San Giovenale 2009
Signore sindaco,
gentili autorità,
carissimi sacerdoti,
care sorelle e fratelli tutti,
al centro della liturgia della Parola c’è l’appassionato discorso di Gesù che, in piena polemica con la classe dirigente d’Israele, si presenta come il “buon pastore”, ossia come colui che può guidare tutti sino a pascoli verdi e buoni. E per far questo è disposto a dare anche la sua stessa vita. Non è venuto per sistemarsi o per salvare se stesso, ma gli altri. E’ una dimensione essenziale a chiunque vuole mettersi alla guida degli altri, tanto che afferma: “chi non offre la vita per le pecore non è pastore bensì mercenario”. In effetti, l’opposizione tra il pastore e il mercenario nasce proprio da questa motivazione: il pastore svolge la sua opera per amore, rinunciando al proprio interesse anche a costo della vita, mentre il mercenario agisce per interesse personale e per denaro, ed è quindi logico che nel momento del pericolo fugga e abbandoni le pecore al loro destino. L’evangelista, per indicare il pericolo, usa l’immagine del lupo che “rapisce e disperde” le pecore.
A guardare bene, l’opera del lupo è congeniale all’atteggiamento del mercenario. Ad ambedue, infatti, interessa solo il proprio tornaconto, la propria soddisfazione, il proprio guadagno e non quello delle pecore; si realizza così una alleanza di fatto tra l’interesse per sé e il disinteresse per gli altri. Ne viene fuori una sorta di diabolica congiura degli egoisti e degli indifferenti contro i più deboli e gli indifesi. Se guardiamo agli speculatori di ieri e di oggi –penso a quanto è avvenuto nella finanza internazionale – e alla crisi che ne è derivata non ci troviamo di fronte a moderni mercenari interessati più ai loro guadagni che al bene comune? E se c’è chi, pur di guadagnare, costruisce senza le misure antisismiche, non è forse un moderno mercenario? Ma forse, care sorelle e cari fratelli, qualcosa della mentalità del mercenario si annida nel cuore di ciascuno di noi. Spesso infatti perseguiamo i legittimi interessi personali, o i nostri guadagni, senza considerare i riflessi che questo atteggiamento ha sugli altri o sulla collettività. Insomma, siamo tutti presi molto da noi stessi e dalle nostre cose e pochissimo dal bene comune di tutti. Ma questo clima di accaparramento per sé senza pensare agli altri rischia di favorire quella tristissima alleanza tra i lupi e i mercenari, tra gli indifferenti e coloro che cercano solo di trarre vantaggi personali dalle situazioni. Benedetto XVI più volte in questi mesi ha avvertito che la radice profonda della crisi finanziaria sta nella cupidigia di chi brama solo per sé senza pensare agli altri. Molti sono i mercenari che pensano solo al proprio guadagno senza preoccuparsi di quel che può accadere agli altri.
La pagina evangelica che ci è stata annunciata ci mostra invece San Giovenale che è stato un buon pastore per questa nostra città. Per questo i nostri antichi lo hanno chiamato: “Patronus, Gubernator et Defensor civitatis”. Giovenale, uomo venuto dall’Africa, ha speso a Narni tutta la sua vita per il bene della città. La tradizione ci dice che si convertì da giovane al cristianesimo e divenne prete a Cartagine. E quando in quella città si scatenò la persecuzione contro i cristiani, Giovenale venne mandato a Roma ove fu accolto da una nobildonna romana, Filadelfia, che rimase colpita dalle capacità di questo giovane africano. E quando seppe che Narni aveva bisogno di un vescovo propose a papa Damaso di mandare il giovane prete Giovenale. Il papa accettò la proposta e nel 368 lo consacrò vescovo di Narni. Inizialmente a dire il vero la comunità lo accolse con qualche perplessità, ma ben presto si rese conto dell’animo pastorale del vescovo.
