecipa all’altare, sotto la sacra presidenza del Vescovo, viene offerto il simbolo di quella carità e ‘unità del Corpo mistico senza la quale non può esserci salvezza’. In queste comunità, sebbene spesso piccole e povere e disperse, è presente Cristo, per virtù del quale si raccoglie la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica”(LG 26). Il Corpo di Cristo che è la Chiesa non è un’opera umana, è un dono che Dio concede a coloro che ha chiamati. Per questo non ci è dato a noi di giudicare se la comunità ecclesiale ci sia o no. Essa c’è perché ogni volta che si realizza l’Eucarestia attorno al Vescovo, la Chiesa è data. E ci è donata in maniera ampia, universale. Non siamo una parte, ma il tutto. Purtroppo non è scontato averne coscienza. Spesso infatti giudichiamo con le nostre categorie, guardiamo con i nostri occhi e non con le categorie evangeliche e gli occhi di Cristo. Siamo legati gli uni agli altri dal sangue di Cristo, dal battesimo che abbiamo ricevuto, dall’Eucarestia di cui ci nutriamo.
Certo, è un dono straordinario per noi. Ma chiede di essere accolto, sostenuto, fatto crescere. La comunione possiamo paragonarla alla parabola dei talenti: li riceviamo in dono ma dobbiamo farli fruttare e non sotterrarli nel terreno del nostro individualismo. L’individualismo è un virus che indebolisce la vita delle comunità cristiane e quindi della stessa proposta evangelica. Più volte ne abbiamo parlato, aggiungendo anche l’altro virus conseguente, ossia il virus dell’individualismo pastorale. Questa liturgia crismale ci ricorda la fonte della comunione. La consacrazione degli olii santi ci “costringe” a convenire in cattedrale. Solo qui infatti si consacrano gli olii. Non altrove. Tutti noi, da me vescovo a voi sacerdoti e diaconi assieme a voi cari fedeli membri dei Consigli pastorali parrocchiali e gli altri, formiamo quella Famiglia di Dio nella quale siamo generati, educati ed inviati nel mondo. La Chiesa della quale siamo membri è la nostra Madre, da cui tutto riceviamo.
E permettete che mi rivolga anzitutto a voi cari sacerdoti che siete i primi collaboratori del Vescovo, come si legge nel rito di ordinazione. Ricordo ancora l’emozione del primo incontro con voi, dieci anni, nella mia prima celebrazione crismale. Desidero ringraziare tutti voi, uno per uno, per il vostro impegno. Chiedo al Signore di accogliere tutti coloro che in questi anni ho, abbiamo, accompagnato al Signore, in particolare mons. Gualdrini, con il quale avevamo parlato di celebrare dopo tanti anni la Settimana Santa assieme. Lo facciamo ma in maniera diversa da come avevamo previsto. E poi mons. Marchetti, l’ultimo che abbiamo consegnato nelle mani del Signore. Mancano alcuni sacerdoti tra noi, questa sera. Li ricordiamo tutti, in particolare Mons. Brodoloni che sta fuori per riprendersi meglio e don Marco impossibilitato a muoversi per un problema al piede. Il mio grazie, assieme a quello di tutta la Diocesi, è per tutti voi, carissimi sacerdoti, presenti e non. Cosa sarebbe la vita della nostra Chiesa senza di voi? Basterebbe anche solo guardare alle Eucarestie celebrate, alle assoluzioni impartite, ai sacramenti amministrati, alle consolazioni offerte, per dirvi la gratitudine non solo dei credenti ma delle nostre stesse città. E desidero sottolineare tale gratitudine in questo tempo nel quale sembra scatenarsi un vile e ingrato attacco all’intera Chiesa e in prima persona a Benedetto XVI. Desidero dirvi il mio grazie. Certo, è decisivo che la nostra testimonianza sia ancor più alta. Viviamo in tempi nei quali noi sacerdoti, e l’intera Chiesa, deve essere grande nell’amore e nella testimonianza evangelica. La tristezza per quanto sta accadendo richiede da noi uno scatto di testimonianza.
