Se preghiamo per il Papa lui sente il nostro abbraccio»
di Luciano Moia
La preghiera collettiva per la salute del Papa non è pretesa di cambiare i disegni di Dio ma devoto affidamento alla sua volontà, occasione per «trarre energie di rinnovamento spirituale» per una società come la nostra segnata da troppe divisioni, abbandoni, solitudini. Lo spiega l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per vita, nel giorno inaugurale del convegno su “Fine del mondo, responsabilità e speranze” che fino a domani metterà a confronto in Vaticano scienziati di varie discipline provenienti da tutto il mondo.
La salute del Papa sta suscitando una partecipazione commovente di fedeli attraverso preghiere e iniziative spontanee di vicinanza e di affetto. Qual è il significato di questo grande movimento di popolo?
Papa Francesco sta esercitando un vero e proprio “magistero della fragilità”. Non ha paura di mostrarsi, nei suoi anni e nei momenti di malattia. È un insegnamento che vale per tutti noi. Per questo assistiamo alle enormi manifestazioni di affetto che ci parlano di una Chiesa che comprende ed è vicina.
C’è contraddizione tra la preghiera di intercessione per la salute del Papa e la scelta di affidarsi alla volontà di Dio per quanto riguarda la vita di ciascuno di noi?
Direi di no. La volontà di Dio è imperscrutabile e il Suo disegno su ognuno di noi è un mistero da decifrare e scrutare nella nostra vita. La preghiera è la risorsa più forte per unirci a Dio e alla Chiesa, per trarre energie di rinnovamento umano e spirituale. Noi sappiamo che moriremo, un giorno. Ma sappiamo anche che la destinazione finale è la risurrezione per la vita eterna. Gesù lo ha promesso. In Lui crediamo e preghiamo.
Vorrei dirlo in modo più chiaro: le nostre preghiere hanno la capacità di cambiare i disegni di Dio?
E in modo chiaro le rispondo. Non esiste una volontà di Dio per il male, il Dio di Gesù Cristo in cui crediamo manda vita, non malattie. Per questo pregare per la salute, nostra, dei nostri cari, del Papa, ci colloca in piena sintonia con il cuore di Dio. Ma siccome il male c’è, viene, noi siamo chiamati alla lotta, e la preghiera fa parte di questa buona battaglia. Altro, invece, è affermare che nella tempesta noi viviamo una prova, spesso dura, e la fede mi assicura che in questa prova ho Dio al mio fianco, perché lui per primo l’ha vissuta nella carne del suo Figlio.
Nel messaggio che il Papa le ha indirizzato ieri mattina in occasione del convegno organizzato dalla Pontificia Accademia per la vita si ricorda tra l’altro un passaggio della Spe salvi di Benedetto XVI in cui si spiega che la realizzazione della speranza di ogni persona può concretizzarsi solo all’interno di un “noi” di popolo. Può essere questo il senso della vicinanza espressa da milioni di fedeli per la salute del Papa?
Si vede il popolo di Dio in azione in queste settimane. Dico di più. Gli anziani, noi anziani, come papa Francesco, abbiamo un messaggio per il mondo, di sapienza, di accoglienza. La fragilità che portiamo con noi è un segno per il mondo. Il noi, di cui lei mi chiede, è l’unica risorsa possibile per contrastare divisioni, solitudini, abbandoni. Penso a quanto è importante, nella malattia, avere una famiglia vicina e dei fratelli e delle sorelle nella fede, degli amici che non ci lascino soli. Se oggi tutti preghiamo per il Papa, lui, come ha detto, si sente abbracciato. Possiamo, nelle nostre comunità cristiane, pregare ogni settimana per i malati, ricordandoli per nome.
Il Papa parla anche del dovere di ascoltare gli esperti che si interrogano sul futuro del Pianeta – come succederà in questi giorni al convegno – per arrivare a una “profonda revisione” dei nostri parametri riguardo all’antropologia e alle culture. Quali sono nel concreto gli aspetti a cui occorre ripensare per arrivare a modelli più adeguati per la nostra società?
Questo mondo che abbiamo costruito ha un grande limite: abbiamo troppe divisioni e ingiustizie, troppe diseguaglianze. Potremmo anche distruggerlo e distruggerci, invece di farlo crescere e custodirlo. Non è catastrofismo, è una terribile realtà da contrastare attraverso una alleanza dei saperi, degli scienziati, degli umanisti, per una rinascita della vita. Siamo una sola famiglia umana e abbiamo un solo pianeta. Che vogliamo fare? Questa è la domanda che ci possiamo in questi giorni di lavoro.
In questi giorni parlerete di biologia, fisica, linguistica, genetica, biologia, teologia, educazione e altro ancora. Qual è la comune situazione di crisi che lega queste discipline e c’è davvero la possibilità di uscire da questa stagnazione con un progetto coordinato?
Si. Credo fermamente che serva un sussulto di responsabilità di tutte le componenti delle nostre società. Donne e uomini di buona volontà, dobbiamo unirci. Vedo che in tanti – politici, scienziati, persone semplici – mi chiedono e hanno grande speranza verso il Papa e la Chiesa come faro e baluardo di civiltà. A questa speranza e richiesta rispondiamo, intanto con questo appuntamento, per aggregarci e aprire alla possibilità di un futuro umano. L’unico possibile.