Pasqua 2011 – Messa crismale
Care sorelle e cari fratelli, carissimi sacerdoti e diaconi,
questa celebrazione crismale ci raduna attorno all’altare del Signore immediatamente prima di entrare nel Triduo Santo della Pasqua. La tradizione della Chiesa ne fa un momento unico nella vita delle Chiese diocesane. E’ stata collocata, fin dall’antichità, all’inizio del Triduo Santo perché gli Olii santi fossero pronti per i sacramenti della Iniziazione Cristiana da amministrarsi nella Notte di Pasqua. L’alto significato cristologico, come appare anche dalle Scritture che sono annunciate, ha spinto inoltre a radunare l’intero presbiterio, con il vescovo, per concelebrare questo straordinario mistero di santità e di missione: “Lo Spirito del Signore è su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio”(Lc 6,18). La Liturgia chiede ai sacerdoti di rinnovare, davanti al vescovo e alla comunità cristiana, le promesse fatte nel giorno della ordinazione sacerdotale, come a rinnovare sia l’unzione che la missione. Tutti, e in particolare noi, cari sacerdoti, vediamo la bellezza dell’essere un unico presbiterio raccolto attorno all’altare del Signore. Il mistero del sacerdozio ordinato si rende visibile in maniera singolare questa sera.
C’è una grazia nel vedere con gli occhi, almeno una volta l’anno, cos’è il nostro presbiterio. Ed è facile capire cosa significa l’unità dei sacerdoti: siamo legati gli uni agli altri dall’altare che è il cuore del nostro sacerdozio, il centro, anche fisico, della nostra corona, un legame più profondo della coscienza che ne abbiamo. Questa sera, semmai, siamo invitato a riscoprirlo ancora di più. E, parafrasando un’altra affermazione che ci è stata detta nel giorno della ordinazione, potrei dire a tutti voi: “Siate quel che vedete!”. Vivete e fate vedere questa comunione. Certo, richiede da parte nostra l’impegno a superare diffidenze e pigrizie, ma solo se ci vogliamo bene possiamo vivere appieno il nostro sacerdozio.
Per questo cari sacerdoti desidero sottolineare l’importanza degli incontri comuni, particolarmente quelli di Vicaria da tenersi ogni settimana. Non cesserò di esortarvi a parteciparvi. Ciascuno ne è responsabile. E ringrazio il Signore per il cammino fatto. E non nascondo il dispiacere per la freddezza di cuore di chi non vi partecipa. Vorrei che i nuovi Vicari Foranei – che ho scelto e nominato in base alle vostre indicazioni – tra le loro prime preoccupazioni avessero la realizzazione degli incontri comuni. E’ una via maestra per l’unità del presbiterio e per una maggiore efficacia del ministero. Cari sacerdoti, vi ringrazio di tutto cuore per l’impegno pastorale che manifestate. Che povera Chiesa saremmo senza di voi! E come non ringraziare il Signore per i tre nuovi sacerdoti che ho appena ordinati? Carissimi, don Marco, don Stefano e don Sergio è la prima volta che sedete tra noi: è un presbiterio straordinario. Siatene orgogliosi ed anche attenti servitori. E sentiamo vicini coloro che non sono potuti essere presenti, don Baliello, don Marco Crocioni, don Stefano Mazzotti, don Sergio, don Silvio e don Gabriele Amorosi. A loro va il nostro abbraccio e il nostro saluto.
Questa sera sono partecipi alla celebrazione anche i nuovi membri dei consigli pastorali. Oltre l’elezione del nuovo Consiglio Presbiterale da cui ho scelto il Collegio dei Consultori e poi i sette Vicari Foranei, c’è stata anche l’elezione dei nuovi membri Consigli Pastorali Parrocchiali e quindi anche il nuovo Consiglio Pastorale Diocesano. Insomma, c’è un rinnovamento significativo nella struttura organizzativa della Diocesi. Ovviamente non si tratta di un cambiamento puramente sul piano organizzativo. Anche perché la ragion d’essere degli organismi di partecipazione è legata al mistero di comunione della Chiesa. Una comunione che non nasce da noi e che è anzitutto un dono di Dio che noi dobbiamo custodire e far crescere. Ma prima di essere opera nostra la Chiesa è opera di Dio e del suo Spirito. Quante volte purtroppo lo dimentichiamo! Quante volte pensiamo che siamo noi ad edificare il Corpo di Cristo! In verità, solo Gesù è morto per la Chiesa. Nessuno di noi lo ha fatto. Tutti siamo stati accolti, nessuno è padrone e tutti siamo figli e servi del Vangelo. Ecco perché prendere parte a tali organismi di partecipazione ha senso unicamente se ci poniamo a servizio della comunione e della missione della Chiesa. Dobbiamo perciò evitare ogni atteggiamento di rivendicazione o di padronanza. L’unico atteggiamento consono è quello del servizio, il servizio alla comunione e alla missione. In questa prospettiva tali organismi sono preziosi e vanno guardati con attenzione e rispetto. Non tenerne conto vuol dire non comprendere il senso stesso della Chiesa e del suo mistero.