Non mi addentro su tutto ciò che il mio cuore vorrebbe dirvi. Ma un cenno almeno desidero farlo sulla questione del celibato, che viene evocato in maniera del tutto fuori posto. Da più parti viene criticato. Care sorelle e cari fratelli, la nostra vita di non sposati è oggettivamente paradossale. Vivere senza sposarsi è stato sempre difficile comprenderlo. Ma in una società, come la nostra, che ha fatto della cura del copro e del sesso i nuovi idoli, il celibato è del tutto incomprensibile, anzi ingiustificabile e persino mutilante. In verità, la nostra paradossalità rende più umano il nostro mondo. Infatti, non prendere moglie significa far inceppare il meccanismo di una ragione tutta tesa a soddisfare il proprio orizzonte eliminando ogni “oltre”. Il celibato infatti richiede un “oltre” che la ragione difficilmente comprende senza una rivelazione, senza un aiuto dall’Alto. Ma come si sconfigge una mentalità che porta a ritenere giusto quel che piace senza porsi il problema degli altri? Certo, carissimi sacerdoti, è urgente un impegno nuovo perché si irrobustisca la nostra fraternità e cresca la comunione che il Signore non cessa di donarci per stringerci ancor più saldamente tra noi e con i nostri fedeli. Mons. Romero, che fu ucciso trenta anni fa, diceva che i cristiani e particolarmente i preti sono chiamati ad essere martiri, ossia a dare la propria vita per gli altri. Ebbene il celibato è un modo di dare la vita. Il mondo ne ha bisogno.
Sono contento che nella nostra diocesi riusciamo – sebbene ancora non pienamente – i sacerdoti delle singole Vicarie si ritrovino assieme ogni settimana. E’ una grazia straordinaria, di cui rendo lode al Signore. Questo sottolinea la realtà primaria dell’unico presbiterio. Tale coscienza deve crescere ancor più. Questo richiede un’opera quotidiana sul nostro cuore, sui nostri pensieri, sul nostro tempo. E deve partire insistente la preghiera perché sorgano nuove vocazioni al sacerdozio. Alla preghiera deve seguire la gioia del nostro volto. Tutti dovrebbero vedere nei nostri occhi la gioia di essere preti. Ringraziamo il Signore per i seminaristi che abbiamo. In settembre saranno ordinati tre nuovi diaconi a servizio della nostra Chiesa. E presto li vedremo salire l’altare del sacerdozio.
Care sorelle e cari fratelli, il nostro essere l’unico Corpo di Cristo è strettamente legato alla missione che Gesù stesso ha vissuto e che continua ad affidare ai discepoli di ogni tempo. E’ in questo orizzonte che richiamo il tema che da vario tempo ci accompagna, ossia il rapporto tra Eucarestia e Città. E’ cresciuta, almeno un poco, la coscienza che la nostra fede ha una indispensabile dimensione missionaria: siamo cristiani non perché ciascuno si salvi ma per dare un’anima al mondo, per aiutare gli uomini a vincere la solitudine e a raccogliersi nel popolo del Signore. La Chiesa – le nostre comunità – non esistono per se stesse ma per comunicare il Vangelo al mondo. Quanto abbiamo ascoltato dal Vangelo di Luca va applicato anche alla nostra Chiesa diocesana. Gesù quel sabato lesse nella sinagoga di Nazaret il passaggio di Isaia: “Lo Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha mandato ad annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare la libertà ai prigionieri e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore”. Terminata la lettura commentò: “Oggi si adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”. Anche noi dovremmo dire “oggi, si adempie questa Scrittura”. Siamo mandati nelle nostre città, nei nostri paesi, sino ai confini del mondo, per aiutare gli uomini e le donne di questo nostro tempo a liberarsi dal male e dalla tristezza, dalle innumerevoli oppressioni e schiavitù che rendono amara la vita di tanti.
E’ in questo orizzonte che desidero iscrivere anche il novo volto che desideriamo dare alla iniziazione cristiana. E’ da qualche tempo che stiamo riflettendo su questo tema. Tutti siamo consapevoli della debolezza della catechesi così come è condotta sino ad oggi. E cresce ne frattempo la preoccupazione per la tristezza nella quale vivono tanti dei nostri ragazzi. Abbiamo ascoltato tutti quel che è accaduto in una scuola media qualche settimana fa. Non possiamo tralasciare la responsabilità che la comunità cristiana tutta ha di far crescere in sapienza e grazia i suoi figli più piccoli. Abbiamo individuato il cardine attorno a cui tutti deve ruotare l’iniziazione cristiana: la Comunità raccolta nella e dalla Eucarestia.