Giovenale conosceva bene le parole evangeliche che abbiamo ascoltato: “Il buon pastore offre la vita per le sue pecore”. Lui le prese sul serio e spese le sue energie per predicare il Vangelo ai narnesi. Molti si lasciarono toccare il cuore e chiesero il Battesimo: si narra che una volta, in un giorno solo, ne battezzò quasi 2000. Fece costruire una prima chiesa che dedicò a san Valentino, il vescovo di Terni martirizzato a Roma alla fine del secolo precedente. La sua opera pastorale fu instancabile, nonostante le opposizioni di coloro che continuavano il culto delle divinità pagane. Giovenale predicava l’amore di Dio per tutti. E non erano solo parole, lo mostrava con i fatti, con la sua stessa vita. La sua preoccupazione era raccogliere i cristiani di Narni, istruirli e farli crescere nell’amore. Li spingeva a non chiudersi in loro stessi, a non pensare solo al proprio gruppo. Giovenale aveva a cuore l’intera città, tutti i suoi abitanti. E lo mostrò in maniera esemplare quando la città fu assediata dai barbari: ne organizzò la difesa invitando tutti i cristiani a raccogliersi in preghiera e invocare l’aiuto di Dio. Si racconta che una tempesta terribile si abbatté sugli invasori i quali furono costretti a togliere l’assedio e ad allontanarsi. Tutti i narnesi, liberati dall’assedio, si raccolsero nell’oratorio di San Valentino e qui Giovenale celebrò una Messa di ringraziamento. In questa occasione si ripeté il miracolo della moltiplicazione del pane e del vino consacrati: le ostie e il vino consacrati, insufficienti per la numerosa folla accorsa intervenuta, si moltiplicarono miracolosamente e tutti poterono comunicarsi. Giovenale fu proclamato “difensore della città”. La sua difesa non si basava sulle armi, ma sulla preghiera e sull’amore. Giovenale era un pastore, non un mercenario. Non fuggì dalla città, raccolse tutta la comunità e pregò. E la preghiera fu esaudita. Giovenale morì nel 376 ma non cessò di proteggere Narni e chiunque lo invocava.
Oggi san Giovenale torna in mezzo a noi per dirci di pregare ancora per la nostra città, per difenderla da ogni assalto. Qualcuno potrebbe chiedere: ma dove sono oggi coloro che assediano Narni? Dove sono i nemici che vogliono distruggerla? Senza dubbio non siamo in un periodo di persecuzioni e di assedio. E tuttavia non mancano né pericoli né assalitori. Molte cose si potrebbero dire a riguardo. Mi limiterò a far cenno ad un nemico che assedia non solo questa nostra città ma l’intero nostro Paese e il mondo: è la crisi economico-finanziaria. E’ un assedio che rischia di ferire in modo irreparabile una situazione già critica. Se guardiamo questa nostra terra gli occhi cadono sul polo chimico di Nera Monitoro, su non poche piccole e medie imprese, su siti industriali che fanno fatica a reggere la concorrenza. E’ vero che non manca qualche piccola luce. E spero che presto almeno qualcuna possa accendersi. Non possiamo tuttavia non essere preoccupati per la crescita del disagio che colpisce non poche famiglie. In Italia si calcolano almeno due milioni e mezzo di poveri. Una cifra che vediamo visibile anche nel nostro territorio: ci sono famiglie che non arrivano alla fine del mese.
In un tempo difficile come quello che stiamo vivendo è indispensabile che facciamo crescere tra noi un clima di solidarietà concreta e fattiva. Nei momenti difficili è più facile che ciascuno dica: si salvi chi può. Vedendo venire il lupo della crisi, tutti diventiamo un po’ mercenari. Dobbiamo stare attenti a non far sviluppare nei nostri cuori i sentimenti mercenari di indifferenza, di rassegnazione, di egocentrismo, di individualismo. E’ stato, ad esempio, un gesto bello la creazione da parte delle Diocesi dell’Umbria di un Fondo di Solidarietà per aiutare coloro che rischiano di perdere il lavoro e non hanno nessun ammortizzatore sociale. Abbiamo avviato una raccolta alla fine del mese di marzo. E la risposta, debbo dire, è stata generosa e corale da parte di tutti, comprese le istituzioni. E’ un esempio efficace di difesa contro gli assalti della crisi. C’è bisogno di sviluppare ancor più questo clima solidale tra noi. Vorrei dire che deve crescere nel nostro cuore un po’ più dell’animo di San Giovenale e diminuire quello dei mercenari.
Per questo vorrei – come ho già accennato ieri sera alla consegna dei ceri – che la festa del patrono di questo anno sia legata in particolare a coloro che sono stati colpiti dal terremoto in Abruzzo. Per di più c’è una data che ci lega, il 1703. In quel lontano anno ci fu un terremoto nel centro Italia che colpì Narni e l’Aquila. E fu in questa occasione che i nostri antenati fecero realizzare l’attuale busto di San Giovenale. La festa del nostro patrono ci spinge ad essere anche noi “difensori della città”, non solo della città di Narni, ma anche di un piccolo paese, Poggio di Roio dell’Aquila, ove lavorano i nostri volontari fin dal primo giorno dopo il terremoto. Vorrei che le offerte di questa celebrazione fossero destinate a questo campo di Poggio di Roio. Oggi pomeriggio io stesso mi recherò in questo piccolo paese di seicento abitanti per celebrare con loro la festa della Madonna della Croce, un’antica e miracolosa immagine di legno dorato rimasta intatta mentre l’intera chiesa è crollata. Questa nostra festa è una occasione bella per riscoprire la bellezza della fraternità con chi soffre. Il Signore faccia crescere nel nostro cuore questi sentimenti che guidarono la vita di San Giovenale e che oggi chiedono a noi di essere testimoniati. Continueremo così ad essere figli di san Giovenale. Ed egli dal cielo continuerà a proteggerci.