Care sorelle e cari fratelli, l’occasione del rinnovo di tutti gli organismi, non risponde semplicemente alla scadenza di calendario. C’è una lettura spirituale di quel che abbiamo vissuto nei giorni passati. Potremmo dire che si tratta di una chiamata del Signore perché la nostra Chiesa diocesana viva in maniera più generosa la sua missione. E il Signore sa bene che ce n’è bisogno. La vita della nostra città sta traversando un momento particolarmente difficile e richiede un’attenzione e una creatività nuova da parte di tutti. La stessa cosa dobbiamo dire per la nostra regione e per il paese. Il clima che stiamo vivendo non è di speranza e di generosa solidarietà. Al contrario sembra crescere la pura e la chiusura. Basti pensare a quanto è accaduto per i profughi che fuggono dalla Tunisia e dalla Libia. Di fronte ai mutamenti epocali che stanno avvenendo nel Mediterraneo del Sud, noi pensiamo solo a come difenderci. Certo, dobbiamo affrontare con sapienza questo problema, ma affrontarlo con sapienza vuol dire essere consapevoli di quel che accade attorno a noi e nel mondo. Pensare di salvarsi rinchiudendoci nei nostri piccoli o grandi problemi vuol dire far vincere la pigrizia e chiudere gli occhi al futuro. Non posso continuare ad affrontare queste problematiche, ma dobbiamo essere consapevoli che il futuro della nostra città è indissolubilmente legato a quello della nostra regione, dell’Italia, dell’Europa e del mondo.
Qualcuno potrebbe dire: ma noi cosa possiamo fare? Forse però in questa domanda è già rinchiusa la risposta negativa. E cadiamo così in un atteggiamento di rassegnazione. Ed eccoci ripetere stancamente le cose di sempre, anche le pratiche religiose e pastorali, magari senza interrogarsi sulla loro efficacia, senza sentire il tormento della lontananza di tanti fedeli, senza lasciarsi turbare dalla indifferenza di tanti, e alla fine senza neppure gioire delle cose belle che pure viviamo. Cosa possiamo fare? Possiamo fare molto! E a partire da noi stessi, dal cambiare almeno un poco il nostro cuore, concependo la vita un po’ più a servizio degli altri, del bene comune di tutti. Per questo c’è bisogno di una nuova seminagione evangelica anzitutto nei nostri cuori perché sappiano impegnarsi con più generosità nel comunicare il Vangelo e per rendere la vita dei fratelli e delle sorelle più serena, più bella.
Forse proprio da questa occasione possiamo prendere un nuovo impulso. Il cammino che abbiamo compiuto sino ad ora ce lo suggerisce. Non ci mancano le parole e le indicazioni, e neppure i segni positivi di un cammino fatto assieme. C’è anche la novità delle scelte per gli organismi di partecipazione. E soprattutto c’è la domanda della gente, dei piccoli, dei giovani, dei poveri, della città, che attende una risposta. Deve accadere anche a noi quel che avvenne a Nazaret quel sabato quando Gesù si presentò nella sinagoga. Gesù, quel giorno, aveva un’attitudine nuova, e diede come un nuovo passo alla missione che il Padre gli aveva affidato. Si potrebbe dire che iniziava una “nuova evangelizzazione”. Riprese infatti le parole antiche di Isaia sulla missione del servo di Dio. Quante volte le avevano udite! La stessa cosa accade anche a noi con le parole evangeliche. Ma quella volta ci fu una novità. Gesù disse: “Oggi si adempie questa Scrittura”. E da quel momento Gesù iniziò a percorrere le piazze e le strade della Palestina “comunicando il Vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e infermità”, come notano gli evangelisti. Potremmo dire che si mise in stato di missione. Questo è il senso della cosiddetta “vita pubblica” di Gesù. E cos’è per noi la “vita pubblica” se non metterci su questa stessa strada di Gesù? Si tratta di uscire da una concezione individualistica e privatistica del cristianesimo, di abbandonare quella pigrizia pastorale che ci fa fare le stesse cose di sempre, avendo nel cuore uno slancio nuovo, un’energia spirituale che ci spinge ad una rinnovata missionari età.
L’impegno per l’Iniziazione Cristiana è esattamente in questa prospettiva. Dobbiamo continuare quanto abbiamo iniziato con i ragazzi, ma è urgente avviare le altre prospettive: l’educazione dei piccoli e dei loro genitori, il coinvolgimento della comunità parrocchiale, l’impegno per la vita delle nostre città e dei nostri paesi, e così oltre. Ripartiamo dall’altare. Ripartiamo dall’Eucarestia della Domenica. Di qui traiamo le energie per un nuovo impegno pastorale. Lo Spirito del Signore scenda su di noi e nuovamente ci invii a servire i poveri e a proclamare un anno di gioia per tutti. Questa Pasqua sia per tutti noi il passaggio ad una vita davvero nuova, più generosa, più attenta agli altri, più gioiosa.